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01/05/2010

Notizie in Famiglia - 14 novembre 2010

Sommario

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La parola del Padre generale

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Idoneus, expeditus, expositus

Quali sentimenti non dovrebbe ispirarci l’intervento divino! Quale amore, quale rispetto per la Società e quale emozione per esserci stati chiamati! Quale dedizione gioiosa e costante per lavorare nel suo interesse, per plasmare uomini degni di essa, uomini “idoneos, expeditos, expositos”, uomini preparati a tutto, liberi da ogni intralcio e interamente aperti a chi di diritto! (DS 272).
Queste frasi tratte dalla Dottrina spirituale sono molto forti e traducono una grande ammirazione per il mistero della Congregazione: tre punti esclamativi in tre frasi. Vi si esprime  la radicalità del Vangelo con triplice insistenza : tutto, ogni, interamente, una eco al senza ritardo, senza riserve, senza ritorno, per amore. Parole che tratteggiano la fisionomia del religioso di Bétharram, capace di adattarsi, libero da condizionamenti e aperto. Queste qualità fanno del prete del Sacro Cuore  una persona libera, distaccata e senza remore, in grado di rispondere, sotto la guida dello Spirito Santo e dei suoi superiori, alle finalità della Missione della Chiesa e di meglio servire gli uomini, in particolare, i più poveri.
Capaci di adattarsi, liberi da condizionamenti e aperti. Comportamenti che dovrebbero essere materia di esame di coscienza quotidiano, per tutelare il nostro cuore con occhio attento e vigile; si eviterebbe così di rifugiarci in un bene apparente, un bene sottile che ci mantiene nostro malgrado nella menzogna.
Idoneus: pronto a tutto. Disposto al successo ma anche al fallimento, agli elogi come alla critica, al riconoscimento come al disprezzo, al caldo ed al freddo, a vivere tra gli agi o in ristrettezze, a rimanere o ad andarsene. Disposto a servire, a vivere la fratellanza in comunità e a vivere d’amore, disposto ad obbedire perché non ha nulla da perdere, a donarsi senza tutelarsi, a perdersi invece di cercarsi, a fare in tutto il bene dei confratelli e di coloro che la missione ci ha affidato…. La nostra fiducia e la nostra speranza non sono riposte in persone o in umane parole, bensì nella Parola di Dio, che è Gesù, il Verbo incarnato, nostro Creatore e Signore. 
Expeditus: libero da ogni intralcio. Questa radicale disponibilità può esistere soltanto se prestiamo attenzione a mantenerci indipendenti da qualsiasi bene materiale e spirituale. I nostri voti di castità, di povertà e di obbedienza ci aiutano a farci sentire distaccati da persone, cose, istituzioni ed onori, a non farci credere di essere indispensabili e insostituibili, a pensare che nessuno meglio di noi può fare quel che ci piace. Spogliati di ogni cosa, soprattutto di noi stessi (DS 45) dice ancora San Michele Garicoïts. Siamo discepoli di Colui che si  svuotò di se stesso per essere uno di noi (Fil 2,7), e che rinnegò se stesso sulla Croce donandosi fino alla morte, sicuro che attraverso il suo sacrificio, il Padre avrebbe riconciliato a sé l’umanità. Siamo discepoli di quell’Agnello divenuto nostro Pastore (Ap 7,17) …. Come lui vogliamo essere piccoli, sottomessi, costanti e contenti, perché, è a questi che sono tali, che Gesù rivela ciò che ha udito dal Padre (Gv 15,15).
Expositus : interamente aperto a chi di diritto. Questo distacco non è possibile che ad una condizione : che non ci rinchiudiamo in noi stessi, sui nostri interessi, gusti e bisogni, ma ci manteniamo al contrario aperti, l’occhio e l’orecchio vigili all’azione dello Spirito Santo, nella nostra vita e alle indicazioni dei superiori ; la loro missione è di aiutarci ad uscire da noi stessi, indicandoci le necessità più urgenti e di maggiore importanza attraverso gli impegni che la Congregazione ha assunto con le Chiese locali e la Chiesa universale.
Non siamo noi il centro della missione, né lo è la Congregazione e neppure la Chiesa. Il centro della Missione è Gesù Cristo, da portare a tutti gli uomini e a tutte le donne. Come diceva il Papa Benedetto XVI ai giornalisti, sull’aereo che lo portava in Inghilterra : Direi che una Chiesa che cercasse soprattutto di essere attraente sarebbe già sulla strada sbagliata, perché la Chiesa non lavora per se stessa, né  per crescere numericamente e così aumentare il suo potere. La Chiesa è al servizio di un Altro, non deve essere utile a se stessa per essere più forte, ma per rendere accessibile l’annuncio di Gesù Cristo.

