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Thailandia Assemblea 1
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24/11/2009

Notizie in famiglia - 14 aprile 2010

Sommario

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La parola del Padre generale

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Le novità nella regola di Vita (2)

Il più innovativo dei capitoli della Regola di Vita è l’ottavo: il Governo. L’autorità nella Congregazione ha come referente Gesù Servo (art 172). L’autorità è al servizio della comunione, del discernimento, dell’accompagnamento dei religiosi nella fedeltà alla vocazione, e dello svolgimento della missione della Congregazione in conformità al carisma di san Michele Garicoïts (173). All’esercizio dell’autorità corrisponde un’obbedienza volontaria e amorosa, confidente e creativa (174).

La nuova Regola di Vita esprime più chiaramente l’autorità del Superiore generale (193-195), autorità che nella Regola precedente non era ben definita (Regola di Vita 1969, art 180), a favore di una certa autonomia delle (vice) Province che sembravano funzionare come altrettante Congregazioni.

Il Capitolo del 1999 decise di raggruppare le (vice) Province e Delegazioni in Regioni: Regione San Michele Garicoïts, Regione Padre Etchecopar e Regione Beata Maria di Gesù Crocifisso. Il Capitolo generale del 2005 decise, con 25 voti favorevoli e uno contrario, la modifica della Regola di Vita per dare forma canonica all’organizzazione della Congregazione in Regioni. Sono stati modificati gli articoli 116, 227, 228, 229, 235, 252, 253 e 254, che sono entrati in vigore a partire dal 1° gennaio 2009.

Le Regioni sono governate dai Superiori Regionali, che sono dei superiori maggiori e sono solo tre nella Congregazione. I Superiori regionali dispongono di un Consiglio regionale formato da tutti i Superiori di Vicarìa della Regione. Esiste anche un Consiglio di Regione, composto dal Consiglio regionale con l’aggiunta di un religioso eletto in ogni Vicarìa (RV 2008, 235-242).

Le Vicarìe sono amministrate da Superiori che non sono superiori maggiori. Dispongono di un Consiglio di Vicarìa costituito da tutti i superiori di comunità della Vicarìa o, in mancanza di questi, da due consiglieri eletti dall’Assemblea di Vicarìa (RV 2008, 254). Questa istanza favorisce il flusso di informazioni dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso, come pure la riflessione e il discernimento sulle situazioni concrete. In questo processo, l’unità della Congregazione ne esce rafforzata..

La creazione delle Vicarìe e la loro amministrazione valorizza la diversità culturale della Congregazione nei diversi paesi dove si trova.  Si valorizza e si esperimenta la tensione verso l’unità della Congregazione nel rispetto della diversità culturale. La vita della Congregazione si trova nei Religiosi, nelle comunità e nelle Vicarìe. Le comunità e le assemblee di Vicarìa devono essere i luoghi abituali di comunione e partecipazione.

Un’altra novità delle Regola di Vita: gli uffici economici a livello generale, regionale o di vicarìa quando sono necessari (RV 2008, 209-210; 248-251).

Durante l’anno di sperimentazione della Regola di Vita 2008, l’entrata in vigore delle Regioni e delle Vicarìe ha messo in evidenza alcuni limiti, sui quali la Commissione è intervenuta prima che venga sottoposta al voto del Capitolo generale del 2011:

• Viene proposta la soppressione del Consiglio di Regione. Gli esperti della Congregazione per i Religiosi che abbiamo consultato ci hanno detto che tale consiglio non è obbligatorio, e che gli abbiamo attribuito molto potere. Questo rispondeva ad una organizzazione in commissioni di lavoro, che hanno funzionato solo nella Provincia di Francia. Nella nuova struttura, i Consigli regionali e di Vicarìa contano sulla presenza dei superiori.

• I Superiori di Vicarìa non avevano nessuna entità giuridica. Anche su questo punto abbiamo consultato la Congregazione dei Religiosi; ci hanno risposto che ci possono essere Vicari regionali, tanti quanto il numero delle Vicarìe. I Vicari regionali hanno una potestà ordinaria delegata del Superiore regionale, riconosciuta dal Diritto canonico (c. 131§2, 134§1). Sono dei Superiori maggiori con potestà delegata: possono far parte delle Conferenze nazionali dei religiosi, etc.

