Notizie in Famiglia - 14 gennaio 2010
Sommario
- La parola del Padre generale
- Padre Etchecopar scrive...
- Il Messia è in mezzo a voi
- 5 minuti con padre Angelo Bianchi
- Cappellano a Nazareth, perché?
- Confidenze di un sacerdote medico
- L'avventura di Bétharram in Cina (1)
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La parola del Padre generale
La manna nascosta
La manna è il pane miracoloso che il Signore fa piovere dal cielo ogni mattina per il suo popolo nel deserto (Es. 16, 1-19). Gesù dichiara di essere il vero pane del cielo (Gv.6, 51). San Giovanni nell'Apocalisse, nel messaggio dello Spirito alla Chiesa di Pérgamo dice: al vincitore, darò da mangiare la manna nascosta. (Ap. 2,17). Bossuet nelle Elevazioni sui misteri parla della manna nascosta quando spiega la grazia speciale, concessa da Dio al vecchio Simeone, di aspettare e incontrare il Salvatore.
Nelle lettere di direzione spirituale, soprattutto alle Figlie della Croce, San Michele descrive l'esperienza spirituale con la stessa terminologia del Nuovo Testamento: latte e cibo solido (Eb.5, 12-14) (1Cor. 3, 1.3). L'alimento della pietà di latte del Tabor è la spiritualità propria dei principianti che si fonda su esperienze di consolazione. Poi parla dell'alimento solido che è lo spirito di carità di Gesù Cristo, cibo che ha tanto apprezzato e ha tanto amato e del quale si è servito costantemente durante tutta la vita mortale. E che consiste nel non fare mai la volontà propria e nel fare sempre ciò che piace a Dio, nelle cose e con le persone più sgradevoli, stimandole e amandole, fino al punto di sacrificarsi per loro, solo per il fatto che sono provvidenziali. (Corr. Lett .77, pag.193). La manna nascosta per San Michele vale più che adempiere sempre la volontà di Dio: si tratta della carità perfetta, essere cioè fedeli a Dio e alla sua volontà nelle situazioni difficili, nelle situazioni di completa contrarietà per il credente.
La manna nascosta, per S. Michele Garicoits, è la quintessenza del Vangelo, lelemento specifico della proposta di vita evangelica. È la grazia che consiste nellidentificarsi con Gesù umiliato e vilipeso: Per imitare e meglio assomigliare a Nostro Signore Gesù Cristo, voglio e scelgo la povertà con Cristo povero piuttosto che la ricchezza, le umiliazioni con Cristo umiliato piuttosto che gli onori, e preferisco essere considerato sciocco e pazzo per Cristo, lui che per primo ha voluto essere trattato in questo modo, piuttosto che essere considerato saggio e prudente in questo mondo. (E S. N° 167). È la disposizione che S. Ignazio chiama il terzo grado di umiltà e alla quale si rifà San Michele, secondo la Dottrina Spirituale, pag. 258.
San Michele, in una lettera al P. Diego Barbé, scrive:
È davvero inqualificabile; ma, che fare? Quando si hanno delle idee fisse, è così difficile disfarsene! E poi, uno crede di perder tempo quando le cose non vanno secondo le invenzioni dell'immaginazione. Soprattutto, non sappiamo comprendere, apprezzare ed abbracciare con cuore generoso, spirito coraggioso e fermo, un'oscurità, una sterilità, perfino i fallimenti nei quali ci vediamo coinvolti per obbedienza. È ancora la manna disgraziatamente nascosta per alcuni. (Corr. Lettera 163, pag.298).
San Michele si rivolge al P. Barbé dopo lintervento per correggere la condotta di alcuni missionari appena giunti in Argentina. Questi missionari vogliono ottenere dalla Santa Sede il titolo di missionari apostolici per essere liberi di evangelizzare senza dovere rendere conto ai vescovi. Per ottenere ciò, evitando San Michele, i vescovi di Bayonne e di Buenos Aires, essi ricorrono al vescovo di Auch. (Corr. Lettera 162, pag. 296-297). Questo modo di procedere indigna San Michele perché si era già opposto a tale progetto quando se ne discusse a Bétharram e perché si tratta di zelo indiscreto in quanto si cerca di evitare i limiti che lubbidienza implica, lamore nei limiti della posizione, con l'unico scopo di ottenere un successo personale nella missione.
