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01/05/2010

Notizie in Famiglia - 14 luglio 2010


Sommario

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La parola del Padre generale

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Per  la  gloria  del  Padre  che  è  nei  cieli

Oggigiorno molti giovani tornano ad attribuire importanza all’abito talare. Senza entrare nel merito dell’argomento, sono però convinto che la genuina visibilità della nostra vita consacrata (dove con la parola visibilità si intenda la percezione, da parte di chi ci guarda, del modo in cui noi viviamo) consista nella testimonianza gioiosa che noi rendiamo vivendo secondo il Vangelo, nella nostra vita privata così come in quella pubblica. Gioia della fede e della carità, gioia d’essere un uomo di Dio e gioia d’essere un uomo fraterno, gioia che dà il perdonare ed il condurre una vita semplice, gioia nell’ascolto e nella generosità di consacrarsi a coloro che la nostra missione ci ha affidato, gioia d’avere delle responsabilità e di dedicarsi con passione al lavoro, gioia di saper essere tolleranti e rispettosi delle diversità, gioia infine nell’essere umili e comprensivi.
Non abbiamo scelto questa forma di vita per metterci in mostra. La nostra scelta ha le sue radici in un’esperienza dell’amore di Dio; in risposta a questo amore, abbiamo deciso di fare della nostra vita un atto di amore verso Dio e verso i nostri fratelli, gli uomini che Dio ama. Questo orientamento di fondo, con tutto quello che esso comporta in termini di rinuncia e dedizione, conferisce un senso alla nostra vita. Noi viviamo secondo la nostra forma di vita evangelica, ci si accorga o non ci si accorga di noi, ci si interessi o meno a come noi viviamo, anche se la nostra scelta di vita dovesse recare disturbo, incuranti del fatto che si susciti rispetto o che si venga criticati o perseguitati, così come ci aveva predetto Gesù, nostro solo Maestro e Signore, anch’egli perseguitato.
Il valore della nostra vita dipende dalla fedeltà, dalla coerenza ed autenticità, dalla costanza e dall’umiltà di essere ciò che siamo. Se entro in una chiesa, anche vuota, per visitare il Santissimo Sacramento, non resto poi lì ad aspettare che qualcuno mi veda. Sono fedele al voto di castità perché lo considero un valore evangelico che mi realizza, anche se la cosa è motivo di canzonatura tra i  vicini del quartiere. Rimango casto, anche quando sono solo davanti al computer. Mantengo i rapporti con chi un giorno mi ha pubblicamente umiliato, anche se altri al mio posto si sarebbero vendicati, perché sono convinto che colui che mi ha offeso è mio fratello, figlio di un medesimo Padre.
La visibilità della nostra vita cristiana è essenziale nell’adempimento della nostra missione : (…) né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli. (Mt 5,16-16).
C’è un tipo di visibilità (nel senso più sopra definito) che viene spesso trascurato : quando chi ci guarda ci vede vivere in maniera differente da quella che noi predichiamo. Io amo mettere la talare, ma per rendere testimonianza a Cristo, e non perché gli altri abbiano di me maggior considerazione. Preferisco passare inosservato, non farmi notare, ed apparire modesto e riservato per andare dovunque, e senza che si sappia chi io sia. Ci atteggiamo a uomini di Chiesa e predichiamo in favore dei poveri, ma l’auto che noi guidiamo dice chiaramente a tutti che non siamo poveri. La gente ci identifica come religiosi vedendoci in parrocchia o in collegio, ma si scandalizza se ci vedono rientrare in comunità a tarda notte, e talvolta magari sotto l’effetto dell’alcool. Ci sentono sempre parlare di denaro e ascoltano i nostri bei sermoni, tuttavia non ci hanno mai trovati in preghiera davanti al tabernacolo oppure mentre parliamo con passione di Cristo e delle cose dello Spirito. La gente sa che siamo tenuti a vivere in comunità, però io vedo che un fratello appartenente alla comunità stessa è sempre in giro e non si priva di nessuna opportunità per viaggiare, cosa questa che una persona sposata non potrebbe permettersi. Anche questa è la visibilità della nostra vita religiosa, ed è una visibilità ben più eloquente della talare e del colletto romano che indossiamo per assistere ad una cerimonia o per visitare i malati della parrocchia.
Questo si chiama ipocrisia, contraddizione tra quello che si dice e quello che si vive. E’ una cosa che fa molto male alla nostra vita ed alla nostra missione, ed è inoltre un ostacolo per i giovani: li allontana da noi invece di condurli a noi. Non ci si rende conto come, man mano che ci si adegua agli usi e costumi del mondo in cui viviamo, ci si allontani dai criteri evangelici, dimenticando Gesù Cristo, il Dio-Amore, e perdendo l’entusiasmo che ci dava il vivere nella gioia.
Gesù ci fornisce gli elementi per un esame di coscienza : «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete  il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo prosèlito e, quando lo è divenuto, lo rendete degno della Geènna due volte più di voi. (…) Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello ! Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e di intemperanza. » (Mt 23,13…25)
Nel corso di una visita alle comunità, un giovane di circa ventidue anni che partecipava ad un gruppo di riflessione sul nostro carisma è venuto da me per espormi la sua situazione : «Padre, vorrei veder chiaro nella mia vocazione. Il carisma di Bétharram mi piace molto, così come mi piace la spiritualità di un movimento del quale faccio parte insieme con i miei genitori. In questo movimento apprezzo molto lo stile di vita dei religiosi, mentre non posso dire altrettanto per i religiosi di Bétharram.» Potete immaginare con quale dolore io gli abbia detto  di pregare, e di farsi aiutare a capire non tanto ciò che piace a lui, quanto ciò che Dio vuole per lui. Ho in seguito saputo che questo giovane si è unito a quei religiosi la cui maniera di vivere maggiormente lo attirava. La nostra vita parla di per se stessa. La nostra condotta riflette le vere motivazioni che albergano nel nostro cuore. L’interno e l’esterno sono legati l’uno all’altro, avrebbe detto San Michele Garicoïts.

