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01/05/2010

Notizie in Famiglia - 14 settembre 2010


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La parola del Padre generale

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Beati i puori di cuore

La Bibbia, quando parla dell’uomo, usa frequentemente la parola cuore, non nel senso dell’organo vitale che serve alla circolazione del sangue nel corpo, e nemmeno per indicare l’emotività, nell’accezione che le viene oggi attribuita. Il cuore è tutto il mondo interiore della persona umana: i suoi pensieri, le sue passioni, i desideri, le sue motivazioni e le sue stesse decisioni. Il cuore è la sede della personalità morale (Mt 16,19) (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2517). E’ nel cuore che si gioca il successo o il fallimento della persona. Ed è il cuore che dà ricetto tanto al meglio Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore… (Dt 6,5) quanto al peggio di un essere umano : Niente è più infido del cuore dell’uomo… (Ger 17,9). Anche l’incontro con Dio avviene nel cuore, che offre asilo sia alle grandi gioie, sia alle profonde ferite della vita. Esiste tutta un’antropologia, una pedagogia e una saggezza del cuore.
Ciascuno dovrà perciò vegliare sul proprio cuore, per conoscere i moti che lo agitano, per distinguere le pulsioni, discernerle  e decidere in favore di quelle che fanno crescere, che aiutano a progredire in umanità, permettendo  di superare noi stessi nell’amore. Tendere così verso quella felicità totale per la quale siamo stati creati. Tale è l’effetto delle pulsioni che ci spingono all’apertura verso Dio, verso il prossimo, al servizio e al dono della vita. Al contrario  quelle che mirano sempre a proteggere il proprio ego ci rinchiudono in noi stessi e ci conducono verso la frustrazione.
Anche Gesù, il Verbo fatto uomo, ha un cuore che è retto e puro, che può esserci rivelato attraverso i suoi atteggiamenti. È un cuore dolce ed umile, ubbidiente e generoso, misericordioso e servizievole. Moltiplica i pani e cura i malati perché è sensibile alla situazione in cui si trovano coloro che ha incontrato (Mt 14,14ss.). Loda il Padre, e si commuove nel  contemplare il suo amore per i piccoli (Lc 19,21). Anziché compiacersi nel suo intimo, si sforza in tutte le cose di essere gradito al Padre che lo ha inviato (Mc 1,35-39 ; Gv 6,15). Quando prende coscienza della difficoltà della missione, invece di fuggire si mette in cammino verso Gerusalemme, il volto indurito dalla determinazione (Lc 9,51 ; Is 50). Al culmine della passione, anziché imprecare per le sofferenze, tiene alta la sua dignità di Figlio e di fratello sapendo che l’amore del Padre non l’abbandonerà (Lc 23, 43.46). Ha la semplicità di lasciarsi amare da una peccatrice (Lc 7, 37-39), ed è capace di inginocchiarsi davanti ai suoi amici per lavar loro i piedi (Gv 13, 1-17). Invece di invocare vendetta, perdona i suoi carnefici (Lc 23,34). Anziché togliere la vita al peccatore, lo accoglie, mangia alla sua tavola ed offre la propria vita sulla croce per il perdono dei peccati (Lc 22, 19-20). La ferita del costato trafitto permette di vedere il suo cuore svuotato, non gli resta più nulla: ha consegnato la sua vita (sangue) al Padre, perché tutti abbiano la vita (acqua).
La contemplazione del cuore di Gesù ha riempito di stupore Michele Garicoïts, al punto di fargli esclamare : Oh mio modello, quale quiete, quale oblio di te stesso, quali delicate attenzioni, quale atteggiamento interiore ed esteriore! E soprattutto quale cuore, quale amore, quale indulgenza e quale pazienza in mezzo a questo oceano di dolore! (DS 48). Ma Michele non si accontenta di stupirsi e di esclamare, ma vuole che il suo cuore assomigli al cuore di Gesù. E ci riuscirà, superando le molte resistenze incontrate nel corso della fondazione della sua comunità : O Cuore divino, tu vuoi diventare il mio cuore. Sì, fai posto mio vecchio cuore, fai posto al Cuore di Gesù !...Prendi il suo posto, o Cuore di Gesù, non voglio più rifiutarti nulla. Cancella, brucia, prendi!...Dammi il dono di amarti. Ciò mi basta. Amen ! Amen ! (ibid.)
Il nostro cuore di discepoli, unito a quello di Gesù nostro Maestro, si purifica gradualmente attraverso la fede, i sacramenti e la pratica delle virtù cristiane. Cessa d’essere un cuore di pietra e diventa un cuore di carne (Ez 36,26). Il vecchio cuore si rinnova (Ez 11, 19; Ef 4,22-25; Col 3,5-11; Gal 5,16.26). Si riesce a purificare il proprio cuore con la grazia di Dio, ma anche portando felicemente a termine la lotta per la purezza la quale, secondo il Catechismo, presuppone:
- la virtù e il dono della castità, perché la castità permette di amare con cuore retto ed equanime.
- la purezza d’intenzione, che consiste nel tendere al vero fine dell’uomo: “Con occhio innocente il battezzato cerca di trovare e di adempiere in tutto la volontà di Dio” (cf. Rm 12,2 ; Col 1,10).
- la purezza dello sguardo, esteriore ed interiore ; la disciplina dei sentimenti e dell’immaginazione ; il rifiuto di ogni indulgenza verso i pensieri impuri che spingono a sviarci dai comandamenti divini: “La vista negli stolti risveglia il desiderio” (Sap 15,5).
- la preghiera (CCC,2520).

