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14/02/2012

Notizie in Famiglia - 14 febbraio 2012

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La parola del Padre generale

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LA CONSACRAZIONE PER MEZZO DEI VOTI

Gesù, scegliendoci, ci introduce nell’esperienza dell’amore di Dio e ci riserva a Lui solo. Rispondiamo all’amore che Dio ha per noi consacrandogli la nostra vita. A Colui che ha offerto la sua vita per noi, a Colui al quale siamo configurati mediante il battesimo, noi offriamo il meglio di noi stessi mediante i tre voti di castità, povertà ed obbedienza, che ci fanno partecipi dello stile di vita che Egli ha scelto. (RdV. 6)

La Consacrazione non è solo volontà della persona. La Consacrazione è la grazia, è il dono di Dio che  ci ha guardati con amore, che ci ha eletti e consacrati facendoci interamente dediti a Lui. È nel Battesimo che questa consacrazione si è realizzata, mediante il dono dello Spirito Santo che ci ha resi figli di Dio e ci ha fatto partecipi della grazia divina. Il sigillo del Battesimo e della Cresima ci ha uniti a Gesù, il Figlio prediletto del Padre, il Consacrato, l’Inviato. Configurandoci a Lui siamo diventati suoi discepoli e messaggeri. Questa consacrazione, intesa come una grazia di Dio, trova perfetta espressione nella celebrazione della Professione perpetua.
    Il fondamento della vita di un consacrato risiede nel suo rapporto prioritario con Gesù, il Verbo Incarnato, che è il nostro unico amore, la nostra unica ricchezza, il nostro unico Signore (RdV.25). Contemplando Lui, il Consacrato del Padre, scopriamo quanto il rapporto di ubbidienza al Padre occupi il suo cuore. Dicendo “dove è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore”(Mt 6,21), Gesù pone un limite ai suoi affetti umani. E la sua risposta “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”(Lc 2,49) gli dà tanta scioltezza e libertà da non avere più un luogo “dove posare il capo”(Lc 9,58).
    La consacrazione di cui parliamo, nella sua globalità, riguarda ciascuno di noi e dà luogo ad uno stile di vita che ci caratterizzerà nella Chiesa e, come consacrati, nel mondo. Uno stile di vita che si manifesta secondo tre dimensioni fondamentali della nostra esistenza: una relazione di dipendenza da Dio Padre nell’ubbidienza, un rapporto di uguaglianza con gli altri attraverso la castità ed una capacità di padronanza, nell’ambito dei beni materiali, che trova riscontro nella povertà. È interessante osservare l’interrelazione tra queste tre dimensioni. A volte questa complementarietà si evidenzia al momento di chiedere ad un confratello di trasferirsi in un’altra comunità, con compiti diversi, dopo molti anni di permanenza nello stesso luogo. La sua eventuale riluttanza potrebbe essere interpretata come un atto di disubbidienza, quando invece, a ben vedere, esprime il suo attaccamento alle persone nonché a quel senso di sicurezza materiale che ne deriva. La persona interessata forse non si rende conto che il suo atteggiamento lo priva della libertà e della disponibilità necessarie per rispondere con generosità alle chiamate, frutto queste ultime di un discernimento autentico e costante delle situazioni di vita.
    La povertà di Gesù non consiste unicamente nel non possedere beni materiali. Gesù è povero anche perché non è legato a nessun altro essere umano. Non ha una moglie, non ha figli e non condiziona nessuno a rimanere con lui: “Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono”(Mc 14,50). Ma è povero anche perché non si considera padrone di niente: tutto ciò che ha lo deve al Padre, al punto da patire la propria morte come il fallimento dei suoi progetti e da far risultare invece evidente il progetto salvifico del Padre.
    La castità di Gesù si manifesta nella sua piena libertà ed indipendenza nei confronti di tutte le persone, che egli ama come le ama il Padre, nonché dei beni materiali, per poter rispondere in totale ubbidienza e disponibilità ai progetti del Padre. Essendo l’obbedienza un nostro aspetto qualificante, come Betharramiti è in questa prospettiva che viviamo la povertà e la castità evitando così la frammentazione della persona. (RdV 22). L’unificazione di povertà, castità e ubbidienza in una vita consacrata ha la sua radice nel principio evangelico: “In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà (Gv 12, 24-26). Si tratta di un progetto in cui il consacrato trova la capacità di rinunciare a cose che in se stesse sono buone, perché si aspetta tutto dal Dio che  per primo lo ha amato, secondo la spiritualità ignaziana “ad maiorem Dei gloriam”. Come dice Paolo: per me vivere è Cristo (…).
    Il consacrato orienta tutta la sua vita verso Gesù. Questo vuol dire non essere impegnato nella gestione di beni, oppure vincolato nella sfera affettiva ad una moglie e a dei bambini, né aver la mente occupata da progetti propri, perché i suoi unici progetti sono quelli di Gesù e della sua Chiesa. Il consacrato sacrifica tutto ciò che è suo per rendersi disponibile a Dio ed al suo progetto di evangelizzazione. D’altronde anche il matrimonio è costruito sul principio evangelico  di “perdere la vita per ritrovarla”. Anche nel matrimonio è  talvolta necessario dimenticare   progetti personali e rinunciare ad incentrare la vita solo su se stessi. Occorrerà invece aprirsi  alla propria sposa, o al proprio sposo, con tutto quello che la cosa implica. Lo sposo dà e riceve tutto da Dio per il tramite della sposa, e viceversa. Il consacrato testimonia la priorità del rapporto con Dio. Ci troviamo di fronte a due progetti complementari. Il religioso, testimoniando che Dio è l’unica cosa necessaria, deve saper accettare ogni rinuncia ed a maggior ragione deve essere capace di realizzarsi anche senza un legame di ordine sponsale. Dal canto suo  il coniuge testimonia che l’amore per Dio, se non si concretizza nell’amore per il prossimo, è destinato a restare confinato nel novero delle buone intenzioni.
    La consacrazione è uno stile di vita, è un modo di essere e di intrattenere relazioni umane che caratterizza il comportamento, e che si distingue per la sua semplicità, la sua facilità e libertà sia nello stabilire rapporti con le persone, sia nell’intraprendere progetti e nel gestire beni materiali. Il matrimonio, è una cosa diversa. Esso introduce un diverso stile di vita in tutto ciò che è attinente alle relazioni con Dio e con altri, nonché alle necessità pratiche della vita.