Gaspar Fernandez,SCJ


nef-etchecopar.jpgPade Auguste Etchecopar scrive...
a P. Jean Magendie, 2 novembre 1893

I commissari [diocesani che istruiscono la Causa di P. Garicoïts]  sono meravigliati nel vedere tanta profondità, tanta solidità e chiarezza di cui P Garicoïts dà prova durante 40 anni e scrivono: «Felice la Congregazione che ha un tale maestro, un fondatore così completo … No; i membri che la compongono non devono andare altrove per istruirsi: non troverebbero niente di meglio, niente che possa uguagliare questa dottrina grande e forte esposta in modo così chiaro, e comunicata con quel calore che fa non solo conoscere ma anche amare la Verità».
Oh! Cari Padri, cari fratelli, cari Figli! Se gli estranei parlano così ed esprimono questi sentimenti, cosa devono pensare e provare i figli? I vecchi che lo hanno conosciuto, che lui ha formato a sua immagine, che lui ha nutrito con il suo pane, sono stati loro stessi dei santi e degli eroi … Anche il solo ricordarli mi affascina e mi commuove. E quando, sul Calvario, i miei occhi vanno dalla tomba del Padre alla tomba di questi suoi figli (…) divento preda di una grande confusione a causa della mia grande miseria e della speranza nella protezione potente di questa parte di noi stessi che già è in cielo …
Coraggio dunque e fiducia; vedendo tali esempi di famiglia, corriamo e proseguiamo i loro eroici combattimenti con lo sguardo sempre rivolto al nostro Amore crocifisso e al suo cuore aperto!