Pertanto, fin dalla catechesi d’iniziazione cristiana, nel corso della formazione iniziale alla vita religiosa, a quella sacerdotale oppure al matrimonio, ed infine lungo l’intero arco della vita, si deve risolutamente intraprendere questo cammino di purificazione del cuore, per arrivare ad avere un cuore retto, senza secondi intendimenti, che dia prova di tutta la nostra umanità senza deviare dal fine per cui siamo stati creati : La purezza del cuore è il requisito che consente di vedere. Essa, a partire da oggi, ci dà modo di vedere in accordo con Dio, di avvicinare chiunque come nostro “prossimo”; ci permette anche di percepire il corpo umano, il nostro e quello del nostro prossimo, come un tempio dello Spirito Santo, una manifestazione della bellezza divina. (CCC, 2519).
Chi è riuscito a purificarsi il cuore sarà sempre coerente nel suo agire. Al contrario, chi trascura quest’azione purificatrice per accondiscendere soltanto ai suoi desideri vivrà in uno stato di perenne contraddizione. Gli capiterà, in determinate occasioni, di indulgere a comportamenti dettati da secondi fini. E quando la contraddizione diverrà patologica, si potrà giungere perfino al punto di condurre una doppia vita: per amor di quieto vivere si comporterà nel modo che gli altri si aspettano da lui, ma agirà a proprio piacimento ogni qual volta non si sentirà obbligato a conformarsi al ruolo che si è imposto davanti agli altri.

Gaspar Fernandez,SCJ


nef-etchecopar.jpgPadre Augusto Etchécopar scrive...
alla sorella Elisabetta, Figlia della Carità, 31 Luglio 1865

Mia cara ancella e sposa di Gesù Cristo, vedi che per un cristiano, ad    ogni pena fa seguito la consolazione, come il corpo è inseparabile dalla sua ombra. E perché la pena genera la gioia nel cuore veramente cristiano? Ah! È perché è una parte della Croce di Cristo e di conseguenza il  fondamento della speranza del Cielo. Quale motivo più grande, quale migliore sorgente di consolazione può mai accordarci il nostro Padre Celeste se non inviandoci la Croce di Gesù, e con essa, se così posso esprimermi, un lasciapassare per il cielo, dicendoci: vieni figlio mio, vieni ad accompagnare il mio figliolo al Calvario, vieni ad aiutarlo a portare la sua Croce, e unirti a questo piccolo gregge che ha scelto le lacrime del tempo e le gioie dell’Eternità.


Storia

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Bétharram: la Madonna del Calvario (1)

Questo 14 settembre, solennità della Santa Croce, è celebrato con particolare solennità a Bétharram. Perché? La risposta si trova nella ricerca storica di P. Beñat Oyhénart, di cui pubblichiamo la prima parte.