Gaspar Fernández, SCJ

 

 


 

smichel.jpgSan Michele Garicoïts scrive... 

Quali ragioni devono condurci a obbedire alle nostre Regole?
Molteplici. Ma la principale è l’amore per Nostro Signore Gesù Cristo, il desiderio di servirlo e di piacergli, non la paura (...).
Chi ama davvero non fa differenza nell’agire, sia quando l’amato lo ordini, sia quando esso lo desideri. A un figlio amorevole è sufficiente conoscere la volontà di suo Padre.
La gloria di Dio è di avere servi pronti.
Il nostro interesse (perché è in questo che consiste la nostra perfezione): le Regole sono il nostro progetto di santità e di perfezione..., i mezzi provvidenziali per lavorare con la grazia di Dio alla nostra santificazione e perfezione (...).
Tutte le nostre regole sono grandi, importanti, anche le più piccole,
1°     perché, venendo da Dio che le ha ispirate, non possono che essere importanti,
2° perché sono costate molta meditazione, tante lacrime e preghiere a S. Ignazio.

 


Vita del Consiglio

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RISCOPRIRE

A Roma, nel mese di gennaio si è tenuto il Consiglio di Congregazione, che “verifica l’attuazione delle decisioni dell’ultimo Capitolo Generale; individua gli strumenti per favorire la condivisione dei beni per la missione; esamina le scelte prese ad ogni livello in vista del raggiungimento degli obiettivi stabiliti dalla Congregazione negli Atti dei Capitoli.” (RdV 217). Presentiamo un resoconto scritto da uno dei partecipanti.