Riflessione

Nazareth (Israele) - Casa di Bétharram  

Intuizione di padre Etchecopar, chiamata per l'oggi

In terra Santa, dove mi trovo, ho una serie di lettere di padre Etchécopar con la data del periodo in cui la fondazione di Betlemme era in fase di progettazione (1877-1878).
L'interesse storico è innegabile; ma a questo si aggiunge una riflessione sul modo di leggere e di comprendere i segni della volontà di Dio. Questa intuizione di un momento preciso della storia, al di là delle forme che la missione ha assunto da allora e per il seguito, può rivelarsi utile per l'oggi.
La gioia si unisce alla sorpresa sotto la penna del religioso: il fatto che il “Sovrano Pontefice abbia autorizzato direttamente e immediatamente (L 445, 25/12/78)  la presenza dei religiosi di Bétharram al servizio della cappellania delle carmelitane gli appare chiaramente come un segno evidente della volontà di Dio. Questo viene a confermare lo slancio missionario che animò i membri del Consiglio, scrive in un'altra lettera, quando si era trattato di assumere l'impegno qualche mese prima: “alla prima apertura di questo progetto, i Padri del consiglio hanno esclamato: è un'opera bella!” … E padre Etchécopar, normalmente così prudente e consapevole dei problemi legati  alla mancanza di religiosi, e alle difficoltà di relazione con le autorità religiose locali, sembra essere trascinato dallo stesso dinamismo: “mi chiedo davanti al Signore se non bisognerebbe fare qui un'eccezione considerando quale grazia sia lo stabilirsi in terra Santa.” (L.284, 23/01/77). Da allora la Congregazione ricevuto altre chiamate, e ha saputo aprirsi un cammino verso un servizio alle chiese locali sempre più fedele e umile...
La crisi e la mancanza di vocazioni non sono certo minori oggi e non sono le chiamate e le sfide che mancano! Il passato non deve farci dimenticare l'appello ad essere un campo volante di uomini disponibili. Nella congregazione si sono vissuti cambiamenti dolorosi. Leggendo gli scritti di padre Etchécopar mi sembra che l'evento della fondazione di Betlemme nasconda i germi di una intuizione che è certamente esigente, ma che, se è accolta, permetterà di essere creativi.
Ci sono due aspetti significativi e iscritti, come due fili d'oro, nella trama degli eventi: la preoccupazione della vita religiosa vissuta con coraggio, la percezione della bontà intrinseca al rendere un servizio.
Quanto alla preoccupazione della vita fraterna, il superiore né chiaramente cosciente quando si confida con il Patriarca stesso: “ Monsignore, permettetemi di essere certo che questo vostro amato figlio troverà presso la venerabile Paternità Vostra i vantaggi e gli inestimabili tesori della vita religiosa comunitaria ai quali rinuncia partendo solo e isolato …” (L 329). Questa grande attesa è secondo lui essenziale per la riuscita della missione. Essa è segno del fatto che l'eccezione è al servizio della missione ma che tale eccezione non è mai un'opzione normale.
Per lui, in quanto responsabile, la bontà di questa missione non dipende solo dal luogo dove essa è esercitata. Essa risponde anche a un dinamismo di fondo che lui esprime a più riprese: il servizio della cappellania delle carmelitane, il contatto con loro da parte di diversi religiosi è una buona cosa perché fa parte di una “ condivisione spirituale forte” ed è un incoraggiamento meraviglioso a una “energia di vita spirituale” (L 284, 356). È questo il vero centro sul quale poggia il discernimento per giudicare dell'opportunità di una risposta favorevole o meno.
Se le forme della missione cambiano, possiamo trovare in queste prospettive di padre Etchécopar la traccia di un elemento essenziale al quale a nostra volta fare riferimento per una fedeltà che  vuole essere creativa. Ancorati in lui, ci sarà possibile prendere le decisioni più coraggiose, optare per le soluzioni più inaspettate al servizio della Chiesa e del mondo. Alla domanda, “chi siamo?” P. Etchécopar, e tanti altri come lui, ha largamente contribuito a rispondere. Alla domanda “che cosa viviamo?”, rispondiamo spesso quanto sia importante per noi questa condivisione semplice e umana con gli uomini e le donne di questo tempo, incarnazione che rivela loro il volto di Cristo. Quanto poi alla domanda “cosa vogliamo insieme?”, essa fa appello a una visione personale e a una condivisione fraterna di fede. Essa dipende dalla nostra responsabilità perché rappresenta quell’impegno che siamo chiamati ad assumere nell'opera del Padre per la nostra Congregazione. Che lo Spirito ci venga in aiuto, che l'intercessione di padre Etchécopar rischiari questo cammino di discepoli di San Michele, cammino che ha così coraggiosamente aperto per noi.

Philippe Hourcade,SCJ 


1* Capitolo della Regione Beata Maria di Gesù Crocifisso

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Fraternità e sfida senza confini