Hubert Hubert Charpentier: lo conoscete? Il suo cuore si trova a Bétharram. A Bétharram infatti ha lasciato il suo cuore! Con lui comincia la storia, l’epopea del Calvario di Bétharram.
L’antichità del Santuario è documentata: dall’XI secolo, le crociate e la lotta contro i Mori e i Saraceni, o per la devozione a Maria predicata da San Fulberto di Chartres (XI secolo) o San Bernardo di Chiaravalle (XII secolo); o anche come una tappa sulla strada di San Giacomo di Compostella… “Gatarram”, il vecchio nome, appare in un testamento datato 6 giugno 1493…
La prima “leggenda”, quella dell’immagine della Vergine scoperta dai pastori, è raccontata da Poiré (nel 1693) e da Marca (1667). Secondo un’altra versione una statua è ritrovata da alcuni buoi sfuggiti alla vigilanza dei loro mandriani; Bernadette Soubirous vi fa allusione: “Il buon Dio si è servito di me come si è servito dei buoi di Bétharram”.
Quanto al racconto della bambina salvata dalle acque, appare per la prima volta nel 1835; in un romanzo! Questa tradizione è stata favorita da Jean Sempé, sacerdote, cappuccino con il nome di Padre Joseph, il primo a restaurare il Calvario dopo la Rivoluzione francese.
Dovrà trascorrere un secolo perché l’appellativo “Madonna di Bétharram” sostituisca quello di “Madonna del Calvario” *.
A Bétharram, infatti, un avvenimento è datato con certezza: il sollevamento della croce nel 1616. E’ qui che ha origine la devozione alla Santa Croce.
Le guerre di religione e il conte Montgommery distruggono il santuario nel 1569. La devozione popolare permane; a Lestelle, tutti sono restati cattolici. A Bétharram, Mons Jean de Salettes, vescovo di Lescar, ristabilisce il culto nel 1615. Nel luglio del 1616, una statua della Vergine è intronizzata dall’arcivescovo di Auch, Mons Léonard de Trappes; e, in cima alla collina, viene piantata una grande croce.
Due mesi dopo, su un pendìo non lontano, cinque contadini di Montaut tagliano delle felci per farne strame per le bestie. “Quel giorno era tranquillo, nessuna avvisaglia di temporale; improvvisamente udirono una raffica di vento impetuoso che soffiava con violenza sulla cima della collina di Bétharram. Questo li obbligò a volgere gli occhi su questo luogo, dove con tristezza videro la croce abbattuta dalla violenza del vento; e, dopo un breve attimo, terminato il turbinio del vento, videro questa croce ergersi da sola, avvolta di luce abbagliante, che sulla estremità formava una specie di corona” (racconto di Marca, 1667).
Quando, a quest’epoca, la gente di Montaut parla in favore di Lestelle, bisogna prestar loro fede: l’antagonismo tra i due villaggi è così grande!
Comprovata la verità di questo miracolo, Mons de Salettes chiama a Bétharram Hubert Charpentier – eccolo – prete originario della diocesi di Meaux. E’ lui che fonde la devozione alla Croce con quella alla Madonna: d’ora in poi a Bétharram si onora «la Madonna del Calvario». Quale la ragione di questa innovazione – finora ignorata altrove – se non che la devozione verso la Croce, più che quella verso la Madonna, può unire i fedeli restati cattolici e gli ex ugonotti passati attraverso la Riforma?
Arrivato a Bétharram nel 1621, Charpentier crea una residenza per i cappellani e un ostello per i pellegrini. In seguito, concepisce il progetto di quattordici stazioni situate tra le sponde del Gave e la cima della collina; traccia la «via dolorosa»; nel 1623, sulla cima, pianta tre grandi croci; di fronte ad esse, inizia a costruire la cappella del Sepolcro con due celle. Negli anni seguenti, il calvario accoglie nuove stazioni: il Cristo nell’Orto degli ulivi, Gesù tradito da Giuda e l’Incoronazione di spine.
Il vescovo di Lescar permette a Charpentier di avvalersi dell’aiuto di sei sacerdoti per i suoi lavori. I benefattori si rivelano generosi: Luigi XIII, in visita al Béarn, finanzia la stazione dell’Incoronazione di spine, a ricordo di San Luigi, suo antenato, che aveva acquistato e venerato la Santa Corona**.
Tuttavia, dal 1638, Hubert Charpentier è chiamato nella regione parigina: a Suresnes (oggi nella diocesi di Nanterre), costruisce il Calvario del Mont-Valérien. La cappella di Bétharram, dove riposa il suo cuore, sarà terminata più tardi: nel 1661.
L’opera intrapresa prosegue grazie ai Cappellani, la “Congregazione dei Preti del Calvario” da lui fondata. La cappella del Sepolcro, terminata nel 1639, accoglie le confessioni dei pellegrini; questi hanno l’opportunità di utilizzare gli “ermitages” sparsi lungo la collina.
Bétharram gode di grande fama, molto grande nel XVII secolo: “Se non il secondo è almeno il terzo santuario più frequentato del Regno”,*** scrive san Vincenzo de’ Paoli il 19 giugno 1659 in una lettera a Guillaume Cornuel, sacerdote della Missione; ad un suo confratello confida la prospettiva di stabilire una comunità della sua compagnia a Bétharram****…
Eppure, è soltanto all’inizio del XVIII secolo che il numero delle cappelle del Calvario sale a otto; sono quindi decorate con sculture e pitture: “Mancava loro soltanto la parola”, scrive, nel 1788, lo storico Touton. (Segue)