Nellanalisi realistica di tale situazione San Michele distingue due atteggiamenti: 1) Il primo è illusorio e individualista; il religioso pretende di agire da sé stesso per conseguire, non gli scopi della missione, ma i fini e le gratificazioni personali. Quando uno ha idee fisse, è molto difficile disfarsene! e inoltre uno crede che stia perdendo il tempo quando le cose non sono secondo l'invenzione dell'immaginazione. Soprattutto non sappiamo
2) Il secondo è realistico; il religioso progetta la missione, non a partire da sé stesso, ma in spirito dobbedienza e secondo i piani missionari della diocesi, senza preoccuparsi di essere gratificato o meno, purché gli obiettivi della missione siano conseguiti.... Sappiamo comprendere, apprezzare ed abbracciare con cuore generoso e spirito coraggioso e costante, un'oscurità, una sterilità, perfino i fallimenti nei quali ci troviamo coinvolti per obbedienza. È la manna disgraziatamente nascosta
Capita di trovare cristiani, religiosi ed anche betarramiti che non hanno ancora capito lo spirito del Vangelo. Gesù Cristo con la sua divina grandezza è a loro sconosciuto e ne ignorano la sequela. Predicando queste cose ai betarramiti durante un ritiro, un religioso mi disse: ma questa era la mentalità prima del Concilio, oramai non è più così, sarebbe andar contro i diritti umani. Un autentica vita cristiana esige questa radicalità. Normalmente dico ai Maestri che devono accompagnare i novizi ad arrivare a questo punto nella loro esperienza del Vangelo e che questa deve essere radicata in situazioni di vita. Se non si giunge a questa esperienza del vangelo, la prima crisi forte farebbe crollare tutta la vita spirituale e il religioso carente di ogni ardore per Cristo e per la missione si adatterebbe alle circostanze pensando solo a sé stesso.
Gesù nel Mistero Pasquale è la Manna nascosta nell'Eucaristia. Gesù povero, ricoperto di obbrobri, stimato inutile e pazzo è lo stesso Gesù glorificato attraverso queste esperienze. Aver parte a questo Gesù con la comunione significa essere disposti ad essere trasformati in lui e, come suoi discepoli, vivere le varie situazioni che la vita riserva. Quando adoriamo l'Eucaristia, è proprio il Gesù ivi nascosto che contempliamo? Forse dovremmo leggere il capitolo sesto di San Giovanni alla luce di questa manna nascosta di San Michele Garicoits. Dopo di che non ci meraviglieremmo dellabbandono di Gesù da parte di coloro che non accettano lidea che Egli sia il pane disceso dal cielo e che offra la sua carne da mangiare e il suo sangue da bere (Gv 6, 66-70). L'alimento della nostra fede è la persona di Gesù con tutte le circostanze della sua vita, i sentimenti che scaturiscono dal suo intimo, gli atteggiamenti e le azioni che provengono dal suo cuore, che vive una relazione di amore preferenziale verso il Padre. Nelle circostanze favorevoli o avverse della vita dobbiamo comportarci come discepoli di questo Gesù, senza badare al prestigio personale. È la manna nascosta del Vangelo (D.S 258).
Gaspar Fernandez,SCJ
Padre Auguste Etchécopar scrive...
a una comunità, 16 gennaio 1886
Carissimi Padri e Fratelli in Cristo, sono felice di scrivervi e di porgervi i miei più fervidi auguri che custodisco nel cuore. Sono a completo riposo, ma siete più che mai presenti, con il vostro lavoro e le vostre difficoltà, nel mio pensiero e nella mia preghiera Al momento della morte, come saremo felici di aver lavorato prudenter, dulciter, fortiter (con prudenza, dolcezza e fortezza), per lunico amore e lunica gloria di Gesù e di Maria! Aiutiamoci in questo Da parte mia, vi prometto un ricordo costante, ai piedi della nostra Divina Madre!
Il Messia è in mezzo a voi
Un religioso dellEuropa ci ha inviato questo racconto anonimo, ma non certo senza significato
Cera una volta un monastero in preda a grandi difficoltà. Tra le sue mura erano riecheggiati i canti e lentusiasmo di varie generazioni di religiosi, ma anche lì era passata la secolarizzazione . Non era rimasto che il padre abate con quattro monaci, ultrasettantenni, in unabbazia avvolta dal silenzio e dalla malinconia.