La settimana precedente al Capitolo regionale, il Vicariato d’Inghilterra ha avuto la gioia di accogliere i delegati giunti dalle altre parti della Regione: i padri Pensa, Tidkam, Suthon, Jiraphat e Subancha dalla Thailandia e i padri Biju Paul, Biju Antony e Enakius dall’India. L’accoglienza è stata assicurata dalla comunità di Olton guidata da Fr. Andrew, anch’egli membro del Capitolo. Erano presenti pure P. Austin, superiore regionale e, per il Vicariato d’Inghilterra, P. Colin Fortune, P. Anton Madej e il diacono Wilfred. Purtroppo sono mancati all’appello tre nostri confratelli, P. Chan, attualmente di stanza a Bangalore (India), P. Mongkhon di Sampran (Thailandia) e P. Subesh, che lavora a Bongaigon. Noi siamo vicini a loro con il pensiero, e speriamo che la prossima volta possano ottenere il visto per visitare l’Inghilterra.
Prima dell’inizio dei lavori, i capitolari sono stati condotti a visitare le diverse case di Bétharram in Inghilterra, tra cui la nuova parrocchia assunta da P. Anton a nome del Vicariato – si tratta di due piccole parrocchie che sono state unite – che ha riservato un’ottima accoglienza ai padri e ai religiosi del Sacro Cuore. Dopo una breve sosta a Clayton, ci siamo riuniti per la messa nella parrocchia vicina di Ashley; alla concelebrazione nella piccola chiesa di campagna ha fatto seguito un buffet conviviale con i parrocchiani.
Il primo Capitolo della Regione Beata Miriam si è svolto tra il 26 e il 28 ottobre in un luogo storico: la biblioteca del Priorato di Olton, proprio dove il Card Newman, recente-mente beatificato, ha predicato nel 1873 per l’inaugurazione di quello che allora era una cappella. Il tema della riflessione era tratto dalla seconda lettera ai Corinzi: “Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi” (4,7).
Il giro d’orizzonte dei tre Vicariati ha permesso di identificare le forze e le debolezze rispettive. All’in-vecchiamento dell’emisfero Nord, risponde la crescita vocazionale del sud (14 preti autoctoni e 38 giovani in formazione in Tailandia; 9 preti e 33 in formazione in India). In un dialogo schietto e aperto, i delegati si sono confrontati sulle fragilità umane, istituzionali e finanziarie di questa situazione. E’ emersa anche una volontà comune: curare di più il lavoro d’insieme, come Regione. Sono stati poi eletti i rappresentanti anglo-asiatici al Capitolo Generale: i Padri Colin, Pensa, Tidkham, Biju Alappat e Fr Gerard.
Le riunioni del capitolo sono state sostenute dalla liturgia gioiosa e devota preparata da Fr. Andrew, mentre gli altri Fratelli si erano incaricati della ristorazione, aiutati da alcuni parrocchiani generosi sempre pronti a dare una mano alla comunità di Olton. Al termine del terzo e ultimo giorno i Companions of Bétharram (laici associati) di Olton e di Balsall Heath si sono prestati per preparare la cena conclusiva, assortimento di “fish and chips”, “hachis parmentier”, e piatti più piccanti secondo la tradizione thailandese e indiana.
Senza essere un evento storico della portata dei Concili di Nicea o Calcedonia, il Superiore Regionale ritiene che sia stato fatto un passo avanti nella comprensione, il rispetto reciproco e l’amicizia: “Eravamo consapevoli di essere dei poveri vasi di creta, ma con la serena certezza di custodire in noi un tesoro” (P. Austin). Auguriamo un buon rientro a casa ai nostri confratelli della Regione. A parte il freddo delle nostre latitudini, trascorrere alcuni giorni in loro compagnia è stato un piacere.

Anton Madej,SCJ 


5 minuti con... padre Dominique Etcheverria

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P. Dominique Etcheverria vive a Limoges, nella Francia centrale, da circa 40 anni (il tempo della compiutezza nella Bibbia). Con grande semplicità, ha accettato di ricordare per noi qual è la sua missione come betharramita e cosa lo fa sentire pienamente parte di questa famiglia religiosa.