Gaspar Fernandez,SCJ


nef-etchecopar.jpgPadre Augusto Etchecopar scrive...
nel suo diario intimo n° 38 (1854)

Sì, ne sono certo: il sacerdozio è una realtà così sublime, così divina che il Prete deve essere un altro Gesù Cristo.
O mio Salvatore, quale indegno rappresentante avrete in me! Quale copia imperfetta, non all’altezza, lontana da questo modello così ammirabile, dalla vostra santità, o mio Dio, dalle vostre perfezioni, o Gesù. E tuttavia tutto è possibile, perché tutto posso in colui che mi dà forza (Fil 2,13).  Potete trasformare le pietre in figli di Abramo. Colmatemi, Signore, del vostro spirito … Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in me, darà la vita anche a questo corpo mortale (cf Rm 8,11).
Fate rivivere in me, potenziate, dilatate questo spirito di forza e di grazia che vi siete degnato di accordarmi all’ordinazione. Che io possa rispondere alla vostra grazia e mettere la mia fiducia nella Vergine Santa, vostra Madre.
O Gesù, spero in voi! O Gesù desidero piacervi! O Gesù come siete buono! Desidero lodarvi in eterno.


Anno sacerdotale

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 Conclusione e azione di grazie

Ho partecipato a Roma all'incontro sacerdotale col Papa in chiusura dell'anno sacerdotale. Ho ascoltato con piacere la testimonianza del Card. Marc Ouellet arcivescovo di Quebec. Raccontava: " Sono stato ordinato sacerdote dopo il Concilio e la Chiesa era nel periodo della contestazione. Ho vissuto i miei primi anni di sacerdozio privilegiando l'amore alla Parola di Dio, l'amore alla preghiera e l'attenzione ai poveri."
Ho accolto con gioia, nell' omelia della solennità del Sacro Cuore, quanto ci diceva Benedetto XVI :"Essere sacerdoti non è una glorificazione della propria persona, ma è un dono di Dio da accogliere con gratitudine e in tutta umiltà."
Ho vissuto con viva partecipazione l'adorazione eucaristica di giovedì notte. Ero impressionato dal profondo silenzio che regnava quella sera in piazza San Pietro. Accanto a me c'era un brasiliano: nell'intervento del papa non faceva che inchinare la testa in segno di assenso. Davanti, una donna brasiliana cercava di mettersi in ginocchio sui sassi della piazza ,ma non riusciva per il dolore alle ginocchia; si inginocchiava, si sedeva, si inginocchiava. E poco più in là una donna africana pregava con tale intensità da donare il gusto della preghiera.
E poi le testimonianze dei sacerdoti : da Ars il parroco attuale, da Buenos Aires un sacerdote da Barracas, da Gerusalemme un vescovo appena consacrato parlava dal Cenacolo dove Gesù con l'Eucaristia ci ha fatto il dono del sacerdozio
In Centro Africa viviamo una situazione particolare di Chiesa. Quanto è successo domanda a noi sacerdoti in missione di scoprire che cosa è essere in missione con i sacerdoti del paese perché non ci sia un "noi" e "voi". Come annunciare insieme la Buona Notizia del Vangelo senza contrapposizioni e divisioni. C'è per tutti noi tutto un cammino di conversione e di comunione.  
A Roma ho visto il cammino di comunione vissuto nelle nostre comunità di via Brunetti e la chiesa dei Miracoli. Senza contare una gradita visita alla casa famiglia di Monteporzio che è entrata in rapporto con noi alla nuova comunità san Michele per il dispensario aperto ai malati di A.I.D.S.
A Roma ho incontrato i padri che non vedevo da anni
L'11 giugno abbiamo celebrato la festa del Sacro Cuore con il Papa. Il 12 giugno 1965 sono stato ordinato sacerdote a Milano con 4 compagni. Il Cuore di Cristo cosa dice a me sacerdote del Sacro Cuore?
