Narratio Fidei di Padre Alessandro Paniga scj
“Fammi conoscere, Signore, la mia fine, quale sia la misura dei miei giorni, e saprò quanto fragile io sono”. Ecco, di pochi palmi hai fatto i miei giorni, è un nulla per te la durata della mia vita. Sì, è solo un soffio ogni uomo che vive. Sì, è come un’ombra l’uomo che passa. Sì, come un soffio si affanna, accumula e non sa chi raccolga. Ora, che potrei attendere, Signore? E’ in te la mia speranza.” (Sal 39, 5-8)
“Ci ha mandato il suo Unico Figlio. L’Incarnazione del Figlio è quanto Dio poteva fare di più grande, la prova inconfutabile dell’amore del Padre. Non si accontenta di amarci da lontano, dall’alto dei cieli. Si china su di noi, ci manda suo Figlio…(MS)
“Per ricondurre gli uomini alla conoscenza e all’amore del Creatore, N. S. Gesù Cristo manifesta loro la divinità rendendola visibile e palpabile nella sua umanità. Eccolo allora nel Presepe, sotto le specie eucaristiche: apparuit (Tit.2,12). E’ un’epifania universale, una scuola aperta a tutti quelli che hanno occhi per vedere e orecchi per intendere: apparuit omnibus…erudiens nos. Quale scuola! Quale maestro! Quale forza e dolcezza negli insegnamenti del Presepe, della Circoncisione! Quale infinita attrattiva per guadagnare i più grandi peccatori” (DS).
Narratio…Che cosa mi dicono questi brani? Il salmo 39 (38) descrive la lotta interioredi un sofferente, che in un primo momento si era proposto di sopportare in silenzio il suo dolore, senza lamentarsi con nessuno, neanche con Dio (vv.2-3). Ma poi non è riuscito a trattenere la propria angoscia e allora ha raccontato al Signore il suo dolore. Mi ha sorpreso il fatto che il sofferente non chiede a Dio, come prima cosa, la guarigione ma gli domanda quando finirà la sua vita perché è consapevole della sua fragilità, della caducità della vita umana: “Fammi conoscere, Signore la mia fine… e saprò quanto fragile io sono…è solo un soffio ogni uomo che vive”(vv.5-6). Se la vita è tanto breve, se è solo un soffio, allora, dice il salmista, è da stupidi affidarsi totalmente e solo agli uomini e alle cose. Solo Dio può dare un senso ad una vita che fugge come un soffio, solo in Dio si può trovare un’ancora di salvezza: “Ora, che potrei attendere, Signore? E’ in te la mia speranza” (v.8).
Qualcuno ha chiamato questo salmo “una preghiera nuda”, poverissima ma suggestiva. E’ un salmo di dolore, di lamento, ma anche di fiducia, di speranza in un Dio che si fa vicino a noi per salvarci. Questo salmo lo sento vivo nel ministero che in questi anni sto svolgendo qui a Solbiate (Co) in una struttura per anziani e malati. La vita è breve, è un soffio. E lo constato ogni giorno accompagnando questi anziani nell’ultimo tratto della loro vita. Quante volte vedo negli occhi di queste persone la paura, la tristezza di una vita che ormai è al tramonto e sembra inutile. Quante volte si lamentano per la loro situazione di sofferenza. Talvolta se la prendono anche con Dio, si chiedono quando porrà termine alla loro sofferenza, si chiedono perché debbano soffrire tanto. Non ci sono risposte esaustive. C’è solo da stare loro accanto ed aiutarli a riscoprire un Dio che ci ama comunque, un Dio in cui porre la propria speranza. Ci sono però anche persone di grande fede, che vivono con serenità la loro condizione nella certezza che Dio non li abbandona mai. E’ questa per me una grande lezione di vita. La morte fa paura a tutti. Ma mi rendo conto che più ci si avvicina alla morte e più si ottiene da Dio la grazia di accettarla serenamente. Davvero: “Signore, è in te la mia speranza”.
Nel mio ministero cerco di far capire alla gente la grandezza di ognuno di noi di fronte a Dio malgrado la nostra fragilità. “Signore, che cos’è l’uomo perché tu l’abbia a cuore?” (Sal 144,3).“Che cos’è mai l’uomo perché di lui ti ricordi” (Sal.8,5). La grandezza dell’uomo è gratuità, è dono. La nostra è una dignità ricevuta perché Dio ci ha creati a sua immagine e somiglianza (Gen.1,26). Per questo l’uomo è grande. E’ l’amore di Dio che dà dignità all’uomo. Per farci capire che ci ama sul serio Dio ha mandato tra noi il suo Figlio. Ci dice san Michele: “Per ricondurre gli uomini alla conoscenza e all’amore del Creatore, N.S. Gesù Cristo manifesta loro la divinità rendendola visibile e palpabile nella sua umanità”. L’Incarnazione per il nostro Fondatore è una scuola, il cui Mastro è il Figlio stesso di Dio, una scuola che attrae irresistibilmente con la sua forza e la sua dolcezza: “Quale forza e dolcezza negli insegnamenti del Presepe…!” Forza e dolcezza. Questi due vocaboli uniti tra loro mi fanno venire in mente l’omelia del papa Pio XII quando il 6 luglio 1947, allorchè proclamò santo il nostro Fondatore, per sottolineare “la marcata fisionomia d’un carattere forte” l’ha paragonato ad “un’acquaforte“unita però alla dolcezza del suo tratto nel rapporto con gli altri. Per questo adattò per lui l’espressione biblica: “dal forte…è uscito il dolce” (Gd.14,14), ricordando Sansone che aveva mangiato del miele preso da una carcassa di leone. Da san Michele, il forte, uscì la dolcezza del suo carattere. Da Dio, il forte, esce la dolcezza del suo amore. Per me, questa è l’Incarnazione: la forza dell’amore di Dio unita alla dolcezza della sua misericordia per ogni creatura, per cui davvero, come diceva san Michele, l’incarnazione “è la manifestazione per tutti dell’amore di Dio” che diventa “un’attrattiva irresistibile per guadagnare i più grandi peccatori”.