Riscoprire le nostre radici per vivere la radicalità della nostra vita religiosa, oggi, attraverso la consacrazione, la vita fraterna e la missione. È questa l’idea di fondo che ha guidato il Consiglio di Congregazione che si è riunito a Roma, nella Casa generalizia, dall’11 al 21 gennaio. Al Superiore Generale e ai due Consiglieri residenti a Roma, si sono uniti i due Consiglieri generali “esterni”, i Padri Tobia Sosio e  Laurent Bacho, e i tre Superiori Regionali, i Padri Jean-Luc Morin, Gustavo Agin e Austin Hughes. Questo 18° Consiglio di Congregazione aveva l’intento dichiarato di dare compimento alle decisioni discusse e votate durante il Capitolo Generale celebrato a Betlemme nel maggio scorso.
Non è certo possibile trasferire in uno scritto la ricchezza degli scambi, la profondità delle riflessioni, il clima di ascolto,nonché i momenti di confronto aperto in cui ognuno ha espresso anche il suo dissenso, e ha esternato le sue difficoltà legate soprattutto al modo di sensibilizzare i confratelli e di coinvolgerli nelle decisioni prese al Capitolo Generale.
Un punto all’ordine del giorno era legato proprio alle radici anche storiche della nostra Congregazione: il 150° anniversario (1863-2013) della morte del nostro Fondatore, San Michele Garicoïts, da solennizzare senza esagerazioni né eccessi, come recita l’ultimo Capitolo generale. Sono state passate in rassegna diverse proposte per la celebrazione di questo evento. I contenuti saranno comunicati e illustrati nei prossimi numeri della NEF e nei vari Consigli Regionali che si terranno in questi mesi. I vari eventi per questa celebrazione avranno luogo dal maggio 2013 al maggio 2014 e saranno raccolti attorno allo slogan “Dal Cuore di Cristo al cuore del mondo”. Ecco alcuni tra gli eventi più importanti, a livello di Congregazione:  la peregrinatio delle reliquie di san Michele, una celebrazione eucaristica nella chiesa San Luigi dei Francesi (a Roma), la partecipazione di giovani laici betharramiti alla GMG di Rio de Janeiro nel luglio 2013, Messa solenne a Bétharram, esecuzione di una messa composta in onore di San Michele, un concorso per scegliere il logo ufficiale del 150° … Inoltre, a livello di Regione e di Vicariato saranno progettati e realizzati altri modi di celebrazione che saranno comunicati anche attraverso il sito della nostra Congregazione.
Un altro tema significativo, in risposta al dettato del Capitolo di Betlemme, riguarda la formazione permanente. Ecco alcuni dei progetti da realizzare: a livello di Congregazione un incontro a Betlemme per i religiosi oltre i 40 anni (2015). Incontro per i religiosi fratelli della Regione San Michele e dell’Inghilterra, a Bétharram, Lourdes e Ibarre.  A livello vicariale e inter-vicariale, sessione per i religiosi con meno di 15 anni di professione perpetua …
Anche il tema dell’animazione vocazionale è stato affrontato e sono stati evidenziati alcuni punti di forza: per quanto riguarda la preghiera, dare continuità all’iniziativa  (nata nella Regione San Michele) di una preghiera mensile preparata dai giovani in formazione, ed estenderla ai religiosi e ai laici betharramiti, in vista del 150°, prendendo lo spunto dai testi di san Michele. Tale preghiera sarà pubblicata sulla Nef a partire dal mese di settembre 2012. Si suggerisce poi che il giorno 8 di ogni mese tutta la Congregazione preghi per il progetto in Vietnam.  Un’occasione per il rilancio della pastorale giovanile-vocazionale è stato individuato anche nella GMG di Rio, nella preparazione della quale dovrebbero essere mobilitati i giovani che gravitano attorno ai gruppi laicali betharramiti e più in generale i religiosi che sono a stretto contatto con il mondo giovanile.
Per quanto poi riguarda il tema della comunità, il Superiore Generale ha sottoposto all’attenzione dei Superiori Regionali alcune linee guida per aiutare le comunità stesse a creare o rinnovare un progetto comunitario-apostolico.  Affrontando poi il tema della fraternità internazionale e comunitaria,  sono stati delineati alcuni passi concreti da compiere per la costituzione delle comunità di Pau e di Nazareth, indicate dal Capitolo Generale come punti forza per rilanciare la cooperazioni tra le varie Regioni con un vero spirito missionario.