Beñat Oyhénart,SCJ 

* La prima rappresentazione della Madonna di Bétharram dove appare un ramo – molto discreto, in verità! – è quella di Alessandro Renoir nel 1845...
** Per essa, come pure per un frammento della Santa Croce e diverse altre reliquie della Passione che aveva ottenuto, Luigi IX ha fatto costruire la Sainte Chapelle, nell’Ile de la Cité, a Parigi.
*** Gli altri due possono essere Chartres e Le-Puy-en-Velay
**** Cinque mesi prima, lo stesso Vincenzo de’ Paoli aveva espresso le sue riserve al Canonico Cruchette, di Tarbes: “E’ vero che si è pensato alla nostra piccola Compagnia per Bétharram, e il defunto P. Charpentier è stato il primo a farmi la proposta, quasi 20 anni fa, ma finora, Dio non ci ha trovati degni di servirlo in questo luogo santo..."


TESTIMONIANZA

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Itinerario di un laico betharramita

Alla fine del mese di luglio i laici associati di Francia hanno festeggiato  i loro 20 anni di esistenza. Un giovane della Costa d’Avorio racconta ciò che l’ha portato a Bétharram, e come ha vissuto quei giorni.

Dall’anno 2000, quale membro della Fraternità Ne Me, bevo alla stessa sorgente di spiritualità betharramita con i religiosi di Adiapodoumé: ognuno riceve la propria razione di grazia alla sequela di Nostro Signore Gesù, cercando di essere dolce e umile di cuore come san Michele Garicoits, e tutto entro i limiti della propria posizione.
Nel 2009, dopo un terzo tentativo presso lo Stato ivoriano, ottengo una borsa di studio per preparare la mia tesi di Dottorato Universitario in Fisica a Rouen. La mia ricerca si concentra sul miglioramento della diagnostica nucleare  per immagini riguardante il cancro, per scoprire meglio i tumori e quindi assicurare un miglior trattamento terapeutico ai pazienti.
In questo contesto del lavoro scientifico che è appassionante e pieno di sfide, scopro piano piano il nuovo che mi circonda. Arrivo in Francia il 16 novembre, passando da una temperatura media di 30° al clima della Normandia, quest’anno particolarmente duro, a detta degli abitanti. Per uno studente capitato in un ambiente sconosciuto, freddo e solitudine vanno a braccetto. Per fortuna ho scoperto un vero amico, cugino di un padre di Bétharram; a casa sua ho ritrovato quel calore familiare che tanto mi mancava.
Lo spirito di famiglia si è manifestato anche attraverso la Fraternità Me Voici.  Essendo laico betharramita, non potevo rimanere confinato a Rouen, dopo aver messo il piede sul suolo del paese di san Michele. Contatti erano stati presi con alcuni amici di Bétharram, arrivati dalla Francia per i 50 anni della Congregazione in Costa d’Avorio. Grazie a loro, ho fatto il ritiro annuale della Fraternità, in  marzo vicino a Tolosa. Ed ho avuto la gioia di partecipare alla festa dei 20 anni di esistenza della Fraternità Me Voici, che si è svolta il 24 e 25 luglio 2010 tra i Paesi baschi e il Béarn.
