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Tu sei qui:Home / NEF / NEF 2016 / Notizie in Famiglia - 14 Luglio 2016 / La Parola del Superiore Generale
11/07/2016

La Parola del Superiore Generale

Una cosa sola ti manca

Gesù  e il giovane ricco  (Heinrich Hofmann)

A tutti i personaggi del Vangelo che cercano di colmare il loro vuoto interiore, Gesù propone un “di più” che consiste nell’uscire dalla “auto-referenzialità”, o un vivere per se stessi, e rischiare la propria vita per il Padre e per gli altri. La proposta di Cristo richiede una risposta personale. Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni, Matteo, Maria Maddalena, Zaccheo, Bartimeo si sono assunti il rischio di questa risposta al Cristo e hanno deciso di seguirlo, di diventare suoi discepoli. Il giovane ricco, che Gesù fissò e amò, non è stato capace di superare questa “auto-referenzialità”, perché aveva molti beni; alla fine non ha seguito il Cristo. L’invito di Gesù risponde al vuoto del cuore dell’uomo: “Una cosa sola ti manca...”

L’apprendimento dello stile di vita evangelico è stato, per i discepoli, lento e difficile. Dopo l’invito di Pietro a Gesù, “Allontanati da me, che sono peccatore”, fino all’affermazione “Noi dobbiamo obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”, Pietro è passato attraverso diverse contraddizioni: “Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai!” (Mt 16,22). (Desidera evitare la passione, e questo gli vale il rimprovero di Gesù: “Satana”); “Signore, da chi andremo? tu hai parole di vita eterna“ (Gv 6,68). “Se tutti si scandalizzeranno di te, io non mi scandalizzerò mai!” (Mt 26,33). “No, non conosco quell’uomo” (Mt 26,72); “Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo” (Gv 21,17).

Diventare discepolo implica una vera esperienza di conversione, una scelta di vita che richiede una rinuncia a disporre della propria vita per lasciarla nelle mani di Gesù: non amo quelli che mi piacciono, bensì quelli che Gesù ama. Non ho quello che voglio, ma quello che vuole Gesù; non lavoro per guadagnare, ma per servire; non organizzo la mia vita in vista del mio bene personale, ma la pianifico in sintonia con la comunità per un miglior servizio agli altri; non vado alla ricerca del mio bene personale, ma di quello di Gesù e della missione... Ecco cosa significa vivere secondo il Vangelo.

È così che concepisco anche il processo di formazione: rinunciare a vivere per se stesso e decidere di essere un uomo per gli altri, per il Padre e per i fratelli; questa è la risposta alla domanda di Cristo. Il formatore deve verificare che il giovane in formazione progredisca in questo processo di interiorizzazione e di esteriorizzazione del Vangelo, facendo proprie le virtù del Cristo, il Verbo incarnato: fiducia in Dio, umiltà, mitezza, obbedienza, sensibilità, povertà, impegno, perdono, rispetto delle differenze, responsabilità... e tutto questo vissuto nella gioia, perché questo stile di vita mi fa sentire pienamente realizzato, dona un senso alla mia vita e mi entusiasma.

Per raggiungere questo traguardo, bisogna attraversare diverse tappe, diverse prove, subire a volte anche umiliazioni e insulti che ci identificano al Cristo. Bisogna che il giovane in formazione possa vivere questi valori, affinché arrivi ad appropriarsi, a incarnare la convinzione di Gesù: “Chi vorrà salvare la propria vita la salverà, chi perderà la sua vita a causa del Vangelo, la salverà” (Mc 8.35). Il formatore dovrà verificare che il giovane in formazione è pronto ad andare fino in fondo nella fedeltà al Vangelo, per presentarsi ai voti perpetui e all’ordinazione. In caso contrario, non sappiamo chi scopriremo dopo i voti.

Non si tratta soltanto di un problema di formazione iniziale. Molti di noi hanno dimenticato che un giorno abbiamo fatto professione di vivere per gli altri, ma abbiamo finito, poco alla volta, per vivere solo per noi stessi. Abbiamo assunto la mentalità del mondo. La missione, servizio per gli altri, è diventata un lavoro, che, grazie al profitto che ne deriva, ci permette di regolare i nostri conti personali. La missione, che all’inizio mi è stata affidata dai superiori, è diventata un mio affare personale; invece di vivere per tale missione, vivo per assicurarmi una vita tranquilla. La comunità che, nel fervore del primo amore, era il luogo di condivisione della vita e della fede con i miei fratelli, si è trasformata in individualismo che poggia esclusivamente su ciò che io penso, sui miei criteri, i miei gusti, il mio benessere, i miei centri di interesse.

A volte tutto questo crea l’impressione che viviamo senza affidarci al Signore, e che possiamo risolvere ogni problema, senza l’aiuto di nessuno. Così, nella cultura del benessere, non ci manca nulla, abbiamo abbandonato la fiducia nella Provvidenza per i nostri nuovi progetti. Ci manca l’umiltà di riconoscere che abbiamo bisogno dell’aiuto del Signore di fronte a tante situazioni che non hanno una risposta. Fare la volontà di Dio, come Gesù, non è possibile perché va contro l’indipendenza della persona. Essere poveri, casti e obbedienti crea dei complessi perché attorno a noi sentiamo dire che tutto questo limita la nostra libertà; non accettiamo la sapienza della croce, perché la nostra opzione per i diritti dell’uomo ci obbliga ad accettare le umiliazioni, che sono sempre, se noi non le ricerchiamo, il modo di rassomigliare al nostro Maestro.

Senza una formazione permanente seria e integrale che porta ad una conversione autentica al Vangelo, senza un esame di coscienza quotidiano, un accompagnamento spirituale e una vita caratterizzata da un’ascesi adulta che tiene desta la nostra attenzione alle situazioni concrete della vita, è impossibile essere fedeli al Vangelo.

Questa attenzione ci permette di scegliere sempre i valori evangelici che ci incoraggiano e ci arricchiscono. Ci rende capaci di rinunciare a ciò che ci allontana dal Vangelo: edonismo, individualismo, relativismo, consumismo a oltranza. Ecco come tutto questo è espresso con umiltà dal Cardinale Loris Francesco Capovilla: “Ogni giorno mi chiedo: allora, piccolo Capovilla, che ti chiami anche vescovo della Chiesa, sei cristiano? Perché essere cardinale e vescovo non è sufficiente. Per essere cristiano, bisogna essere un discepolo fedele e perseverante di Gesù, e questo è difficile per tutti noi”.

Gaspar Fernández Pérez scj
Superiore Generale

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