Affrontando il tema dei laici, presente trasversalmente nei vari temi presi in esame nel Capitolo generale di Betlemme, si è ribadita la necessità di coinvolgerli nel pensare, progettare e realizzare i vari eventi nell’ambito delle celebrazioni per il 150° anniversario della morte di san Michele. Si è anche constatato come lo spirito di Bétharram è vivo nei diversi gruppi, in ognuno di loro con motivazioni ed espressioni diverse, ma sempre riconducibili all’intuizione di San Michele. In particolare si è preso atto del desiderio di alcuni laici di vivere il carisma di san Michele anche attraverso delle “promesse”, nonché dell’esperienza missionaria di una coppia di giovani argentini che sentono forte il loro legame con Bétharram.
La presenza degli economi Regionali,  P. Jean Saint-Pé (Regione san Michele), P. Sergio Gouarnalusse (Regione Etchécopar) e Fr Gerard Sutherland (Regione Beata Miriam)  durante gli ultimi tre giorni di incontro del Consiglio di Congregazione, e poi, per una mattinata, quella dei laici che ci assistono negli affari economici, ci ha permesso si approfondire alcuni temi che al Capitolo di Betlemme erano stati raccolti sotto il titolo: Economia di comunione. Questi i temi: come alimentare il fondo per la formazione che permetta di andare incontro alle case di formazione che trovano difficoltà nel far fronte alle spese per la scolarizzazione dei giovani in formazione. Sono state fatte alcune proposte concrete che toccherà ora al Consiglio generale rendere operative. Altro punto importante è l’invito rivolto a tutti gli economi di comunità ad elaborare con l’aiuto degli economi di vicariato, i bilanci preventivi. Sono stati poi offerti alcuni chiarimenti circa il funzionamento del nuovo programma di gestione delle nostre risorse, che permetterà una maggiore agilità ed efficacia nella trasmissione dei dati ai vari livelli all’interno della Congregazione.
Una svolta molto significativa è stata la creazione di una commissione che faccia proposte concrete perché Bétharram, cuore e culla della nostra Congregazione, sia valorizzato come luogo depositario del nostro patrimonio, come centro di accoglienza per religiosi e laici desiderosi di approfondire il legame con san Michele e, infine, come centro da cui far irradiare verso l’esterno la ricchezza della nostra spiritualità.
Quanto detto finora trova il suo senso più completo se inserito in quel clima di ascolto e di preghiera che tre momenti di narratio fidei hanno contribuito ad alimentare. Un primo momento ci ha visti pregare e condividere le nostre esperienze intorno al Salmo 66. Contemplando quel Dio che “ci ha messi alla prova; e ci ha passati al crogiuolo come l’argento” abbiamo riattualizzato lo spirito che il Capitolo di Betlemme ci indicava con l’immagine di San Paolo: “abbiamo il nostro tesoro in vasi di argilla”. E le parole del Salmo “ma poi ci hai dato sollievo” ci hanno aiutato anche a scoprire ed evidenziare i segni di speranza che pure sono presenti nella nostra Congregazione e anche nella nostra vita personale di religiosi. Gli altri due momenti della  narratio hanno tratto lo spunto da due lettere di San Michele: la n.10, ad un ex-alunno del Seminario Maggiore di Bétharram. In questa lettera – nella quale si definisce “superiore di quattro mura di un vasto edificio”  - san Michele già anticipa alcuni punti qualificanti del suo metodo per conoscere la volontà di Dio. Inoltre la lettera n: 69 a suor Saint-Jérôme, Figlia della Croce, in cui san Michele, dopo aver dato alcuni consigli alla religiosa, le chiede a sua volta alcuni suggerimenti su come organizzare la lavanderia, la cucina, la cantina, il guardaroba … Una lettera che mette in luce anche la grandezza umana di san Michele , attento al buon funzionamento della comunità nel suo quotidiano.  È proprio grazie a questo ritorno alle nostre radici – illuminate dalla parola di Dio – che possiamo vivere nella nostra preghiera, nella  vita comunitaria e nella  missione la radicalità della nostra consacrazione.
Un momento forte vissuto  dal Consiglio di Congregazione, il 12 gennaio, è stata la visita al Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, il Cardinale eletto S. E. Mons. João Bráz de Aviz e al Segretario Generale S. E. Mons. Joseph William Tobin. La visita è terminata con la promessa, da parte del Prefetto, di venire una sera a cena presso la Casa Generalizia.
A san Michele l’ultima parola: “Che il nostro motto sia: pregare, esaminare, esporre ed obbedire. Ogni altro tipo di gioia che non abbia questo fondamento, non te la auguro, proprio per il grande bene che nutro per te … Consacriamo tutta la nostra vita alla ricerca di questa gioia; per raggiungerla non risparmiamo nessun sacrificio, nessuno sforzo. Avanti con coraggio, sempre”.