Nef: Tu hai un nome prettamente basco e sei stato trapiantato a Limoges nel 1969; com’è nata la tua vocazione e quali strade ti hanno portato lì?
- Con il mio nome e il mio accento, non è possibile negare le mie origini. Nel giugno del 1944, un Padre di Bétharram, Padre Ithuralde, venne nel mio paese natale, agli stremi confini dei Paesi baschi, a predicare il ritiro della “Comunione solenne”. Fu il mio primo contatto con la Congregazione. È così che sono arrivato a Bétharram. Ho svolto gli studi all’Aposto-licato e alla scuola di Bétharram. Poi il noviziato. Infine lo Scolasticato. Persino 28 mesi di Servizio militare durante la guerra d’Algeria. Prima e dopo la mia ordinazione, per le mani di Mons. Lacoste SCJ, vescovo di Tali, ho fatto un lungo soggiorno alla Scuola di Sonis a Sidi-Bel-Abbès nella parte occidentale dell’Algeria, dove ho ricevuto l’immensa grazia di vivere in una comunità di giovani religiosi-preti dinamici, generosi e contenti che hanno segnato la mia vita. Dal 1968, la catechesi in Francia aveva appena conosciuto una grande evoluzione con la partecipazione dei catechisti laici. E fu nel settembre del 1969 che fui chiamato a Limoges.

La maggior parte del tuo ministero si è svolto con i giovani; cosa porti con te di questa esperienza?
- Al servizio dei ragazzi, dei giovani e degli adulti, ho vissuto inizialmente 10 anni in Algeria, un quarto di secolo a Limoges: nel collegio Ozanam e alcuni anni nel collegio Santa Giovanna d’Arco, nella parrocchia San Michele. Chiamato dal vescovo, sono stato incaricato dell’accom-pagnamento degli Scouts e Guide di Francia come Cappellano diocesano, per 15 anni, e infine del Gruppo Giovani della Fraternità Cristiana degli Ammalati cronici e portatori di Handicap fisici, Movimento d’Evange-izzazione, familiarmente chiamato “la FRAT”. Le mie gioie più grandi? Quelle di vedere due giovani diventare sacerdoti-religiosi e due leaders delle Guide di Francia diventare religiose; anche quella di lavorare con gli adulti: catechiste, responsabili dei Servizi diocesani e dei gruppi locali; quella infine di cercare di rispondere alle chiamate che mi sono arrivate dai vescovi di Limoges e della Regio-ne Sud-Ovest come Cappellano diocesano e Regionale della FRAT d’accordo con la Comunità e i Superiori.

La presenza di Bétharram nel mondo dell’educazione, in Europa almeno, è nettamente diminuita in questi ultimi decenni. Come hai vissuto questo evolversi?
- Come una sofferenza vissuta nella fiducia in questo nuovo orienta-mento della Provincia di Francia. Ciò ha permesso di rispondere ad altre chiamate dei vescovi, nelle quali vedo altrettante sfide per la Congregazione: in un mondo segnato dall’individualismo, formare alla responsabilità; in un mondo segnato da una perdita di punto di riferimento, essere luogo di iniziazione cristiana; in un mondo in cerca di senso, una spiritualità fondata sul Carisma di san Michele Garicoits. Il Carisma di Bétharram non ci chiama forse a continuare a vivere l’impegno educativo nel mondo giovanile?