Il papa Francesco nel suo ministero non fa altro che dire agli uomini d’oggi, attraverso i suoi gesti e le sue parole, che Dio ci ama, ci è vicino, si fa compagno sulle strade degli uomini per condurli tutti al Padre.
Quali aspetti dei brani proposti hanno maggiormente inciso sulla tua vicenda di religioso betharramita? Il primo aspetto credo sia proprio quello della mia fragilità. Nella vita, soprattutto da piccolo, mi hanno accompagnato tante situazioni difficili: il papà e il fratello ammalati, la morte di mia sorella ancora molto giovane, la perdita della casa perché bruciata… Forse anche da qui è nata la mia convinzione della precarietà della vita che mi accompagna e anche una certa paura della morte.
Io ho accompagnato tante persone alla morte, ma ne ho ancora una certa paura. Ho assistito qui a Solbiate P. Angelo Pessina, P. Alessandro Del Grande, P. Angelo Petrelli negli ultimi giorni della loro vita. Sono stato positivamente toccato dalla loro morte. Vorrei morire come loro: con accanto qualcuno che mi accompagni nei momenti ultimi. Forse è questa la mia paura: morire da solo senza qualcuno che mi stia accanto nel momento supremo. Assistendo le persone che muoiono mi rendo conto della precarietà della vita, la vita che se ne va come un soffio; però d’altra parte faccio leva sulla fiducia nel Signore come vedo che hanno fatto tanti che ho accompagnato alla morte.
Per questo alla paura voglio che subentri in me la fiducia in un Dio che mi ama ed è la “mia speranza”, la mia salvezza. Vorrei tanto infondere questa speranza anche nelle persone malate perché esaurite, stanche, depresse, senza più fiducia nella vita, che incontro ogni lunedì alla Clinica “S. Benedetto” di Albese (Co).
Un altro aspetto che sento particolarmente nella mia vita, prendendo spunto dal brano della spiritualità, è quello della bontà e della tenerezza di Dio nei miei confronti. Quando sono entrato in seminario, a 11 anni, non sapevo ancora bene quello che stavo facendo. Molto probabilmente la mia vocazione la devo in gran parte a mia mamma, un po’ come san Michele che è stato grazie anche a sua madre se è diventato quello che era. Anch’io da piccolo ero un discolo. Ne combinavo parecchie. E mia mamma ha pensato bene di mandarmi in seminario perché cambiassi in meglio. A dire la verità nel primo periodo del seminario non sapevo neanch’io quello che volevo, di una cosa però ero certo: volevo essere di aiuto agli altri, volevo dedicare la mia vita al bene degli altri. Dicevo che devo a mia mamma il maggior merito della mia vocazione perché so che ha pregato tanto per questo e poi perché, appena diventato sacerdote, mi ha confidato che mi aveva chiamato Alessandro perché il vescovo della nostra diocesi si chiamava così, e in cuor suo desiderava tanto che diventassi prete. E ha ottenuto questa grazia. Crescendo, in seminario, pian piano, ho potuto conoscere la figura di san Michele e la sua dottrina spirituale che mi ha subito affascinato. L’obbedienza alla volontà del Padre e il suo amore per gli uomini ha fatto del Cuore di Cristo il centro della mia vita spirituale. Ho cercato di obbedire sempre ai miei superiori, per fare la volontà del Signore, anche nei momenti più difficili quando mi sono stati richiesti impegni e responsabilità di cui non mi sentivo all’altezza. Ho cercato di essere il più possibile disponibile, impegnato per il bene degli altri, soprattutto dei più poveri e bisognosi di affetto, di attenzione, di solidarietà. Nelle diverse parrocchie in cui ho operato (Monteporzio, Albiate, Albavilla…) ho cercato di fare del bene alla gente stando vicino ai loro malati ed ora da alcuni anni mi pare di avere trovato la mia specifica vocazione: stare accanto a persone che hanno bisogno di aiuto, attenzione, rispetto, compagnia.