Nella foresta vicina, in una povera capanna, si era ritirato un rabbino tanto vecchio quanto saggio. Era molto stimato dai monaci, e la sua presenza orante li riconfortava. Un giorno, labate decise di andare a trovarlo per aprirgli il cuore e chiedergli il suo aiuto. Il rabbino laccolse con calore, ma riuscì solo a condividere la sua pena: «Io conosco il problema, sospirò. La gente ha perso la bussola. È così anche per noi. Quasi più nessuno frequenta la nostra sinagoga».
I due uomini di Dio si persero in lamenti, poi ritrovarono un po di serenità aprendo la Bibbia e parlando di spiritualità. Al momento di separarsi, essi si abbracciarono. «È così bello trovarsi!, disse labate. Ma io riparto con la stessa prospettiva: la fine ormai prossima della mia comunità. Non avresti un piccolo consiglio da darmi?». «No, mi dispiace, rispose il rabbino. Non ho che una cosa da dirti: il Messia è in mezzo a voi».
Quando labate tornò al monastero, i monaci lo subissarono di domande: «Allora, comè andata? Cosha detto il rabbino? - Non è stato capace di aiutarmi, fu la risposta. Abbiamo pianto e letto la Torah insieme. Alla fine mi ha lasciato queste parole: il Messia è tra di voi. Ma io non capisco cosa abbia inteso dire».
Nei giorni seguenti, i vecchi monaci furono ossessionati da questa frase di cui cercavano il senso. «Il Messia è tra di noi. Significava forse che il Messia è uno di noi? E chi potrebbe essere? Il padre abate? Sì, lui certamente. È stato una guida per tutti da molto tempo
Ma si poteva pensare anche a Fr. Teodoro: infatti, tutti sanno che è un santuomo
Sicuramente non era Fr. Orazio! Si arrabbia facilmente. Anche se spesso ha ragione. Chissà se il rabbino non pensava proprio a lui?... Nessuna possibilità che sia Fr. Filiberto. E una palla al piede. Eppure, ha il dono di essere sempre là quando cè bisogno di lui. Non sarà lui il Messia?... Non può trattarsi di un tipo qualsiasi come me, questo è certo. Eppure, se fosse così? Se il Messia fossi io? Oh no!, non io. Come potrei avere una tale importanza davanti a Dio?
».
Presi dai loro pensieri, i vecchi monaci si aggrapparono alla possibilità, per quanto minima, che il Messia fosse tra di loro. E che ci fosse anche una possibilità, ancora più improbabile, che il Messia fosse ciascuno di loro, si presero maggiormente in considerazione gli uni degli altri. Poco a poco i religiosi cambiarono: cera più rispetto e cordialità, in loro e tra loro. Ora vivevano come uomini che finalmente avevano trovato qualcosa.
Alcuni visitatori si accorsero di questo clima di verità e di amicizia. Essi tornarono al monastero, portarono altre persone. E ci fu del movimento: la gente venne da ogni dove ed anche gli stalli del coro si riempirono. E fu così che nel giro di pochi anni, il monastero ritornò ad essere una comunità viva, e grazie alla saggezza del rabbino, un luogo di luce e di vita spirituale.
5 minuti con... padre ANGELO BIANCHI
P. Angelo Bianchi, 72 anni, fa parte della comunità di Parma. Ricordi di una vita ben spesa...
Nef : In che cosa consiste il tuo ministero a Parma?
- In provincia di Parma sono arrivato nel settembre 1999, dopo una lunga esperienza nella scuola. Sentivo forte il bisogno di fare il prete a tempo pieno, di essere nella pastorale parrocchiale a tutto campo. Il superiore provinciale di allora - P. Piero Trameri - ha accolto la mia domanda ed eccomi qua. Allinizio fui nominato Parroco di S. Vitale Baganza e con P. Giacomo Spini, parroco di Barbiano di Felino, abbiamo iniziato il nostro lavoro. Io ho svolto le normali attività di un parroco: catechesi, predicazione, celebrazioni eucaristiche, visite agli anziani e malati, ecc. La parrocchia non era grande (400 abitanti circa), ma ha suscitato in me un forte entusiasmo: era molto bello incontrare bambini, giovani, adulti, infondere in loro lamore di un Dio che mi ha sempre voluto bene. Anche loro però mi hanno accettato con simpatia e gioia grande e così abbiamo fatto un piccolo cammino insieme. Dal dicembre 2003 la comunità ha preso la parrocchia di S. Andrea Apostolo in Antognano a Parma. Come Parroco è stato nominato P. Giacomo Spini ed io suo vicario. Vista la prospettava di un lavoro pastorale coi giovani universitari, a noi si è aggiunto P. Gianluca Limonta. Il mio compito non è sostanzialmente cambiato. Oggi sono incaricato dei ragazzi del dopo cresima, mi interesso degli anziani e degli ammalati, faccio catechesi agli adulti. Anche qui ho notato la gentilezza e affabilità delle persone con le quali sono a contatto. Come si vede il ministero è impegnativo e richiede una costante preparazione, ma soprattutto una grande dedizione e senza riserva alcuna. Sono molto contento di ciò che vivo.
