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12/05/2016

Vita della Congregazione (2)

Le “Docce del Sacro Cuore”

Vita della Congregazione (2)

“Non possiamo fare delle docce per persone senza fissa dimora come ha fatto il Papa?”.Con questa semplice domanda la comunità betharramita di Barracas con alcune associazioni e i parrocchiani si sono lasciati interpellare da quanto Papa Francesco ha fatto in Vaticano: mettere a disposizione alcuni spazi per i senza fissa dimora per potersi riposare, per poter stare al caldo, mangiare e lavarsi. Ma anche, e soprattutto, per poter trovare volti e mani amiche a cui raccontare una sofferenza, una speranza… Certi di trovare ascolto e aiuto.

Nel mese di agosto 2015 sono stato avvicinato da una persona dopo la Messa e mi ha detto: “Non possiamo fare delle docce per persone senza fissa dimora come ha fatto il Papa?”Così tutto è iniziato. Abbiamo riunito l’Associazione “Miserando”, la “Cattedra del Dialogo e la Cultura dell’Incontro” e le “Comunità del Sud”. E abbiamo deciso di avviare il progetto. Ci ha convinti la decisione di Papa Francesco di aprire, in Piazza San Pietro, docce e servizi igienici per le persone in situazioni di vulnerabilità sociale. Lo abbiamo percepito come gesto profetico da parte di Papa Francesco, gesto che meritava di essere replicato a Buenos Aires. Senza voler fare paragoni sciocchi, riteniamo che le persone che vivono per strada sono più numerose a Buenos Aires che a Roma. Questo è anche il motivo dell’urgenza. Rispondere prontamente a una domanda che, giorno dopo giorno, purtroppo aumenta nelle grandi città.

Tutto questo è stato possibile grazie al discernimento comunitario.

La prima cosa che feci è stata quella di parlarne durante una riunione di comunità perché tutti potessero venire a conoscenza del progetto e perché, d’accordo, ciascuno potesse dare il suo contributo. Con l’impegno che non sarebbe dovuto essere solo un luogo dove si praticava la carità, ma dove si facesse una chiara opzione per le periferie. E una di queste periferie sono le persone che vivono per strada e in contesti di vulnerabilità sociale.

Fu così che a metà settembre è arrivato il camion pieno di sabbia e nei vecchi bagni della parrocchia sono iniziati i lavori di demolizione e di ristrutturazione, così da poter costruire due docce, due lavandini e due servizi igienici, riservando un po’ di spazio per le opere parrocchiali.

È vero che le “Docce del Sacro Cuore” non sono né la prima né l’unica espressione di misericordia dell’Arcidiocesi di Buenos Aires né di Bétharram. Ma certamente ciò che ci contraddistingue sono due cose: la prima è che desideriamo imitare il gesto di Papa Francesco a Roma; la seconda consiste nel fatto che non si tratta propriamente di un’attività pastorale della Chiesa. Vale a dire: i volontari, le persone che vengono e quanti utilizzano questo servizio non sono tutti cristiani. Per di più, la costruzione e la ristrutturazione dei bagni è stata realizzata da una società il cui proprietario è un “fratello maggiore nella fede”. Lui e suo padre sono ebrei e hanno costruito e ristrutturato, in maniera completamente gratuita, i bagni di una chiesa cattolica.

Questa è l’aria che si respira. Non chiediamo certificati di battesimo perché le persone possano venire, né chiediamo che lavoro fanno. Basta un cuore che ami veramente.

I lavori si sono conclusi alla fine di dicembre e nell’emisfero sud del mondo è giunto il periodo delle vacanze. Tuttavia le docce sono state ufficialmente benedette e inaugurate l’8 marzo 2016 e una settimana più tardi sono entrate in funzione, per ricevere la gente che vive per strada ; si offre loro un bagno caldo, vestiti puliti in buone condizioni, e una merenda il martedì pomeriggio e la prima colazione il sabato mattina.

Il primo giorno si sono avvicinate sette persone. Attualmente ne stiamo assistendo circa quarantacinque. Sono tante le richieste, soprattutto ora che inizia la stagione fredda. Lavoriamo con circa quindici volontari e l’aiuto di professionisti del settore: operatori sanitari, assistenti sociali, psicologi.

Tuttavia i bagni sono un’occasione: ciò che si vuole è che la persona che viene alle docce trovi uno spazio di riferimento, un ambiente di salute, non solo fisica ma anche spirituale; uno spazio in cui ci sono persone che non solo offrono vestiti e qualcosa da mangiare ma che si coinvolgono completamente e condividono la vita. I pranzi si consumano in un clima fraterno. A tavola mescoliamo i volontari con le altre persone. Come ci ha insegnato Gesù, quando ha spezzato il Pane per la prima volta.

Nell’ascoltare i racconti escono le storie di vita, le ferite, le piaghe, le disperazioni. Noi volontari ascoltiamo. Il nostro compito è quello di accogliere, cioè, di fare spazio all’altro nella propria vita. E accompagnare.

La doccia, in sé, vuole essere un primo passo. Non pensiamo di risolvere il problema della gente che vive per strada. Cerchiamo di mettere in atto, con loro, la misericordia, specialmente quest’anno. Ma vogliamo compiere ulteriori passi. Il passo successivo sarà quello di aprire delle botteghe artigianali affinché coloro che vengono possano imparare un mestiere e praticarlo, magari organizzando una cooperativa. Sicuramente la strada è ancora lunga. Poiché il fine del ciclo delle docce è il possibile reinserimento nel mondo del lavoro delle persone in situazione di vulnerabilità sociale. Il sogno è grande. Quello che inizia come un semplice bagno vuole essere un’istanza che, in ambito più grande, divenga un percorso di umanizzazione e dia nuova speranza di vita, di fronte a un sistema che, pur di continuare a esistere, emargina le persone, sfruttando i poveri e generando solitudine e schiavitù.

Ecco perché il “Progetto delle Docce” si sostiene con il supporto delle persone di buona volontà, i volontari, i membri di associazioni, i parrocchiani e con le donazioni di molte persone “anonime” che offrono continuamente cose, articoli per l’igiene, abbigliamento in buone condizioni.

Un anno fa le docce erano un sogno. Oggi il sogno è quello di combattere le cause che portano le persone a vivere per strada e per questa ragione devono venire alle docce, e generare spazi creativi di lavoro per continuare a nobilitare la vita e così, tutti insieme, andare avanti.

Sebastián García scj

 

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