Enrico Frigerio, scj

 


Servizio di Formazione

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SERVIZIO DI FORMAZIONE

A Roma, al Consiglio di Congregazione ha fatto seguito la prima riunione della nuova equipe del Servizio di Formazione che, dopo uno scambio di esperienze personali, ha stilato un programma dettagliato di alcune iniziative riguardanti la formazione, contenute negli Atti dell’ultimo Capitolo generale.

Il Servizio di Formazione Betharramita rinnovato a seguito del Capitolo Generale, è stato convocato dal Superiore Generale nella casa generalizia per domenica 22 gennaio.
Tutta la settimana è stata consacrata alla condivisione delle nostre esperienze di formatori nelle tre Regioni della congregazione. Con lucidità e fede abbiamo esposto le nostre difficoltà e le nostre gioie; l’ascolto e la riflessione degli altri hanno creato un clima di fiducia reciproca.
Compito particolare della nostra équipe è quello di integrare la formazione permanente nella nostra riflessione, come richiesto dal capitolo. Abbiamo potuto confrontarci sugli obiettivi della sessione internazionale prevista per la metà di giugno 2015, per religiosi di più di 40 anni di età.
Bisogna riconoscere che abbiamo dovuto affrontare l’urgenza della sessione internazionale prevista per la preparazione alla professione perpetua dall’11 aprile al 18 maggio 2012 a Bétharram. È stato predisposto un programma preciso e le responsabilità sono state affidate a diversi religiosi. Il numero importante dei partecipanti previsti (6 indiani, 5 tailandesi, 5 sudamericani, 3 africani) esige un accompagnamento serio. Abbiamo ottenuto l’appoggio di P. Jean-Luc e di P. Enrico Frigerio.
Abbiamo potuto affrontare argomenti di riflessione molto importanti sui quali siamo coscienti di programmare:
1. L’accompagnamento personalizzato diventa un mezzo particolarmente prezioso e utilizzato con più regolarità; vogliamo proseguire su questa strada.
2. Gli elementi pedagogici integrati nella Ratio Formationis (nn 61-118) due anni fa, introducono un rinnovamento importante nella conformazione del giovane a Gesù, annientato e obbediente. Auspichiamo che questi elementi siano conosciuti e utilizzati sia nella formazione iniziale sia in quella permanente.
3. Abbiamo ripreso la riflessione del 2007 sulla formazione alla povertà; anche in questo ambito, l’esempio dei fratelli maggiori diventa particolarmente eloquente per i giovani in formazione. P. Graziano, economo generale ci ha permesso di renderci conto degli sforzi che la congregazione continua a fare per la Formazione e la responsabilità che questo esige da ogni religioso.
4.  Abbiamo appena sfiorato la riflessione circa i talenti da sviluppare a servizio della congregazione e circa le responsabilità da assumere sempre come servizio senza preoccuparsi del nostro ego.
5. Abbiamo avuto uno scambio anche sulla profondità dei nostri legami di appartenenza alla congregazione, legami che non possono essere annullati da insuccessi o incomprensioni. Per questo il ricorso all’esclaustrazione e all’uscita definitiva deve essere considerato solo in casi di estrema gravità.
In tutti questi scambi, abbiamo potuto contare su una fiducia reciproca, costruita essenzialmente sull’eucaristia e la liturgia delle ore e la narratio fidei su alcune lettere di san Michele Garicoïts (lettere 81, 92 e 145). Scopriamo sempre di più quanto la parola del nostro Fondatore sia un invito a considerare la nostra vocazione betharramita come un dono prezioso di Dio e le nostre fragilità come un modo per apprezzare ancor di più la grazia di Dio.
Rientriamo nelle nostre comunità desiderosi di condividere ancor di più questo slancio di vita del Cuore di Gesù con i nostri fratelli nel cuore del mondo.