• Se si applicasse la Regola 2008 tal quale, il Capitolo regionale della Regione San Michele – Europa, Terra Santa, Africa – conterebbe 65 delegati, ossia il doppio del Capitolo generale, con tutto ciò che questo implica in costi di viaggio. Alla Congregazione dei Religiosi ci hanno detto che non è obbligatorio che tutti i Superiori di comunità siano membri di diritto. Ecco quindi la composizione del Capitolo regionale che sarà sottoposta all’approvazione, al Capitolo generale dell’anno prossimo:

- Membri di diritto: il Superiore regionale, i Vicari regionali, i Maestri dei novizi e degli scolastici;

- Membri eletti dall’assemblea di ogni Vicarìa: un delegato ogni 5 superiori o frazione di 5, un deputato per dieci professi perpetui o frazione di dieci;

- Membri nominati dal Superiore regionale: almeno un religioso fratello nel caso che nessuno di esse fosse rimasto eletto;

- Un delegato per tutti i professi temporanei della Regione (RV 2010, art 223 e statuto 22 e 23);

- Inoltre, si procederà all’elezione dei delegati in seno all’assemblea di Vicarìa. Per motivi gravi, il Vicario regionale può autorizzare un religioso, impossibilitato ad essere presente all’Assemblea, a votare per corrispondenza al primo turno o per delega al secondo (RV 2010, S. 22).

• Per il Capitolo generale, la Regola di Vita limita a otto i membri di diritto, cioè: il Superiore generale, i quattro consiglieri generali e i tre Superiori regionali. Per i membri eletti, si è tenuto conto dei criteri di rappresentatività e di proporzionalità. Si raggiunge così la cifra di trenta capitolari (RV 2008, art 178 e S. 6).

• C’è un’altra novità nel capitolo riguardante il governo: all’interno del Consiglio generale, regionale o di Vicarìa, non si parla più di voto deliberativo e voto consultivo, ma di voto di consenso o di consiglio dei consiglieri generale, regionale o di vicarìa. . È questa la nuova terminologia del nuovo Codice di Diritto Canonico, ai canoni 627§2 e 127.

La Regola di Vita contiene un capitolo supplementare, l’XI: SITUAZIONI PARTICOLARI. Si prendono in considerazione le situazioni che possono venirsi a creare con la diversità dei riti, soprattutto a causa della nostra presenza in Terra Santa e così pure in India, con il rito siro-malabarese. Viene inoltre presa in considerazione la situazione dei fratelli della Congregazione chiamati all’episcopato.

Abbiamo voluto che le comunità si preparino al Capitolo generale con una lettura orante della nuova Regola di Vita. Non si tratta di cambiare la lettera della Regola, ma di aiutarci a viverla meglio, non soltanto nella prospettiva del Capitolo, ma per essere sempre più fedeli alla nostra vocazione beharramita.

A nome della Congregazione, esprimo riconoscenza ai Padri Ierullo, Moura, Felet e Oyhénart che hanno lavorato per oltre sette anni alla revisione della Regola di Vita!

Gaspar Fernandez,SCJ


nef-etchecopar.jpgPadre Augusto Etchécopar scrive...
alla sorella Giulia, Figlia della Carità, 13 aprile 1879

Alleluia! Cara sorella, e pace profonda, incrollabile, nella fede, nella speranza, nell’amore per Nostro Signore che è amore … 

Oggi, giorno fatto dal Signore, nel quale tutti i suoi amici godono della sua gioia e sono glorificati con la sua gloria, sono felice di celebrare la Pasqua con te, e di cantare nel tuo cuore e con il tuo cuore per sostenere e rinvigorire il mio. Alleluia si innalzi a Gesù!...

So che sei sempre molto felice, ovunque, al servizio del migliore e più grande dei padroni. Sta qui l’essenziale! Lavoriamo per lui; combattiamo, soffriamo come lui ha fatto per noi. Amiamolo in tutto e in tutti; e confidiamo poi nelle sue piaghe per  ottenere il pentimento, il perdono di cui abbiamo bisogno ogni giorno e ogni istante. Avanti sempre! Avanti sempre! … 

Viva, Viva, Viva Gesù! Amore nostro! Viva, Viva, Viva Maria! Speranza nostra! Che vi benedicano!


