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15/07/2015

Vita della Congregazione

Economi al servizio della missione

 P. Graziano Sala e P. Jean-Baptiste Olçomendy durante una giornata di animazione con gli economi del vicariato di Francia-Spagna nel mese aprile scorso.

Nel dinamismo di crescita di un corpo, gli arti si sviluppano, si modificano in un insieme organico e armonico. 
Così anche nella fisionomia di una congregazione come la nostra: la finalità, pur restando la stessa, si modifica con il passare del tempo e nell’attenzione alle urgenze del nostro tempo.
E se i religiosi, da una parte, hanno il dovere di prepararsi alle nuove sfide, d’altra parte anche l’economia deve sapersi re-investire per gestire i nuovi campi della missione…Sembra un paradosso, ma in realtà non lo è… Seguiteci in queste riflessioni-provocazioni fatte all’Economo Generale!


Puoi dirci cosa significa essere “economo generale”?

È una domanda alla quale potrei rispondere semplicemente: lo scopro giorno dopo giorno. Non c’è una risposta univoca, semplice.

All’inizio del mandato, ero spaventato dalla mole di opere che abbiamo nella Congregazione. Non sono un esperto in materia economica. Nè ho mai fatto degli studi in merito. Nè ho delle competenze particolari per la gestione dei beni… Il vedere così tante opere e sapere di avere, in qualche modo, a che fare con la loro amministrazione, mi ha dato qualche preoccupazione.

Poi ho scoperto molte persone che, in modo professionale e con grandi capacità, ci sostenevano con la loro amicizia e la loro collaborazione. Allora ho cominciato a pensare che il mio ruolo doveva toccare “l’anima” dell’economia, non la “tecnica”. Dovevo cioè occuparmi del fine dei beni e non solo del loro utilizzo e della loro gestione.

Ho scoperto che la Regola di Vita, prima di addentrarsi nell’amministrazione dei beni, ci fa entrare nel suo significato profondo. Ci fa riscoprire e contemplare l’annientamento, lo svuotamento del Verbo Incarnato che “da ricco che era si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2 Cor 8,9). Dunque è fondamentale, per noi, ricordare e conformarci a questo stile di “povertà” che è stata propria di Gesù stesso! E per poterlo testimoniare abbiamo bisogno di educarci ad uno stile di vita che, rifiutando ogni forma di miseria, accetta di privarsi di “tutto ciò che ha parvenza di lusso, il guadagno eccessivo e l’accumulo dei beni” (cfr. Regola di Vita n. 51).

In questa “missione” ritrovo il mio ruolo specifico di “economo generale”. Mi reputo più un animatore, uno che cerca di ricordare a se stesso e ai suoi fratelli la scelta che abbiamo fatto nella vita religiosa betharramita.

E facile conciliare la missione della Congregazione
con l’amministrazione dei beni?

La missione che la Congregazione svolge è il fine verso il quale deve convergere ogni sforzo. Perché in essa ed attraverso di essa si manifesta quel particolare modo con il quale noi betharramiti testimoniamo, annunciamo e aiutiamo a fare quella singolare esperienza che è l’incontro con il Signore Risorto.

Ora, la missione della Congregazione è molto ampia. Si svolge in molti Paesi del mondo. Pur non essendo una Congregazione numerosa (siamo all’incirca 300 religiosi), tuttavia siamo presenti in molti Paesi. I religiosi sono la ricchezza e la risorsa della Congregazione. Tuttavia la diaspora in così tanti Paesi comporta anche un investimento notevole a livello economico.

La missione che i betharramiti svolgono privilegia le realtà tendenzialmente più povere, più marginali. San Michele amava dire che i betharramiti devono assumere quelle missioni “dove gli altri non vogliono andare”. Questa è la nostra ragion d’essere. Questa è la nostra missione. In questa direzione vanno investite le nostre risorse. Ora, le prime risorse che la Congregazione investe sono, come già detto, gli stessi religiosi che sono stati preparati e formati in tanti anni per rispondere agli appelli, alle urgenze, che ci provengono dalla Chiesa.