Laurent Bacho, scj

 


5 minuti con...

... la comunità di Yamoussoukro

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La comunità di Yamoussoukro è composta da tre religiosi professi perpetui (P. Jean-Marie Ruspil, P. Théophile Dégni N’Guessan e P. Arsène Noba) e da un giovane in formazione che sta facendo un periodo di stage (Fr. Armel).
Il Superiore, P. Jean-Marie Ruspil, con la comunità, ha accettato di rispondere ad alcune domande che gli abbiamo rivolte.

NEF: Com’ è nata questa comunità? A quali esigenze ha risposto?
Negli anni 2005/2006, visto il numero dei giovani confratelli ormai al termine della formazione iniziale, i religiosi della Delegazione della Costa d’Avorio avevano ritenuto necessario aprire una nova comunità. Le comunità già esistenti a Dabakala e a Adiapodoumé erano distanti 500 km e, per agevolare gli scambi, era parso importante che la nuova comunità non fosse troppo lontana dall’una o dall’altra. Abbiamo così pensato a Yamoussoukro, esattamente a metà strada e capitale politica con un grande avvenire. Mons Joseph Aké, vescovo locale, contattato dal delegato e poi dal provinciale, fu subito contento, già dal primo contatto, del nostro arrivo.

Qual è la missione della comunità? 
Il vescovo ci ha affidato una parrocchia che ha creato al momento del nostro arrivo, alla fine di settembre del 2007 e che è dedicata a San Felice. Nel quartiere Sinzibo (che in lingua baoulé significa ‘terra fertile’), c’era già presente una piccola e vivace comunità formata da cristiani di tre quartieri di insegnanti, comunità che si ritrovava la domenica nel cortile di una famiglia, sotto un riparo di fortuna.  Al momento del nostro arrivo, ci è stato chiesto di occuparci di questa comunità, due villaggi (Djahakro e N’Gbessou-Allangoua) e, con la cappellania diocesana, delle due comunità di studenti dell’Istituto Nazionale Politecnico (INPHB).

Siete una comunità religiosa nel cuore di una parrocchia. Al momento del vostro arrivo non c’era nulla: come avete realizzato tutto quello che c’è ora?
Dando il loro consenso per questa fondazione della comunità, i nostri superiori (provinciale e generale) avevano detto molto chiaramente, a noi e alla diocesi, che Bétharram non aveva le risorse per costruire la chiesa e il presbiterio. Per quasi tre anni, abbiamo dovuto trovare alloggio in una casa in città, con relativo pagamento dell’affitto: in questo, la provincia non ha esitato, in quanto la vita di comunità esigeva un minimo di autonomia. La comunità dei fedeli, fin dall’inizio, ha dato il suo pieno sostegno, anche sul piano materiale, e ci siamo resi conto che erano intenzionati a fare in modo che il luogo di incontro e di preghiera fosse autonomo e poi residenza della comunità. Grazie alla loro raccolta di fondi e all’aiuto di una comunità di religiose, è stata eretta una grande cappella, inaugurata il giorno di Pasqua del 2009, meno di due anni dopo il nostro arrivo. Poi, grazie ad una sovvenzione delle PPOOMM, alla fine di settembre 2010, la costruzione di un blocco con quattro stanze ci ha permesso di lasciare la casa in affitto.

Parlateci della vita della comunità
I 4 membri della comunità non sono stati gli stessi in questi primi 5 anni: giovani per un’esperienza, novizi del 2° anno, futuri diaconi e diaconi si sono succeduti. Sempre, però, la comunità ha cercato di mettere in pratica la Regola di Vita: una vita fraterna caratterizzata da pasti consumati insieme, momenti di preghiera comunitaria, una cassa comune, momenti distensivi davanti alla televisione.  Avendo  praticamente la stessa attività pastorale, lavoriamo insieme e i nostri incontri di comunità hanno sempre due momenti, quello religioso e quello pastorale.