Leggo proprio in questi giorni sulla N.E.F del 14 maggio 2010 la testimonianza di fratel Atanasio che impedisce a padre Garicoits di aiutarlo a svuotare i bidoni della spazzatura. L'umiltà cui ci invita Benedetto XVI è l'umiltà del Cuore di Cristo nel Manifesto di San Michele.

Mario Zappa, SCJ


Santa Maria dei Miracoli | Nostra Sigora di Bétharram

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Colei che salva dalle acque (2)

Dopo la Chiesa dei Miracoli in giugno, pubblichiamo ora la seconda parte del dittico mariano di G. Sciascia: un vero ritorno alle sorgenti in preparazione alla festa liturgica della Madonna di Bétharram, il 28 luglio.

Santa Maria dei Miracoli ha un’altra storia singolare, che vale la pena raccontare. Molti fedeli vanno a pregare in una cappella davanti a una bellissima statua, tutta bianca. Rappresenta Nostra Signora di Betharram, ed è una coppia dell’originale custodito in Francia, nel Santuario di Betharram, affidato ai Preti del Sacro Cuore.
A Betharram, nella regione del Bearn, c’è un antichissimo Santuario dedicato a Maria e non lontano dal luogo sacro scorre il fiume Gave, che poco più a monte lambisce la grotta di Lourdes. Il Santuario è tanto antico che la sua storia risale a quasi mille anni orsono.
Nei pressi del Santuario, più di cinquecento anni fa, una giovanetta stava cogliendo fiori sulla sponda del fiume, dalle acque profonde e piene di vortici. Ad un tratto cercò di cogliere un fiore dai colori smaglianti, profumatissimo, per completare il suo mazzolino, ma si sporse troppo sull’acqua e il piede le sdrucciolò sull’erba bagnata. Un attimo fu travolta da un vortice. Non c’era nessuno che potesse accorrere al suo grido di aiuto, ma la sua fede profonda fu più forte del suo pur grande sgomento. Invocò la Vergine e subito un ramo misterioso, teso da una mano invisibile, apparve sull’acqua, giusto in tempo per offrire un prezioso appiglio. Il ramo era guidato da una forza benefica e invisibile: ben presto la fanciulla fu tratta in salvo fino alla sponda. Riconoscente e consapevole della grazia straordinaria ricevuta, fece eseguire da un abile orafo un bellissimo ramo d’oro che donò alla Vergine nel Santuario. Così la Madonna venerata in quel luogo per secoli è conosciuta come la Madonna del Bel Ramo; in dialetto bearnese “betharram”.
La devozione popolare la proclamò “salvatrice delle fanciulle”, e cinque secoli di grazie straordinarie confermano quanto la Madre di Dio abbia gradito tale titolo. Il fiume, con le sue insidie e i pericoli dei gorghi, è l’immagine del grande fiume della vita, con il fascino subdolo delle tentazioni e dei vizi.
Pio X, il Papa santo, manifestò una grande devozione alla Madonna di Betharram e offrì due corone d’oro di splendida fattura, formate da un intreccio di rami. Pio X volle accompagnare lo splendido dono con una dedica: “Si degnino Essi – il Figlio e la Madre – gradire questi doni che noi offriamo a loro, e, appagando i nostri desideri e le nostre speranze, ci chiamino un giorno alla corona di gloria che nulla potrà mai avvizzire”.
Fu questo stesso Papa ad offrire la chiesa di S. Maria dei Miracoli, con i locali annessi, ai Padri di Betharram che in precedenza occupavano la Chiesa dei Santi Angeli Custodi al Tritone, ora scomparsa. Dal 1915 la chiesa della piazza del popolo è officiata da loro, sancendo in tal modo il gemellaggio fra il santuario romano e quello francese.