Tu ti sei impegnato molto presso i “piccoli”, come cappellano della Caritas e della Fraternità degli Ammalati. Ci puoi dire qualcosa di più?
- La mia missione presso i “piccoli” e i poveri è appassionante ancora oggi in mezzo alle difficoltà incontrate. Ciò che mi rende felice è poter collaborare come cappellano o prete accompagnatore nei Movimenti o Servizi dove i laici sono i primi responsabili della loro missione, che sia l’Azione Cattolica Femminile, o la FRAT (Fraternità degli Amma-lati e portatori di Handicap) e anche l’Aiuto cattolico. Il primo aspetto di questo impegno è di ascoltare, accogliere, creare legami di fraternità, di amicizia. Questo ci unisce, mi sembra, alla principale missione della Chiesa che è di testimoniare l’Amore di Dio attraverso l’aiuto reciproco, la dedizione e l’amicizia. Il secondo aspetto: il gruppo, lo spirito di gruppo per mettersi a disposizione, uscire da se stessi e dalla propria casa e andare a visitare un altro che diventa responsabile di quest’uomo o di questa donna, e che lo spinge, da parte sua, a fare altrettanto. E questo con la pazienza che caratterizza la delicatezza di Dio. A me piace il logo della FRAT: “Alzati e cammina” verso i tuoi fratelli e sii testimone del Risorto nelle tue visite, lettere, telefonate, riunioni tra amici e di riflessione, di condivisione del Vangelo, preghiera… Come un piccolo seme, la FRAT, nata nel 1945, a Verdun, e ben viva oggi in più di 150 paesi nei 5 continenti.

Cos’hai imparato stando con i poveri e i malati?
-Innanzitutto, ho imparato il prezzo, la grandezza di ogni persona, quale ne sia l’età, la situazione sociale, la salute, la nazionalità, la religione. Ho imparato anche ad andare con fiducia verso l’altro e rompere il suo isolamento, a credere nelle sue capacità, ad essere vicino ai diseredati, a lottare contro la mentalità dell’assistenzialismo. Infine ho conosciuto la mia povertà, le povertà attraverso le quali, credo, può passare il dono dell’amore di Dio.

Con i religiosi della tua generazione, tu sei passato dalle grandi comunità legate ad un’unica opera (collegio), alle piccole comunità polivalenti; come hai vissuto questo passaggio?
- All’inizio, con difficoltà. Guardando indietro, ho visto tutto il positivo che portano le piccole comunità polivalenti: le riunioni di comunità dove ognuno può portare la propria esperienza della sua missione, le sue difficoltà, le sue conquiste, le sue pene e le sue gioie; la preghiera comunitaria, soprattutto l’Eucaristia, e la Liturgia delle Ore; le giornate di fraternità, di convivialità che permettono di conoscersi meglio; cercare di accettarsi così come siamo, di aiutarci gli uni gli altri a vivere la vita consacrata, nel rispetto reciproco …

Quale frase del messaggio di san Michele ti ha accompagnato e continui a portare con te giorno dopo giorno? 
- Durante la mia vita di consacrazione, ciò che mi ha nutrito e mi nutre ancora quotidianamente è l’Heldu naiz, l’Eccomi di san Michele Garicoits per agire nei “limiti della mia posizione”, “per amore più che per qualsiasi altro motivo”. “Bethi aintzina”, “avanti sempre!”.


In memoriam | Argentina: P. MIGUEL MARTINEZ FUERTES,SCJ

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Palacios de la Valduerna, 30 settembre 1942 | Martin Coronado, 13 ottobre 2010