Vita Nuova

Archabas - Anastasis

La Passione, morte e Risurrezione del Signore è stata rivissuta durante la Settimana Santa e siamo ora entrati nella nuova esistenza pasquale. La notte è finita e il nuovo giorno è spuntato – il peggio è passato. Ma abbiamo assimilato le implicazioni della nostra fede nella Risurrezione? San Paolo si esprime in modo diretto: “Se Cristo non è risorto dai morti, vana è la nostra fede” (1 Cor 15,17). La Risurrezione non è semplicemente un evento storico, per quanto straordinario, ma un’esperienza che dura nel tempo ed ha conseguenze per noi tutti. Continuiamo forse a cercare il vivente tra i morti? Quali sono i segni che Cristo è ancora tra noi, risorto come lui ha detto?

Le donne vennero al sepolcro “ quando ancora era buio” alla ricerca del corpo di Cristo morto per concludere i riti di sepoltura che non avevano potuto terminare il Venerdì Santo. La pietra era già stata rimossa dall’entrata e forme indistinte apparvero alle prime luci del giorno, impossibile da riconoscere. Non era facile per le donne e ancor meno per gli uomini accettare la realtà della Risurrezione. Avevano dimenticato o forse ignorato la predizione di Cristo che sarebbe risorto il terzo giorno. Maria Maddalena, che gli era vicino, forse desiderava che ritornasse in vita ma anche lei era giunta alla conclusione che qualcuno aveva trafugato il corpo. Giovanni era più vicino alla verità quando, dopo aver visto i teli piegati nella tomba, ha cominciato a credere che i trafugatori di cadaveri non avrebbero fatto una cosa simile.

Riconoscere Cristo è il cuore della nostra vita cristiana. Possiamo trascorrere la nostra vita senza giungere a riconoscere il Cristo reale a causa dell’oscurità. Riusciamo a vedere solo forme indistinte con una fede che è debole e insicura.  Circondati come siamo da grandi fallimenti in ogni campo delle iniziative umane, dal collasso dell’economia a spaventose rivelazioni nella chiesa stessa messe in luce da giornalisti resoluti, senza parlare poi di affari disonesti da parte di persone pubbliche alla ricerca degli interessi privati, tutto questo e altro ancora ha contribuito ad offuscare e oscurare la nostra visione. L’impegno nell’affrontare i valori più alti dell’esistenza è stato indebolito. Le opere di misericordia corporali sono state secolarizzate e il comandamento di amare il prossimo è sfumato in una scelta egoistica. La vita religiosa non è rimasta immune e si fanno strada nuove idee per ammorbidire la chiamata a seguire Cristo in un mondo moderno e ben organizzato.

Abbiamo bisogno di sentire ancora il grido del mattino di Pasqua: “È risorto, Alleluia”.

Sentimenti di paura e abbandono sono subito dissipati dalle parole del Cristo Risorto, “Sono io, non temete”. Guardiamo ancora nella tomba vuota e sentiamoci chiamati per nome proprio come Maria e Tommaso. Cristo ha un progetto per noi con la promessa di un consolatore che ci guiderà in una nuova vita libera dai condizionamenti delle generazioni passate. Se guardando un altro essere umano non sappiamo scorgere in lui/lei le ferite di Cristo, rimarremo nell’oscurità. La luce della Pasqua disperde l’oscurità e ci rende capaci di vedere più chiaramente la realtà del Cristo Risorto. “Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello/sorella, è ancora nelle tenebre” (1 Gv 2,9)