Giuseppina Sciascia
"Madre di Dio", juillet 1990

Nota storica - La fondazione romana fu dovuta al bisogno di avere una Procura soprattutto per portare avanti la causa di canonizzazione di san Michele, e una comunità per i Padri studenti. Su interessamento di p. Saubat,  nell'agosto del 1904 il Consiglio Generale esaminava la proposta della chiesa dei SS. Angeli Custodi, in quel momento in fase di ristrutturazione e priva di un cappellano. Dopo mesi di trattative e di lavori, il 2 ottobre 1905, la chiesa dei SS. Angeli Custodi venne riaperta al pubblico, alla presenza del Superiore Generale, p. Bourdenne, del Segretario di Stato vaticano, card. Merry del Val, e di altre personalità ecclesiastiche. Primo superiore e Procuratore fu p. Fargues. La chiesa dei SS. Angeli Custodi venne demolita dal comune di Roma alla fine del 1916 per esigenze urbanistiche. Ma la presenza betharramita nella "città eterna" continuava nella chiesa di S. Maria dei Miracoli, in piazza del Popolo. (R. Cornara, archivista).


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 POESIA ALLA MADONNA DEL BEL RAMO

O Madre piena di tenerezza
Tu che ci soccorri quando siamo preda dello sconforto
Nella nostra dura lotta contro il male
Tu ci tendi il tuo bel ramo.

Quando la paura dell’inferno incombe su di noi
Tu, nostra Madre, ti metti al nostro fianco,
Allontani da noi il male e ogni falsità
Tendendoci il tuo bel Ramo.

E quando il cuore arranca su un sentiero che conduce alla disperazione
Tu apri i nostri occhi perché afferriamo il ramo della speranza
Tu ci guidi su un sentiero nuovo
Offrendoci il tuo bel Ramo

Non permettere che la malizia del peccato ci renda sordi
Apri il nostro orecchio alla tua voce d’amore
Salvati dal gorgo delle acque
Canteremo il nostro grazie, o Madonna del bel Ramo

Jean-Paul Kissi (novizio, Vicarìa di Costa d'Avorio)


CD Da San Michele a Beata Miriam

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Chi canta, prega due volte

Il 21 maggio, vigilia di Pentecoste, è stato pubblicato un CD che raccoglie un ricco florilegio di canti in onore di san Michele Garicoïts, della Beata Miriam e della Madonna. Per salutare questa iniziativa, pubblichiamo la presentazione fatta dai Padri della comunità di Pau.

San Michele Garicoïts è il fondatore della Congregazione dei Religiosi di Bétharram. È morto nel 1863 a Bétharram. Cantare san Michele Garicoïts significa cantare l’Amore del Cuore di Gesù per tutti gli uomini, è fare nostro il suo Eccomi senza indugio, senza calcoli, senza rimpianti e per amore.
La Beata Maria di Gesù Crocifisso, «Miriam, la piccola Araba», è una carmelitana originaria della terra di Gesù, la Galilea. E’ morta nel 1878 a Betlemme. Cantarla significa cantare l’azione meravigliosa di Dio in lei: più il credente è affascinato da Dio e più Dio si manifesta in lui in modo straordinario: in Miriam tutto è eccezionale.
Cantare la Madonna di Bétharram (La Vergine del Bel Ramo) significa cantare l’azione preveniente di Dio nel cuore di Maria preparata ad essere la Madre di Dio e la Madre della Chiesa. Cantarla, significa afferrare il ramo che si tende, come l’aveva teso a quella bambina travolta dai flutti del Gave di Bétharram. I vortici della vita ci minacciano e ci trascinano, afferriamo il suo «bel ramo» …
Cantare la Messa dello Spirito Santo nella Casa San Michele di Pau, significa riprendere il desiderio insistente della nostra Beata! Ben prima del concilio Vaticano II che ha molto insistito sul posto dello Spirito Santo nella preghiera della Chiesa, Miriam aveva già ricordato questa esigenza evangelica. Cantiamo lo Spirito Santo che guida e rischiara la sua Chiesa.
A cantare è il «Piccolo Coro San Michele». Canta la messa dello Spirito Santo, ogni secondo martedì del mese, alle ore 19, nella cappella della Casa San Michele, ex Carmelo di Pau dove per lungo tempo è vissuta la nostra Beata.  Canta la messa solenne il giorno della festa della Beata Maria di Gesù Crocifisso, celebrata il sabato più vicino al 24 maggio. Canta!