I festeggiamenti sono stati caratterizzati da un rally automobilistico da Cambo a Bétharram. Con gli altri laici e religiosi divisi in una dozzina di equipaggi, ho così potuto camminare sulle orme di S. Michele Garicoits. L’esperienza è stata arricchente, ma non solo per la convivialità e l’organi-zzazione perfetta: sotto un sole splendente, ho potuto vedere i vari luoghi dove il nostro santo fondatore è vissuto, il suo paese natale, i paesaggi della sua infanzia, i luoghi del suo ministero… Infine, ho visitato la casa-madre dove Dio lo ha ispirato a fondare la Società del Sacro Cuore di Gesù.
Questo rally mi ha dato l’opportunità di capire meglio san Michele, di mettere a confronto i suoi scritti, la sua geografia spirituale e le origini della Congregazione, senza dimenticare la scoperta di P. Augusto Etchécopar, suo conterraneo, confidente e successore. Il giorno 25 luglio i 20 anni della Fraternità sono culminati con la Messa celebrata all’antico Santuario. La Beata Vergine ha fatto salire fino a Dio le preghiere e le aspirazioni di tutta la famiglia internazionale alla quale sono fiero di appartenere, anche come laico associato. Dopo l’Eucaristia, un pranzo conviviale ha messo fine ai festeggiamenti.
In questa ricca esperienza, ciò che mi ha impressionato maggiormente è il modo con cui lo Spirito di Dio ha soffiato continua a soffiare su questa regione, soprattutto perché Lourdes non è affatto lontano. Tutto questo mi ha dato la possibilità di crescere ancora di più nella mia fede e nel mio cammino alla sequela di Cristo.

Joseph Koutouan Anouan


5 minuti con... padre José Gogorza

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Durante il Capitolo Generale del 1909, celebrato in Spagna, si chiese al Consiglio Generale di acquistare  un terreno, a Irún, per costruirvi una residenza per la comunità ed il nuovo apostolicato. Costruito su un terreno acquistato a Hondarribia, il nuovo apostolicato aprì i battenti il 7 ottobre 1910. Era cento anni fa. Padre Gogorza, fratello maggiore di Mons. Ignacio Gogorza scj, Vescovo di Encarnación in Paraguay, è il testimone privilegiato di questa lunga storia…

Nef: Puoi raccontarci qualcosa della missione che hai vissuto nella comunità di Mendelu (quartiere di Hondarribia)?
- Sono stato per 8 anni responsabile dell’aposto-licato (con quasi un centinaio di ragazzi); 31 anni come parroco; nel periodo dal 1961 al 1970, in coincidenza con la crisi vocazionale ed ecclesiale, l’apostolicato andò svuotandosi a poco a poco. Di fronte a ciò, il Consiglio Generale chiedeva un’apertura verso altri orizzonti e altri impegni apostolici. Questo ha portato alla fondazione di un foyer per giovani a Saragozza. Poi è stata la volta del collegio di Azpeitia, che è ancora in funzione, gestito dalla diocesi.

Quali sono stati i momenti difficili lungo questi anni?
- L’esperienza personale più negativa risale all’epoca in cui ho avuto la sensazione che i miei superiori mi hanno privato della loro fiducia - dopo avermela accordata - e mi hanno abbandonato… per così dire… come uno straccio! Ho sofferto  molto anche per il modo con cui è stata fondata Saragozza. Si è persa una buona occasione per aprirsi ad una missione apostolica. Abbiamo commesso due errori: uno, inviare religiosi per la formazione degli scolastici piuttosto che per una missione apostolica; l’altro, che la fondazione dello scolasticato è stata frettolosa e improvvisata.