Ma si tratta anche di investire delle risorse economiche. Da qui la necessità di una buona amministrazione dei beni perché non si cada nel rischio di non essere in grado di sostenere la missione che ci viene affidata.

Nello spirito della missione betharramita non esistono “opere” proprie. Quindi la nostra missione non è legata ad opere particolari. Tuttavia riconosciamo che le opere (soprattutto le opere educative) hanno un grande valore perché sono state e sono ancora oggi una risposta concreta alle necessità e alle domande che emergono da un determinato ambiente e da un determinato contesto culturale e sociale. Le opere, però, non possono “ostacolare” lo slancio del nostro essere “campo volante”, cioè il nostro essere “pronti a correre dovunque l’obbedienza chiami”. Se le opere non rispecchiano questo ideale, rischiano esse stesse di diventare degli impedimenti a quella libertà che l’obbedienza e la disponibilità esigono.

C’è un modo “betharramita” di essere economo?

Non so se esista una modalità “betharramita” di essere economo. La Regola di Vita, però, ci aiuta in questa direzione. Occorre leggerla con passione e con occhi carichi di novità e stupore senza stancarsi mai. Tuttavia ritengo che qualsiasi economo, sia egli un economo di comunità, o un economo di Vicariato o Regionale o Generale, deve avere ben presente il fine cui deve tendere la nostra Congregazione e dedicarsi interamente e con passione a sostenere questo fine, dimenticando se stesso ed i suoi (anche se legittimi) modi di vedere.

La missione della nostra Congregazione (così come viene delineata nella Regola di Vita) è il criterio verso cui le risorse devono essere investite.
Un buon “economo betharramita” deve essere, dunque, un animatore più che un amministratore. Deve avere due sguardi: uno sulla spiritualità (gli orizzonti di valore), l’altro sui “conti” (sguardo sulla realtà). Questo duplice sguardo gli eviterà ogni forma di abuso dei beni (sia esso compiuto per scopi “comunitari” che “personali”). Ma permetterà anche di avere uno sguardo obiettivo e sereno sulla realtà.

Pur cercando di non far mancare nulla alla comunità, sarà anche capace di correggere e aiutare il cambiamento di comportamenti che non siano corretti in materia di gestione dei beni (non parlo solo di grandi spese -per le quali occorrono una serie di autorizzazioni dei Superiori Maggiori-, ma anche della gestione delle somme che sono a disposizione dei singoli religiosi).
Per aiutare le comunità ed i singoli religiosi ad essere fedeli al voto di povertà, un economo “betharramita” ha due mezzi a sua disposizione:

  • a livello comunitario: aiutare a fare la stesura di un budget che preveda le entrate e le uscite. Stilare un budget è un compito molto prezioso ed importante, perché aiuta la comunità a stabilire le priorità e a operare delle scelte.
  • a livello personale: educare tutti i religiosi a rendere conto personalmente dell’uso dei soldi e dei beni che la comunità gli mette a disposizione. Questa non è un’operazione di “controllo fiscale”. È un modo concreto per aiutare ciascuno ad essere fedele. A questa fedeltà nel rendere conto dovrà poi rispondere la fedeltà stessa dell’economo che, puntualmente, dovrà rendere conto della gestione dei beni della comunità (di un Vicariato, della Regione e della Congregazione) al legittimo superiore e, nel caso dei livelli superiori, ai Consigli rispettivi.

Un economo betharramita però non dovrà mai dimenticare di essere, lui stesso, un servitore. Soltanto un servitore.

Graziano Sala scj
Economo Generale

Ringraziamo P. Jean-Dominique Delgue scj per questa intervista che egli stesso ha rivolto all’Economo Generale per la rivista del Vicariato di Francia « En avant » e che ci ha autorizzato a pubblicare nella NEF.

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