I Padri della Maison Saint-Michel (Pau)

cdmini.jpgPer procurarsi l’album «Da San Michele alla Beata Miriam», 24 tracce in cui si alternano canti e brani d’organo (15€), contattate:: petitchoeur.saintmichel@orange.fr


5 minuti con... Padre Valan Kanagaraj

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L’India è la Vicarìa più giovane e dinamica della Congregazione, per quanto riguarda le vocazioni. Nel mese di maggio, sono stati ordinati tre nuovi preti Betharramiti: P. Subesh Odiyathingal il giorno 8,  P. Valan Kanagaraj il 14, e  P. John Britto Irudhayam il 16. Incontro con chi è stato ordinato il giorno della festa di San Michele.

Nef: P. Valan, come ti senti oggi? L’ordinazione che cosa ha cambiato nella tua vita e nel tuo cuore?
- Fare esperienza della misericordia di Dio mi procura una immensa gioia. L’ordinazione è una benedizione che Dio mi ha accordato per rendermi un suo ministro e un mediatore tra il popolo e Lui. In fondo, non è cambiato nulla, eccetto il fatto che sono chiamato padre e non fratello … (scherzo, naturalmente). Quello che non ho potuto cambiare nel corso dei miei 13 anni di formazione non ha certo potuto cambiare con con l’ordinazione. Mio desiderio è di essere un bravo Prete, e prego per questo.

Quali esempi, nella tua famiglia, nei sacerdoti incontrati … hanno risvegliato in te la vocazione?
- Ad essere sincero, nessuno in particolare  mi ha dato un esempio in grado di risvegliare la mia vocazione. Piuttosto ho sentito parlare di un uomo dolce, di nome Michele Garicoïts, e della sua spiritualità, ed è a lui che ho voluto assomigliare mettendomi a disposizione di Dio.

Che cosa ti ha spinto a bussare alla porta della Congregazione, e ti infonde il desiderio di «procurare agli altri la stessa gioia»?
- Riconosco con tutta franchezza che prima non facevo  molta differenza tra diocesi e Congregazione, questo prima di entrare in seminario. Ora rendo grazie al Signore  per avermi chiamato a fra parte della famiglia di Bétharram e sono fiero di essere Betharramita.  Sofferenza condivisa, sofferenza dimezzata, gioia condivisa, gioia raddoppiata. Ecco perché mi adopero a trasmettere agli altri la gioia che provo nel Signore.

Sei entrato a Bétharram 13 anni or sono. Come consideri questi anni di formazione?
- Sono contento e soddisfatto dei miei anni di formazione. Mi hanno permesso, tra l’altro, di rendermi conto che la vita sacerdotale non è uno stato s cui si arriva una volta per tutte, ma che bisogna continuamente coltivare. Se dopo l’ordinazione si comincia a languire, si rischia di degenerare. Al contrario, se proseguo il mio cammino accettando di essere continuamente rimesso in questione, posso diventare un bello strumento nelle mani di Dio.

Durante la tua esperienza nella diocesi di Bidar, la missione e le persone a cui sei stato inviato, che cosa ti hanno insegnato?
- Disponibilità totale, impegno e dono di sé totali, ecco le qualità da coltivare. Questo ho imparato durante la missione in Bidar. Nonostante la loro grande povertà, le persone incontrate in Bidar, sono affabili e accoglienti.

Qual è il tuo attuale ministero? Come lo vivi?
- Sono stato nominato assistente di P. Antony Britto, betharramita, parroco della chiesa San Giuseppe di Adigondanahally. A Bangalore. Si tratta di una attività difficile, ma spero di adempiere bene la missione grazie alla preghiera e con l’aiuto dei confratelli.