Quali sono gli elementi che hanno favorito il sorgere e lo sviluppo della  tua vocazione betharramita?
- Innanzitutto segnalerei il fatto di non aver ridotto il mio sacerdozio all’attività di insegnante. Malgrado i complessi, ho imboccato la strada giusta grazie ai consigli di un grande betharramita; il quale, vedendo la mia timidezza e il mio impaccio, mi disse: “José, devi essere sempre disponibile ad accettare ciò che ti viene chiesto”. E… se mi sento incapace di farlo? “Se te lo chiedono, significa che ti ritengono capace”.

In quale modo la comunità si è integrata alle attività della diocesi?
- Quando è stata creata la parrocchia a Mendelu, abbiamo dovuto prendere contatto e collaborare con i sacerdoti della diocesi. Nello stesso tempo aggiornarci circa la pastorale diocesana. Alcuni anni dopo, padre Iñaki de Azpiazu, ex betharramita con il quale avevo iniziato a Buenos Aires la pastorale carceraria, è venuto a trovarmi. Il vescovo gli aveva chiesto di ridare vigore alla pastorale carceraria nella sua diocesi. Egli accettò la proposta, però, non conoscendo il clero locale, chiese al vescovo che mi nominasse suo segretario per il fatto che avevo collaborato con lui nella pastorale carceraria a Buenos Aires. In seguito, il vescovo mi nominò Delegato episcopale per la pastorale carceraria di San Sebastian. Ho ricoperto quell’incarico per 18 anni e, al compimento degli 80 anni, ho chiesto di ritirarmi e il vescovo me lo ha concesso, invitandomi nello stesso tempo a continuare come membro della giunta direttiva della Pastorale Diocesana. Cosa che ho accettato.

Alcuni betharramiti hanno preso molto a cuore la presenza di Bétharram a Mendelu.
- In effetti, quand’ero apostolino, i padri Oxíbar e Laulhé mi hanno molto impressionato per la loro dedizione alla comunità. In seguito, P. Mirande e P. Cattaneo, ci hanno incoraggiato ad allargare l’orizzonte della nostra missione.  Penso anche ai Superiori Provinciali P. Carrère e P. Urani, che non fecero certo mancare risorse per le opere.

Sei stato insignito della medaglia d’oro dalla città di Hondarribia. Qual è stato il tuo inserimento nella vita sociale che ti ha fatto meritare un simile riconoscimento?
- È molto semplice. Una proprietà in buona posizione, con alcuni edifici notevoli, campi sportivi, un parco con alberi: tutto questo era riservato ai giovani seminaristi. Una volta che questi sono spariti dalla scena, la proprietà apre le sue porte verso l’esterno: alcuni locali sono adibiti ad aule scolastiche, lo spazio occupato dalla  cappella viene ristrutturato per accogliere la parrocchia. Un cambiamento radicale ben accolto dagli abitanti del quartiere che sfruttano i campi da gioco e il parco. Il Comune può così mettere a tacere lo scontento del quartiere, perché ora hanno a disposizione spazio per lo sport, per il riposo e le passeggiate. Questa apertura verso il quartiere ha facilitato l’impegno della comunità a favore della catechesi, le prime comunioni e le confermazioni. I giovani stessi hanno espresso il desiderio di essere protagonisti. Si è messo a loro disposizione un locale, con l’impegno di realizzare due progetti ogni anno: un’attività in favore del quartiere e una a livello parrocchiale. Questi giovani hanno preso sul serio il loro impegno: in questo modo sono sorte le feste annuali del quartiere, la festa  di San Michele Garicoïts, con una animazione popolare che gli altri quartieri ci invidiano. Da 32 anni organizziamo il Presepe Vivente grazie ad  una grande mobilitazione popolare: bambini, giovani, genitori, nonni ... Al Consiglio municipale non poteva sfuggire il risveglio di questo quartiere, un tempo così ai margini e senza vita sociale. Da qui ad insignire il parroco della medaglia d’oro, il passo è stato breve!