Brian Boyle, SCJ
Parroco a Whitnash (Angleterre)
omelia di Pasqua, 4 aprile 2010


75 anni di presenza di Bétharram in Brasile

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UN PO' DI STORIA

Nel 1934, il Congresso eucaristico internazionale ebbe luogo in Argentina, a Buenos Aires. Per l’occasione, il Collegio betharramita San José accolse i partecipanti brasiliani, tra i quali il cardinale di Rio de Janeiro, Dom Sebastiao.
Molto impressionato dal lavoro in campo educativo dei Betharramiti in Argentina, il cardinale invitò la Congregazione a fondare un’istituzione analoga nella sua arcidiocesi.
La Congregazione accettò l’invito, e il 19 marzo 1935, P.Jean-Baptiste Apetche sbarcò a Rio de Janeiro: era il primo betharramita a calcare il suolo brasiliano.
Il padre, che era abituato al clima europeo, trovò la calura di Rio insopportabile; incoraggiato dalle Suore della Provvidenza di Gap a spingersi verso l’interno, scoprì Passa Quatro. E come tutti quelli che vi arrivano, fu conquistato dalla mitezza del clima, la bellezza dei paesaggi e l’ospitalità della gente. Decise quindi di costruirvi una scuola, e, a partire da Passa Quatro, di impiantare l’opera di san Michele Garicoïts in Brasile.
Bétharram aveva il sostegno del sindaco dell’epoca, M. Castro, e di suo padre, il deputato Arthur Tiburcio. M. Henri Sajous, l’architetto della chiesa di Ibarre, paese natale di san Michele Garicoïts, che viveva in Brasile da alcuni anni, fu invitato a ristrutturare gli edifici esistenti, e a ricavarne un collegio semplice e decoroso, secondo il gusto dei Religiosi di Bétharram.
Il 6 novembre 1936, i Padri Francis Darley e Dante Angelelli arrivarono a Passa Quatro per dare man forte a P. Jean-Baptiste Apetche. Fu così che all’inizio dell’attività didattica del 1937, il Collegio San Michele aprì i battenti ai suoi primi alunni, tra cui il caro José Newton de Castro, che da quel giorno nutre un amore indefettibile per il Collegio San Michele. 
Nel 2010, celebriamo i 75 anni di presenza di Bétharram in Brasile. In tutti questi anni non sono mancate né lotte, né ostacoli, né successi. Celebreremo dunque queste “nozze di diamante” con la convinzione che i giovani sono il tesoro di Betharram.
Infatti, centinaia di persone, oggi sparse in tutto il paese, sono passate da qui; tutti hanno conservato la nostalgia della scuola che, un giorno, ha trasmesso loro il messaggio dell’Eccomi e del Fiat voluntas Dei (sia fatta la volontà di Dio).
Il Collegio san Michele continua il suo cammino, tra le difficoltà di oggi, sforzandosi, seguendo l’esempio del suo santo patrono, di non cedere allo scoraggiamento, ma di guardare al futuro con ottimismo, certi che vale davvero la pena di avere fiducia nella divina provvidenza e nell’educazione dei ragazzi e dei giovani.

Bolletino CSM n.2, 2010

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5 minuti con... padre NARCISSE

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Il prossimo 21 giugno sarà il primo anniversario dell’ordinazione del primo sacerdote centrafricano della famiglia di Bétharram: padre Narcisse Zaolo. Abbiamo voluto saper qualcosa di più sulla sua vita di oggi, e su ciò che per lui sarà il futuro del suo paese.

Nef : Ti va di raccontarci la storia della tua vocazione: come hai conosciuto Bétharram?
– La mia vocazione risale a quand’ero piccolo alla scuola primaria di Gamboula. Conquistato dall’atteggiamento all’altare del nostro parroco, gli chiesi di presentarmi al seminario minore. Ma padre Roger venne richiamato in Francia e il suo successore non diede seguito alla mia richiesta. Dalla sesta alla terza, feci parte di un gruppo vocazionale di Berberati, poi a Bossangoa e a Bouar, seguendo gli sposta-menti di mio padre. Quando il vicario generale di Bouar mi disse che ero troppo grande per il seminario minore, il mio desiderio di continuare il cammino rimase inalterato. Un giorno un amico della squadra di basket di Fatima mi fece incontrare padre Mario Zappa, che divenne il mio direttore spirituale. Attraverso vari incontri, ho scoperto la Congregazione e la sua spiritualità, tanto da manifestare il desiderio di far parte della famiglia religiosa del Sacro Cuore. Alla fine dell’anno, fui accolto per un’esperienza di comunità. Ciò che più mi ha attirato verso Bétharram, è la spiritualità del Cuore di Gesù. Sempre di più io scoprivo la dedizione di questi Sacerdoti; con il sole o con la pioggia, niente li ferma; è questo il motto: Avanti sempre!