Secondo te, quali sono le sfide che il religioso-prete è chiamato a raccogliere in India, nel 2010?
- In quanto religioso prete, è mio dovere essere esigente con me stesso per cercare di offrire la testimonianza di una vita esemplare.  E’ bello poter citare qualcuno come esempio. Per questo mi devo chiedere: Come posso diventare un esempio per gli altri? Si tratta di una vera sfida.
 
San Michele sognava di costituire dei campi volanti a disposizione della Chiesa e pronti all’ascolto delle persone. Hai progetti per il presente, e sogni per il futuro di Bétharram?
- Il mio progetto è e sarà sempre quello della famiglia alla quale appartengo. Lavorare con zelo per la gloria di Dio è il mio attuale progetto. Se Dio vuole, in futuro mi piacerebbe lavorare per le persone ai margini della società civile in India, in particolare per gli «Eunichi» o hijras, una comunità di uomini travestiti, omosessuali, transessuali, a volte castrati, che vivono rifiutati da tutti e sono costretti alla prostituzione e all’accattonaggio per sopravvivere.

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In memoriam | Brasile: P. JOSÉ ANTONIO DA SILVA, SCJ

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Jaboticatubas, 19 aprile 1956 | Belo Horizonte, 2 luglio 2010

P. Jose Antonio da Silva è nato nella parrocchia di Santana do Riacho (Jaboticatubas, stato di Minas Gerais), il 19 aprile 1956. Ha fatto i primi voti in Paulinia il 22 Gennaio 1986, ed è stato ordinato sacerdote 30 novembre 1991. Si trasferisce poi nelle comunità di Conceição do Rio Verde (1992), Douradina (1993-1996), Belo Horizonte (1997-1999 come parroco), Passa Quatro (2000-2003) e Belo Horizonte (2004-2010).

Una figura leggendaria ci ha lasciato. Nei 20 anni e più trascorsi nella congregazione, ha lasciato la sua impronta nel più intimo di ognuno di noi.  Molto betharramita nel suo modo di essere, ritroviamo in lui tre caratteristiche autentiche di questa vocazione: la Croce, il servizio, la semplicità.
Discepolo di Gesù, José aveva preso già dalla prima ora la sua CROCE alla sequela del Maestro: la croce del lavoro: a 7 anni ha imparato a cucinare; a 10 anni, era assunto dai vicini per svolgere un lavoro adatto alla sua età; dai 14 ai 17 anni, ha trovato un datore di lavoro, un grossista, che non ha avuto riguardo per l’adolescente, e gli ha imposto dei ritmi di lavoro massacranti, in particolare per caricare e scaricare sacchi di cereali che arrivavano fino a 60 Kg di peso.  Ne è restato segnato anche nel fisico: infatti il suo sviluppo è stato interrotto e il suo scheletro modificato, lasciandogli una spalla più elevata dell’altra … A 17 anni, si è messo al servizio di un ristoratore di Santa Luzia, il cui stabile si trovava sul terreno parrocchiale di San Giovanni Battista.  Ha lavorato lì alcuni anni, diventando anche proprietario di quegli stabili, prima di entrare nella Congregazione.
Croce della vocazione: José ha fatto la scelta che il giovane del vangelo non ha fatto: verso i 25 anni, ha venduto tutto, cioè la licenza commerciale, ha dato il denaro ai poveri – in questo caso sua madre che lasciava sola al mondo – ed è entrato nella comunità betharramita lì vicino; certo, ha avuto coraggio a intraprendere gli studi, poiché fino a quel momento aveva frequentato solo le 4 primarie, e per di più a spizzichi e bocconi …
Croce della sofferenza: da quanti anni è in cura, con il corpo in progressivo deperimento fino alla lunga agonia che ha preceduto la sua morte. E tutto questo vissuto con il sorriso, di buon umore, senza mai un lamento.
José è stato un uomo di SERVIZIO e di fraternità.  In comunità sapeva accogliere i suoi fratelli, ed esprimeva spesso questa accoglienza attraverso la sua competenza culinaria: al tempo del seminario, come si ingegnava per supplire le scarse risorse finanziarie su questo punto! Fuori della comunità, nella pastorale, il suo contatto con le persone lo legava a tutti. Colpiva vedere i giovani attaccarsi a lui in questo modo, a lui che non aveva avuto giovinezza…
Si vede subito che la SEMPLICITÀ faceva parte del suo arsenale di qualità. Al contrario di quanto si potrebbe credere, non ha mai vissuto la vita consacrata e il presbiterato come una promozione sociale: al contrario, ne aveva fatto motivo di ulteriore disponibilità. Era un uomo del dialogo, all’ascolto dei più semplici. Non si lanciava in conversazioni teoriche, ma entrava in contatto scambiando ricette di cucina, o segreti di piante medicinali, e partendo di lì, arrivava al cuore delle persone. Si identificava con i più dimenticati, in modo particolare con le persone di origine africana, e partecipava alle loro feste: durante la loro ultima celebrazione annuale, nell’ottobre 2009, era stato incoronato re del loro Congo! Una delle sue ultime gioie su questa terra sarà stata il prendere parte a una celebrazione di “Congado” al seminario.
Possiamo invocarlo? Non è sicuramente un modello convenzionale di santità. Ma il vangelo ci dice: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio». E José Antonio è stato sicuramente un CUORE PURO.