Con la chiusura dell’apostolicato, cosa si è fatto con gli spazi che si sono liberati?
- La parte occupata una volta dagli apostolini è stata affittata per 15 anni ad una scuola primaria, poi per altri 15 anni alla formazione professionale pubblica. In questi ultimi 9 anni abbiamo cercato di trovare una nuova soluzione per rendere produttivo questo bene.

Quale sarà il futuro di questa proprietà della nostra Famiglia?
- Di concerto con le autorità della Congregazione siamo riusciti a fare un progetto. Il Consiglio Generale ha autorizzato la vendita di una parte della proprietà di Mendelu perché sia costruita una Residenza per anziani. Il ricavato di questa vendita renderà possibile da una parte  la ristrutturazione dell’ala occupata dalla comunità, inoltre permetterà di ricavare in un’altra ala, 15 appartamenti indipendenti da affittare alla residenza per anziani. Questo affitto verrà incontro ai bisogni della comunità.


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8. IL COMUNISMO E LA MISSIONE DI TALI (dicembre 1950 - dicembre 1951)

da
Arnaud Pucheu,SCJ

L’Écho de Bétharram
marzo 1952

Registrazione dei beni della Missione e del personale missionario - Nel febbraio del 1951 cominciava la registrazione dei beni e del personale della Missione. Siamo ben lontani dal pressapochismo della Cina del passato: tutto deve essere registrato con quella precisione che nemmeno i corpi di polizia più puntigliosi conoscono: per la registrazione del personale, sono richieste sei copie in carta legale con fotografie e un Curriculum vitae che copra tutta la vita del missionario, aggiornato all’ultimo mese. Questo lavoro immane ha tenuto occupato per due settimane i pennelli rapidi di tre scrivani, che lavoravano alla media di dodici ore di al giorno (…).

Nuove restrizioni nell’ambiente e nel lavoro missionario – Nel marzo 1951, i tre quarti degli edifici e dei locali della residenza di Tali sono stati occupati dapprima dalle riunioni popolari, in seguito definitivamente trasformati in uffici telegrafici e telefonici.
Padre Barcelonne, nel suo angolo sperduto di Tchoukhoula, riceveva l’ordine di non muoversi dalla sua residenza, mentre ai suoi cristiani veniva proibito di entrare in chiesa per le celebrazioni domenicali.
Nel maggio 1951, i nostri quattro padri della frontiera birmana erano invitati a recarsi a Pao-Shan con tanta insistenza che hanno ritenuto prudente, approfittando del cambio della guardia alla frontiera, trasferirsi in Birmania. Padre Saint-Guily, di ritorno da Rangoon dove si era recato per acquistare alcune medicine, arrivava alla frontiera cinese con un visto scaduto da qualche giorno. Dopo averlo fatto attendere per settimane e dopo aver perquisito a fondo il suo bagaglio, le autorità cinesi gli hanno rifiutato l’ingresso in Cina…

Il problema delle tre autonomie – A partire dal marzo 1951, il partito comunista lanciava sui giornali, per tutti i cristiani di Cina, il triplice slogan di autonomia economica, missionaria e amministrativa dei cristiani progressisti. “La Chiesa di Cina appartiene solo ai Cinesi”, questa la formula proposta ai cattolici. Il suo carattere apertamente scismatico è stato chiaramente denunciato fin dall’inizio con volantini distribuiti presso i cattolici di tutta la Cina dalla sede Centrale della libreria cattolica di Shangaï, poi da una lettera firmata da tutto l’episcopato cinese. La polizia se ne è impadronita e ha lanciato un’odiosa campagna «contro gli imperialisti camuffati», ha arrestato preti e vescovi, ha pilotato delle manifestazioni “spontanee” di cristiani “patrioti”… Nonostante tutto, non ci sono stati risultati definitivi. Per loro, si tratta solo di una piccolissima minoranza di cristiani nel casellario giudiziario già pieno, affiancati da alcuni preti autoctoni terrorizzati.

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Nef è il bollettino ufficiale della Congregazione del Sacro Cuore di Gesù di Betharram.
La redazione è a cura del Consiglio Generale.

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