Nei recenti avvenimenti di guerra, quali sono stati i problemi che la comunità ha dovuto affrontare?
La città di Yamoussoukro non è stata molto toccata dagli eventi recenti, eccezion fatta per qualche sussulto. Questo ha permesso alla nostra comunità di conservare i contatti con l’esterno e, in particolare, di passare informazioni circa le condizioni  in cui versavano i nostri fratelli di Adiapoudoumé, pesantemente coinvolti nelle conseguenze del conflitto. Qui, le città e i villaggi sono stati invasi dalle famiglie costrette a lasciare Abidjan: è così che a N’Gbessou la comunità ha triplicato il numero degli abitanti! Più di un migliaio di studenti dell’INP si sono trovati bloccati nei loro quartieri, senza mensa: la comunità si è attivata insieme alla Caritas parrocchiale per fornire loro i viveri ed ha assicurato la cura pastorale di questi giovani sconvolti dalla crisi e preoccupati dei loro parenti che vivevano ad Abidjan.

Quali sono i momenti forti vissuti dalla comunità (preghiera, ritiri, riposo …)?
La comunità ha vissuto momenti forti quali per esempio la professione perpetua dei due fratelli, Omer e Arsène, o alcuni incontri fraterni di delegazione e poi di vicariato.  Più regolarmente, la comunità si raccoglie per momenti di ritiro, nella Basilica. Ma non riesce a visitare, come vorrebbe, la comunità di Dabakala e nemmeno alcune comunità di religiosi della diocesi, come previsto nel progetto comunitario. 

I laici della parrocchia hanno scoperto l’originalità della comunità, cioè il vostro essere religiosi betharramiti?
Abituati ad essere serviti da preti diocesani della parrocchia cattedrale, i laici hanno scoperto subito che noi eravamo di un’altra «specie»: conoscevano le religiose, ma la parte maschile era loro sconosciuta. Ci dicono, ma con discrezione, che apprezzano la differenza, la nostra vita comunitaria, la nostra solidarietà e vicinanza pastorali, un certo stile nelle celebrazioni liturgiche più sobrio e raccolto, la trasparenza nell’amministrazione. Ci trovano disponibili e presenti in mezzo a loro.
Una delegazione di laici associati di Abidjan ( Nê mê  ) è venuta un fine settimana nel 2009, per incontrarci, ma anche per dire in qualche modo, durante la messa della domenica, quello che vivono con i Betharramiti. Alcuni fedeli avevano intensificato gli scambi con loro, ed è così che, a poco a poco, si è formato un nucleo di laici associati a Yamoussoukro, che ha preso il nome di «Mi yè » (Eccomi, in lingua baoulé). Alcuni conoscevano Bétharram grazie ai ritiri animati a Adiapoudoumé.

Il Capitolo generale ci ricorda che «L’animazione vocazionale è un impegno di ogni religioso. Non dobbiamo avere paura dei giovani, essi ci spingono ad una conversione continua: perché la nostra testimonianza sia sempre più coerente; perché abbiamo uno sguardo positivo sul nostro futuro.» La comunità sa essere una pro-vocazione per i giovani? Come?
Ci sono molti giovani nella nostra parrocchia: le due comunità dell’INP contano 800 giovani dai 18 ai 25 anni! Nel paese, più della metà della popolazione ha meno di 18 anni. Tutti questi giovani si spostano molto per la loro formazione di scuola inferiore o superiore, e quindi non sono così disponibili, come noi vorremmo, per partecipare ai diversi movimenti e gruppi che sono loro proposti. La comunità, senza nascondere la sua identità religiosa, gioca un ruolo molto attivo nell’animazione di questi giovani. Gruppi vocazionali esistono in parrocchia e all’INP: diciamo loro chi siamo e li invitiamo ad approfondire la nostra conoscenza. Finora, un giovane studente, Fulgenzio, ha espresso il desiderio di condividere la nostra vita … dopo i suoi studi; è quindi un aspirante. Nutriamo una grande speranza che altri saranno attratti da questa vita betharramita che siamo contenti di vivere insieme qui a Yamoussoukro.