José Mirande,SCJ


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7. IL COMUNISMO E LA MISSIONE DI TALI (dal dicembre 1950 al dicembre 1951)

da 
Arnaud Pucheu,SCJ

L’Écho de Bétharram
marzo 1952

I Comunismi erano installati nello Yunnan dal dicembre 1949. Il primo governo rosso era composto da persone del paese guadagnati da lungo tempo alla dottrina comunista e debitamente indottrinati e formati ai metodi del partito nelle scuole di Kien-Tchouang, a 100 km a nord di Tali.
I primi contatti con la Missione sono stati gentili e anche ricchi di espressioni di ammirazione per il lavoro missionario, disinteressato e consacrato al popolo. … Ma un mese più tardi, il vero volto del nuovo governo cominciava a manifestarsi: la Missione veniva privata dell’unico apparecchio radio in suo possesso, nonché dei fucili da caccia e altre piccole armi della residenza di Tali. Il pretesto? Mettere nelle mani della polizia ormai ricostituita la protezione integrale delle nostre persone, ormai assicurata dalla nuova Cina …
A fine gennaio, alcune casse di medicinali arrivate da Kunming per noi, erano dirottate verso gli ospedali del popolo. Infatti, ci diceva il super-mandarino di Tali, «queste medicine erano destinate al popolo, potevano essere ugualmente distribuite sia da loro che da noi …». I missionari venuti al centro della Missione per il loro ritiro annuale, poterono ritornare nei loro distretti dopo aver ottenuto dalle autorità un lasciapassare.
E arriviamo al dicembre 1950.

Restrizioni apportate al campo di apostolato e alle abitazioni dei missionari – Il 24 dicembre nel pomeriggio, quasi tutti i missionari dello Yunnan ricevevano alla stessa ora una comunicazione dalle autorità locali, che riduceva il campo di apostolato del missionario alla sua residenza e in un raggio che inglobava la città o il villaggio, centro del suo distretto; per andare altrove era necessario un visto delle autorità. Più tardi siamo venuti a sapere che questo visto sarebbe stato concesso solo verso Tali, dove si voleva concentrare tutti i missionari.
Proprio in quel momento, eravamo convocati da Mons Lacoste per farvi il nostro ritiro annuale: all’ultimo momento, Monsignore, avendo avuto sentore del possibile concentramento, aveva dato ordine ai missionari di non abbandonare i loro posti di missione; non avendo ricevuto l’ordine in tempo, P. Pucheu si metteva in cammino verso Tali scortato da due soldati armati e debitamente munito di un visto. Arrivato a Tali, vi fu trattenuto, dapprima per ragioni di sicurezza, poi a causa della registrazione imminente, infine a causa della divisione delle terre … che ancora non era iniziata nel gennaio 1952. La stessa disavventura è capitata a Mons Magenties che dovette recarsi a Tali su ordine del suo mandarino per rimproverare a Mons Lacoste e a P. Toucoulet di essere venuti l’8 dicembre a Ta pin tse senza il permesso del mandarino locale …

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Nef è il bollettino ufficiale della Congregazione del Sacro Cuore di Gesù di Betharram.
La redazione è a cura del Consiglio Generale.

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