San Michele insisteva molto sull’impegno verso i malati e i bisognosi, ed io ora mi sento quanto mai in sintonia con questo atteggiamento. E’ la scuola dell’Incarnazione di un Dio che si fa uno di noi per starci accanto e salvarci. A Natale mi sento commuovere dentro quando medito e penso alla magnanimità di un Dio che, come diceva il nostro Fondatore “si è abbassato e si è fatto dono … consumato dall’amore ”perché” Dio, come una madre che si fa piccola per mettersi alla pari del suo bambino, vedendo il cuore dell’uomo e tutto l’uomo diventato carne, scende fino alla bassezza della nostra carne, si fa carne pure lui per elevare l’uomo fino a Dio. Il Verbo si è fatto carne. Il Figlio di Dio si è fatto simile a noi per farci simili a lui … Più il nostro Dio si fa piccolo, tanto più le sue attrattive sono potenti: mi deve essere tanto più caro quanto più si è fatto umile per me ”. Lasciamoci invadere dallo stupore, dalla gratitudine “per diventare più generosi”.
P. Alessandro Paniga con P. Angelo Pessina (al centro) e P. Angelo Petrelli (a sin) nel 2007 nella Casa di riposo dei Fatebenefratelli a Solbiate.
Come cerco di vivere quanto questa parola mi indica? Questa tenerezza di Dio per me mi spinge ad essere anch’io tenerezza per gli altri. La consapevolezza che “il Cuore di Dio è d’una tenerezza infinita, sempre pronto a prevenire i nostri cuori con la sovrabbondanza della sua misericordia” (San Michele), mi sprona ad essere attento, disponibile, aperto, gentile, delicato con le persone che giorno per giorno accosto. Ho imparato a stare accanto alle persone e a sorridere di più e questo mi sembra un buon passo per entrare maggiormente in sintonia con loro. Ne ho fatto la prova. La suggerisco a tutti. Un sorriso dona sollievo a chi è stanco, rinnova il coraggio nelle prove e nella tristezza è una medicina. A dire la verità quand’ero piccolo ero più spensierato, allegro, poi col tempo le diverse vicissitudini mi hanno portato ad essere forse troppo serio, a volte taciturno e malinconico. Ora mi sembra di aver ritrovato quella serenità di cui avevo ed ho tanto bisogno per vivere, con l’aiuto di Dio, un rapporto con gli altri più aperto, attento e cordiale.
Verso che cosa mi invitano a guardare?Vorrei avere più fiducia nel Signore anche nei momenti di stanchezza e di fragilità. Vorrei crescere nella consapevolezza che solo guardando al Signore e al suo amore per me e per tutti è possibile un mondo migliore in cui ci sia più rispetto e umanità. Vorrei approfondire sempre di più la mia fede nell’Incarnazione del Verbo e guardare il mondo e le persone con gli occhi di Gesù, come dice papa Francesco nell’Enciclica Lumen fidei (n. 18) : “La vita di Cristo, il suo modo di conoscere il Padre, di vivere totalmente nella relazione con lui, apre uno spazio nuovo all’esperienza umana e noi vi possiamo entrare… Per permetterci di conoscerlo, accoglierlo e seguirlo il Figlio di Dio ha assunto la nostra carne… la fede cristiana è fede nell’incarnazione del Verbo e nella sua risurrezione nella carne; è fede in un Dio che si è fatto così vicino da entrare nella nostra storia. La fede nel Figlio di Dio fatto uomo in Gesù di Nazaret non ci separa dalla realtà, ma ci permette di cogliere il suo significato più profondo, di scoprire quanto Dio ama questo mondo e lo orienta incessantemente verso di sé; e questo porta il cristiano a impegnarsi, a vivere in modo ancora più intenso il cammino sulla terra”.
Davvero Dio ci ama. Ricordiamo quello che ci dice il nostro Fondatore: “E’ piaciuto a Dio farsi amare…Dio non ha bisogno di nulla, domanda solo di essere amato… Lasciamoci conquistare da questo Dio-Amore. Amiamo come lui ama; amiamo perchè lui ama. Uniamoci a Gesù: amiamo in lui e per lui”.Impegniamoci in questo, per essere davvero imitatori del Cuore di Cristo e figli del nostro Padre san Michele che ci indica la strada della santità.
Preghiera
Padre, che hai profuso nell’uomo ogni ricchezza del tuo amore, ricordati di noi tuoi figli in cammino, perché, contemplando il tuo misterioso disegno di salvezza, possiamo scoprire nel Volto del tuo Figlio, che si è fatto uno di noi, l’immagine svelata del tuo amore senza fine.
Signore, apri i nostri cuori a riconoscere in ogni persona sofferente il tuo volto e la tua presenza. Aiutaci a testimoniare il vangelo con un sorriso, una parola, un gesto d’affetto. Donaci una sensibilità che sappia andare incontro ai cuori, e donaci la forza di infondere negli animi la speranza, speranza nel Figlio tuo Gesù, perché solo in lui trova senso ogni vita e ogni morte conosce la luce.
Per intercessione della nostra Madre, la Madonna di Betharram, e del nostro Padre san Michele Garicoits, concedici di stupirci ancora del tuo amore fatto carne per orientarci verso di Te e i fratelli e per impegnarci sempre di più nel loro servizio con “cuore grande e animo generoso”. Amen.
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