Come hai vissuto il passaggio dalla formazione iniziale al ministero?
– Confesso di essere molto fiero della formazione ricevuta ad Abidjan, sia nella comunità sia al Centro di formazione Missionario. Il passaggio al ministero è stato buono grazie ai fratelli maggiori che, per noi, sono come “cartelli segnaletici”. Con la loro esperienza, ci aiutano a superare certe difficoltà. A volte, è vero, ho nostalgia del paese in cui ho ricevuto la formazione. Il desiderio di rivedere i fratelli di laggiù ritorna spesso ed è grande. E le condizioni di vita in una casa di formazione sono diverse da quelle di una comunità coinvolta direttamente nella pastorale …

Di ciò che hai ricevuto in Costa d’Avorio, che cosa ti ha segnato maggiormente?
– Ciò che mi porto da Adiapo-doumé, e che mi sembra più importante nella mia situazione attuale, sono le riunioni comunitarie: queste ci permettevano di rivedere i nostri progetti e le nostre missioni, di condividere le gioie e i dolori. Le decisioni vengono prese insieme, anche se l’ultima parola è del superiore. Grazie agli incontri si crea un clima di ascolto, di dialogo e di fiducia.

In cosa consiste la tua responsabilità nelle scuole di villaggio?
– Mi occupo della formazione degli insegnanti, in collaborazione con il Centro pedagogico regionale e l’Ispettorato accademico, con l’appoggio di un partner privilegiato: l’UNICEF. Verifico che gli insegnanti rispettino i programmi del Ministero dell’Educazione nazionale e non improvvisino le loro lezioni; cerco di sensibilizzare anche le associazione dei genitori degli alunni perché mantengano l’impegno assunto; infine passo in ogni scuola per pagare il salario e animare le riunioni per il buon funzionamento di tutta la struttura. Inoltre,  l’UNICEF mi ha dato l’incarico di seguire le scuole delle  prefetture di Bozoum e di Bouar.

Quanti sono i bambini coinvolti in questa azione?
– Per quanto riguarda le scuole delle prefetture di Bouar e di Bozoum, in tutto sono 34.000 bambini. Nei 16 istituti del nostro settore pastorale, in cui Bétharram si è impegnato per la costruzione e il pagamento dei salari agli insegnanti, abbiamo 2.016 bambini.

Quali sono le principali sfide che vedi per la missione di Bétharram?
– Il grande problema per la Repubblica del Centrafrica è l’educazione e la salute. Un paese con un forte tasso di analfabetismo, e una popolazione che langue sotto il peso della malattia e della povertà intellettuale non può progredire. Bétharram sta già compiendo sforzi per la salute e l’educazione. Bisognerà investire maggiormente nell’educazione: per esempio, si potrebbe aprire un collegio di eccellenza per gli studenti dei villaggi che non possono continuare gli studi; e accanto, aprire un “campus”, un pensionato per alloggiare i collegiali arrivati dalle campagne. Si potrebbe anche prendere in considerazione la costruzione di un centro di formazione agricola, per aiutare i giovani senza lavoro. Questa potrebbe essere una forma di presenza con i giovani. E un possibile ambito vocazionale.

Qual è la tua opinione circa le difficoltà della Chiesa nel tuo paese?
– La Chiesa centrafricana sta attraversando momenti difficili. Questa prova ci deve aiutare a rimettere le cose a posto, per crescere. Si può paragonare questa situazione a quella di un giovane religioso che si impegna in una Congregazione. All’inizio è pieno di entusiasmo. Col tempo il suo entusiasmo viene messo alla prova dalle difficoltà e dalle crisi. Di fronte ad esse il religioso ha una sola opzione, Gesù Cristo, per trovare il cammino della speranza. In mezzo alla tempesta, la Chiesa del Centrafrica deve prendere coscienza delle sue debolezze, e compiere degli sforzi perché tali debolezze si trasformino in qualità. Questo è il punto: ripartire da Cristo. Niente è perduto: all’orizzonte si intravedono segni di speranza. Se Gesù Cristo è risorto, non è certamente la Chiesa del Centrafrica ad essere inghiottita dalla morte.