Ho accolto la notizia della scomparsa di P. Miguel Martínez Fuertes con profondo dolore. Con lui ho vissuto per circa un anno nella nostra residenza di Martin Coronado nel 2007. Il Signore ha voluto che io stessi accanto a lui il fine settimana precedente alla sua morte, dato che P. Miguel mi aveva accolto come ospite.
Nel maggio del 2005 ci sorprese positivamente che Miguel, fino ad allora economo generale della Congregazione, avesse deciso di aggregarsi all’ex provincia del Rio de la Plata, oggi Vicariato d’Argentina e Uruguay. Nato a Pala-cios di Valduerna, nella provincia di Leon, in Spagna, Miguel è uno dei pochi ex-alunni rimasti dell’Apostolicato di Mendelu. La sua formazione alla vita religiosa lo portò in Francia, dove fece il noviziato e gli studi successivi. Lì perfezionò anche la sua innegabile passione: la musica. Tutti, qui in America Latina, intoniamo spesso la sua celebre composizione “Señor, aquí estoy”. Durante le sue amene chiacchierate, Miguel ricordava i tempi trascorsi con i Padri Manzanné e Brunot, il primo per la sua dedizione all’arte musicale, il secondo per essere stato decisivo nella sua formazione biblica e teologica.
Dopo aver svolto il suo ministero nei paesi baschi e in Zaragozza, P. Miguel ricevette la chiamata per l’America latina nel 1980: la sua destinazione fu il Paraguay, dove ha lasciato, senza dubbio, un’impronta indelebile. Noi che lo abbiamo conosciuto, riconosciamo  in lui una profonda umanità, la sua attenzione paterna, la sua sollecitudine al servizio ai fratelli, il suo calore umano. Vicino a lui, uno si sentiva sempre “come a casa”, ben accolto.
Sono stato testimone della cura solerte che P. Miguel ha riservato a P. Cabero, “leonés” come lui. P. Cabero, ammalatosi gravemente di cancro, fu sottoposto a vari interventi chirurgici. Per la durata di tutta la sua convalescenza, P. Miguel fu sempre presente, vicino a lui. Fu un vero segno di fraternità betharramita.
Il suo lavoro di traduttore, d’altra parte, è stato per noi, di lingua spagnola, di importanza fondamentale. Grazie al suo lavoro possiamo avvicinarci ai testi del fondatore in spagnolo, leggere gli articoli della NEF del passato e dei giorni nostri, approfondire l’eredità di P. Etchecopar, tra le altre cose. Il suo impegno a tradurre testi del nostro carisma è un segno eloquente del suo amore alla nostra famiglia religiosa e del suo forte senso di appartenenza.
Nonostante soffrisse di diabete, Miguel si dedicava con corag-gio al lavoro in parrocchia e nei collegi di Coronado. Aveva sulle spalle una grande responsabilità e, nella misura del possi-bile, si dava “all’immensità della carità, lì nella sua comunità”.
L’amore alla famiglia religiosa ha le sue radici, probabilmente, nel suo grande affetto che dimostrava verso la propria famiglia. Manteneva frequenti contatti con sua sorella Pilar, ha potuto vedere suo fratello Angelo, poco prima della sua morte. Conservava con cura una registra-zione audio con le voci dei suoi genitori. Figlio della sua terra, era sempre vivo in lui  il desiderio di visitare la sua terra natia. La distanza e il tempo non avevano fatto diminuire nel suo cuore l’affetto per la sua patria.
Ci addolora, però, che abbia trovato la morte nella solitudine. Per diverse circostanze, Miguel viveva la maggior parte del tempo da solo a Martin Coronado. Lui, un uomo di comunione, un fratello, segno di accoglienza, di compagnia, di calore umano, ha fatto l’ultimo passo da solo, di notte. Tutti noi del Vicariato ci chiediamo quale messaggio il Signore vuole darci attraverso il dono della vita di Miguel.

Guido García,SCJ

TESTIMONIANZA DEL SUO MEDICO

Caro padre Miguel, ringrazio il Signore per averti conosciuto. Di te conservo il ricordo migliore … ottimo paziente, metodico, organizzato e sempre capace di vedere “il bicchiere mezzo pieno”, ottimista, con una fede profonda, e con un saper essere bambino che ti rendeva trasparente. Mi hai regalato le tue poesie, di una purezza che sorprende, così come la tua musica. Sei stato anche il mio maestro di informatica, via e-mail…

La nostra fede ci rende sicuri che tu sei con il Padre, che ti ha già accolto con un abbraccio di Misericordia, ed anche Lui ti ringrazia per il tuo sacerdozio, perché trasmettevi pace, fede e fiducia nella Provvidenza. La tua testimonianza di vita mi aiuta e sono sicura che continuerai ad essere luce per molti.