 



 

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2. I CAPITOLI DI PADRE ETCHÉCOPAR (1878 - 1897) 

Le Costituzioni, approvate grazie all’opera di p. Augusto Etchécopar, Superiore Generale dal 1873, prevedevano le riunioni capitolari con scadenza triennale. Così, il 20 agosto 1878 per la prima volta la Congregazione celebra il suo primo Capitolo. Sotto la presidenza di p. Etchécopar, confermato nel suo incarico, verranno celebrati altri cinque Capitoli: 1881, 1884, 1887, 1890 e 1896.
Superiore della Congregazione per 24 anni, p. Etchécopar si era proposto tre grandi obiettivi.
Il primo obiettivo lo aveva visto impegnato già prima di diventare Superiore: l’approvazione da parte della Santa Sede della Congregazione e delle sue Costituzioni. Non fu opera facile, ma alla fine riuscì vittorioso, anche grazie all’intervento decisivo di Suor Maria di Gesù Crocifisso.
Ottenuta l’approvazione romana, p. Etchécopar si impegnò sul se­condo punto del suo programma: far riconoscere dalla Chiesa la santità del fondatore. Incaricò p. Basilide Bour­denne di preparare una biografia di p. Garicoïts, che apparve nel 1878; più tardi lui stesso raccoglierà e pubblicherà parte delle lettere e degli scritti del fondatore, conosciuti oggi col nome di Pensées; infine, tra il 1878 e il 1879, dava inizio ai preparativi per introdurre la causa di beatificazione del fondatore.
Ma il terzo punto del suo programma, quello decisamente più importante, fu l’opera di consolidamento spirituale e materiale della Congregazione e delle sue diverse opere. Dopo anni di delusioni e di smarrimento, era necessaria una svolta per riprendere la via tracciata dal Fondatore e per ricostruire l’edificio spirituale da lui fondato.
I Capitoli Generali da lui presieduti esprimono questa volontà di tutto penetrare di quello stesso spirito che aveva animato l’azione di san Michele. In particolare vengono prese due decisioni che, ancora una volta, mostrano l’amore di p. Etchécopar per la Congregazione: l’apertura dei seminari (chiamati scolasticati) di Bétharram e di Betlemme, per garantire un futuro all’Istituto ed una solida formazione teologica dei futuri bétharramiti.
Né si deve dimenticare che, in questa sua opera, fu anche un instancabile viaggiatore: ogni anno visitava tutte le comunità di Francia, per sette volte si recò a Roma per trattare gli interessi dell’Istituto, per tre volte andò in pellegrinaggio in Terra Santa; infine, quando la salute glielo permise, visitò le comunità sudamericane.
P. Etchécopar morì il 13 aprile 1897. Le sue ultime parole, riportate dai testimoni, furono: « Aprite la finestra, voglio vedere il cielo ». Aveva finalmente raggiunto la meta del suo viaggio, quel Cielo che aveva perseguito per tutta la vita e che aveva insegnato ad amare.
In fondo, Etchécopar non ha cambiato nulla delle scelte di san Michele: possiamo dire che da buon discepolo ha seguito il suo Maestro. La sua opera è tuttavia decisiva per la storia della Congregazione, perché nel perseguire questi tre obiettivi, ha “fondato” la Congregazione, nel senso che, al volto e all’anima data dal Fondatore, ha aggiunto gambe proprie per poter camminare.
Nell’agosto del 1897, venne celebrato un Capitolo straordinario, per nominare il successore di p. Etchécopar. Esso chiuse i suoi lavori riconoscendo al Superiore defunto il titolo di “secondo fondatore” della Congregazione: «Con le voci più autorevoli, con il favore popolare, il Capitolo saluta con rispetto, nel defunto Superiore Generale, il continuatore delle virtù e dell’opera di Padre Garicoïts, un modello ammirabile di tutte le virtù cristiane e sacerdotali, un esempio perfetto di vita religiosa e come il secondo Fondatore della Congregazione».

Roberto Cornara

 

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Nef è il bollettino ufficiale della Congregazione del Sacro Cuore di Gesù di Betharram.
La redazione è a cura del Consiglio Generale.

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