In quest’anno sacerdotale cosa diresti ad un giovane che si interroga sulla vocazione?
- Sarei molto contento di incontrarne qualcuno, infatti io stesso ero un giovane che si poneva delle domande. Sarei disponibile ad accompagnare dei giovani che desiderano fare le mie stesse esperienze. E coglierei l’occasione per parlare loro di Bétharram! …

Qual è l’aspetto del messaggio di san Michele che senti più rilevante ?
– Ciò che sento più vivo in me e che mi piacerebbe trasmettere agli altri, è il carattere proprio della nostra congregazione. Il suo scopo è condurre alla perfezione i suoi membri e lavorare per la perfezione degli altri. Ciò che ci caratterizza è lo spirito di obbedienza: senza ritardo, senza riserva, senza rimpianti, per amore, piuttosto che per qualunque altro motivo. La nostra Congregazione ha assunto il nome del Sacro Cuore perché si sente unita al Cuore di Gesù mentre dice al Padre: Eccomi per cooperare per la salvezza delle anime. Essa vuole imitare la vita di nostro Signore formando i suoi membri a vivere nello spirito di umiltà, di obbedienza, di  devozione e di carità… Queste le virtù del Sacro Cuore che danno senso al nostro essere e al nostro vivere. E bisogna dire che chi ha bevuto alla nostra sorgente spirituale, ha trovato le basi di una vita radicata nel divin Cuore. Ecco la nostra gioia da condividere con gli altri!

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 Argentina

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Realtà della finzione

Dal 2001, le riprese cinematografiche nelle nostre case di Argentina sono abbastanza frequenti. Attratti dai costi ridotti, ci sono troupe provenienti dalla Germania, dall’Italia, dalla Spagna, ed ora anche dagli Stati Uniti.
Una parte della vita del Beato José Maria Escriva de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei, è stata filmata al Castello di Martin Coronado* (non è ancora uscita nelle sale). In diversi punti del vasto edificio di Barracas, e nella cripta della basilica, sono stati girati due episodi di una serie di dodici puntate: gli «Impostori», distribuiti in America latina in formato FX, nonché diverse scene del lungometraggio argentino «Il Segnale».
Il collegio San Josè, monumento nazionale, viene costantemente preso di mira dal cinema e dalla pubblicità. Ad essere sinceri, le condizioni sono abbastanza vincolanti, perché la casa è letteralmente invasa da decine di camion, le troupe per le riprese, costumi di scena, imprese di catering, etc. a volte uno spiegamento di forze di centinaia di persone. Ma quando ci pagano, l’indennizzo è all’altezza! In questo caso, per una giornata di riprese di 18 ore al Sacro Cuore di Barracas (eh, sì, lavorano 18 ore ed è il parroco che «regge il moccolo»), ci hanno lasciato 10.000 dollari, il che vuol dire una bella cifra, considerando gli scarsi proventi della parrocchia. E’ chiaro che siamo legati da un contratto di riservatezza, con il quale ci impegniamo a non divulgare quello che abbiamo visto prima che sia diffuso al grande pubblico, e soprattutto a non prendere fotografie.
In generale, bisogna essere attenti alle contraddizioni tra le dichiarazioni dei realizzatori e la realtà delle riprese. Per esempio, c’è stato il caso di una pubblicità nord-americana per un nuovo modello di telefono cellulare, alla quale, nonostante i miei sforzi, non ho potuto assistere. Si trattava di un matrimonio celebrato con grande sfarzo; nel cuore della cerimonia, un tipo che seguiva una partita di calcio sul suo cellulare si è messo a gridare: «Rete!»
Per reagire a tali abusi, da alcuni anni, la diocesi di Buenos Aires ha emanato alcune regole severe in materia. Comunque sia, è proibito riprendere, per fini commerciali, sacerdoti mentre celebrano la Messa. Eppure, malgrado tutti i rischi e i vincoli, prego ogni giorno che qualcuno venga a fare delle riprese da noi … 

Enrique Miranda,SCJ

* Il «castello» di Coronado è la vecchia casa di riposo della Comunità religiosa del Collegio San José di Buenos Aires. Era la residenza estiva dei Padri dalla fine di novembre alla ripresa dell’anno accademico in febbraio-marzo. Si tratta di un immenso edificio di 40 stanze, attorno ad un patio aperto di 70 metri per 15. Il suo nome deriva dalle sottili torrette che sormontano la facciata.