Claudia Aspe (Buenos Aires, 14 ottobre 2010)

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10. IL COMUNISMO E LA MISSIONE DI TALI (dal dicembre 1950 al dicembre 1951)

a cura di
Arnaud Pucheu,SCJ

L’Écho de Bétharram
marzo 1952

In cammino verso le tre autonomie - L'emissario governativo di stanza a Tali , dice che “ la riforma della Chiesa” sicuramente andrà avanti senza intoppi. Tale emissario non ha impiegato molto tempo a conoscere tutte le famiglie cristiane, a minacciarne alcune, a incoraggiarne altre, cioè quelle progressiste, impegnandole a sorvegliare tutti i nostri movimenti e a riferire tutti i nostri discorsi.
Il catechista del vescovo è del parere di accelerare la costituzione di un comitato riformista con tutte le garanzie dell’ ortodossia religiosa. Intorno al 15 novembre si teneva l'assemblea per eleggere il presidente e i delegati. Il catechista del vescovo ottiene la maggioranza assoluta dei voti. Da qui nascono le rimostranze e le ingiurie della minoranza che era al soldo della polizia, dissimulati in fondo alla sala delle riunioni. Il sacerdote cinese, che faceva parte dell'assemblea, si sente chiedere in modo grossolano: “ Rientra nella tua tana; non capisci niente di idee moderne!”
Siccome il litigio non accenna a placarsi, le due parti in causa inviano alcuni rappresentanti alla polizia, perché sia arbitro della contesa. La polizia aspettavo solo questo: ecco come esprime il suo verdetto:” L’indottrinamento è insufficiente; ancora un mese di studio, e sarete maturi per la riforma.”
La domenica seguente, con grande sorpresa e indignazione generale da parte dei cristiani, la sala delle riunioni è invasa da ufficiali che si autonominano esaminatori dei cristiani. Evidentemente le conoscenze di questi ultimi circa le tre autonomie si rivela scandalosamente insufficiente … Bisogna cambiare metodo e insegnanti … Si vota! Di fronte a una pressione era una malafede così sfrontate, il catechista del vescovo si ritira: vengono eletti cinque cristiani, che saranno incaricati durante un mese di insegnare ai cristiani il significato esatto - cioè come lo intende il governo -delle tre autonomie. Durante un mese i cristiani erano obbligati ad assistere, con almeno due membri per famiglia, alle riunioni di indottrinamento. La materia era distribuita  e ordinata dal nostro amico poliziotto: tutte le calunnie ripetute con insistenza contro la Chiesa, ricettacolo dell'imperialismo in Cina. Erano chiamati a partecipare a queste riunioni anche i nostri bambini e bambine orfani. L'indottrinamento ha portato i suoi frutti, almeno esteriormente. Un orfano di 15 anni dichiarava in mezzo alla riunione: “Fino al 1949, la dottrina della Chiesa era pura; poi  è stata inquinata dall’l'imperialismo.” Tuttavia per quanto riguarda la questione della separazione dal Papa, tutti i cristiani, anche i progressisti, hanno rifiutato il loro consenso; il governo ha dovuto venire a patti per il momento.
Un tale lavoro ha avuto il suo coronamento alla riunione preparatoria per costituire il comitato della Riforma: tutte le famiglie cristiane dovevano parteciparvi, come pure i capi di tutte le comunità di Tali.
Una volta aperta l'assemblea, i cristiani si sono rifiutati di parlare; alcuni ufficiali, per tre ore, hanno dovuto fare propaganda sui pericoli dell'imperialismo, che si infiltra nella chiesa attraverso i missionari stranieri. Questo fiume di eloquenza ha avuto la sua degna conclusione in un sermone frenetico di un pastore protestante, che ha evocato i grandi antenati, Lutero e Calvino, e ha condannato all'inferno tutti i missionari stranieri. Ora che gli spiriti sono stati illuminati, si è proceduto alle elezioni con uno scrutinio di cinque nomi imposti dalla … polizia. Poteva forse andare diversamente? Il nostro amico, l'emissario, era raggiante: era il suo grande giorno.

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La redazione è a cura del Consiglio Generale.

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