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4. IL TEMPO DEL SACRIFICIO

a cura di 
Joseph Séguinotte,SCJ

L’Écho de Bétharram
settembre-ottobre 1944

Nel 1936, l’apertura della strada Yunnan-fu–Tali rappresentava un grande progresso, perché ormai un’automobile poteva in un giorno percorrere i 420 km che separano le due città; ben diverso dai tredici giorni a cavallo di una volta. In aprile, subentrò il timore che la tragedia dei pirati del 1926 si potesse ripetere: l’anarchia imperversava nel paese, bande armate marciavano verso Tali: si organizzò la difesa e i protestanti fuggirono. Per fortuna le colonne cambiarono rotta e lasciarono la provincia, non prima però d’aver saccheggiato due residenze della Missione, quella di P. Barcelonne, che dovette fuggire, e quella di P. Bart che, inseguito, dovette abbandonare i suoi due cavalli con tutto il carico: effetti personali, breviario, altare portatile, etc. 
In questo periodo, la tribù Lahoue, evangelizzata da P.Oxibar, si incamminò in massa verso il cattolicesimo: in pochi mesi si contarono più di 10.000 catecumeni. Davanti a questo movimento di conversione di massa, le piccole autorità cinesi scatenarono una violenta persecuzione: «misero in prigione quelli che si erano convertiti, soprattutto le persone più influenti, furono torturati e spogliati dei loro beni. Tutto questo per farli apostatare, bruciare le immagini sacre e soprattutto distruggere le cappelle». Si mise una taglia sulla testa di P. Oxibar e di P. Echaïde, i quali scamparono quasi per miracolo a diversi tentativi di assassinio.
I Lahous rimasero saldi nella fede; pochi apostatarono. Era però urgente inviare rinforzi. P. Bart, P. Hüwel e Fr Xavier si misero in cammino. Da parte sua, Mons Bonetta, prefetto apostolico di Keng Tung, in Birmania, mandò alcuni catechisti e, nonostante la persecuzione più o meno allentata, i battesimi aumentarono: 1500 nel 1938, 6500 nel 1939, 8.000 nel 1940. Altre opere videro la luce, e nel 1937 la Missione contava un pre-seminario, 20 scuole primarie e secondarie, 3 dispensari, 2 asili-nido, 2 orfanotrofi, 2 case per anziani.
Una nuova serie di prove ebbe inizio nel 1938. L’8 aprile, P. Darrière moriva all’età di 34 anni. In punto di morte, evocò Bétharram e aggiunse: «L’unione di cuori, la carità tra di voi, conservatele, ad ogni costo». Le sue ultime parole ricordavano il venerabile P. Etchecopar: «Aprite la finestra, voglio vedere il cielo». Il 1° dicembre, consumato dalla febbre e minato dalle privazioni, P. Hüwel, all’età di 31 anni, moriva nel cuore della foresta: non aveva ancora tre anni di missione. Il 10 agosto 1939 era la volta di P. Darnaudéry, stroncato dalla malattia, in Birmania, all’ospedale di Bhams, a 35 anni.
Seguirono poi le morti cruente: il 24 maggio 1940, P. Bart veniva assassinato all’età di 36 anni: «Una trentina di malviventi armati di coltello, di fucili, di pistole, si introdussero in casa e rubarono gli effetti personali del padre, poi lo legarono mani e piedi; anche il suo catechista venne immobilizzato, ma in piedi … I banditi fecero fuoco prima sul padre, alla tempia; poi sul catechista che fu raggiunto al petto e alla schiena: morì subito, senza un lamento. Questi pazzi forsennati ritornarono poi dal padre e lo colpirono ancora due volte, raccolsero gli ultimi oggetti che restavano e partirono non prima di aver appiccato il fuoco alla casa».  Ecco l’ultimo sacrificio: verso la fine di novembre del 1942, P. Miguel «fu ucciso a colpi di fucile e di pugnale, nella sua residenza …»

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La redazione è a cura del Consiglio Generale.

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