La tua è una esperienza molto ricca: ci parli di quella fatta a Bormio?
- Bormio
il mio primo grande amore
Dopo la Laurea in Matematica conseguita a Roma nel 1968, il Superiore Provinciale, P. Marco Gandolfi, mi ha chiesto di iniziare il mio ministero a Bormio: è così che ho sempre inteso il mio lavoro. Linsegnamento e la pastorale parrocchiale sono sempre stati le rotaie di un unico binario, rotaie che avevano il loro punto dincontro su ununica carrozza del treno: la presenza di Dio nei giovani attraverso la matematica e le confessioni, le predicazioni, le sostitu-zioni dei parroci, ecc. Aprire una scuola come il liceo scientifico, ottenere le approvazioni del ministero della pubblica istruzione, aggiungere il liceo linguistico e, il liceo sperimentale scientifico-linguistico-informatico, non è stata cosa da poco. I padri della comunità sono sempre stati molto laboriosi in tutto questo. Non posso non ricordare il P. Albusceri Clemente, il primo preside e responsabile di tutto. Oggi la scuola è chiusa, ma il ricordo dei padri è molto vivo: tanti nostri alunni, laureati, sono i dirigenti della società del bormiese. Mi sono recato a Bormio diverse volte per le vacanze estive: quale gioia incontrare gli ex-alunni!... Sicuramente il buon Dio sta premiando tutto il nostro impegno sacerdotale e di professori.
Dopo Bormio sei stato a Colico: qual è la differenza incontrata rispetto a Bormio?
- Dopo Bormio sono andato a Colico in collegio. La differenza? Non è stata sostanziale. Il collegio ti obbliga a una vita più al chiuso, ma per me tutto è stato come prima: insegnamento e pastorale di aiuto ai parroci. La differenza, se si può dire, sta nel fatto che a Bormio gli studenti erano preparati solo per luniversità, mentre a Colico anche per la professione di Geometra. Comunque le due esperienze sono state molto valide e mi hanno fatto crescere e maturare nella mia vita sacerdotale e religiosa secondo lo spirito di S. Michele Garicoits.
Sappiamo che hai trascorso una vacanza in Thailandia: cosa ti piace ricordare?
- E vero, ho trascorso una vacanza in Thailandia: un sogno realizzato solo nella mia... vecchiaia. Da giovane ho sempre desiderato essere missionario, ma
le circostanze e lobbedienza mi hanno suggerito di restare in Italia. Forse questo è il disegno di Dio su di me. In Thailandia ho trascorso tre settimane con P. Pensa Alberto. Ho visto tanti luoghi e situazioni, ricchezze e povertà, scuole religiose e seminari, soprattutto il nostro di Sampran. Coi chierici mi sembrava di rivivere il mio scolasticato: la loro gioia, la loro voglia di crescere nellamore di Dio, la loro simpatia. Ho dovuto constatare tutto dal di fuori
a causa della lingua. La loro simpatia nei mie confronti è stata forte. Tra laltro mi hanno dato una bustina di semi di peperoncino thailandese che mi sono premurato di seminare: il tutto ha dato buoni frutti. Come non ricordare lesperienza di P. Alberto Pensa? Non posso dimenticare la bellezza degli occhi delle fanciulle della sua casa, la loro generosità e gentilezza. Devo anche ricordare i giovani padri thailandesi che lavorano con generosità con i nostri padri italiani e francesi. E unesperienza che vorrei ripetere, ma
ciò che Dio vorrà. Mi piacerebbe anche visitare le nostre case dAmerica
chissà un domani, speriamo non troppo in là, sarà possibile.
Cosa suggerisci ad un giovane in ricerca e che volesse vivere unesperienza con i betharramiti?
- Suggerisco di incominciare a vivere in una comunità, una comunità che lo sappia accogliere, che con lui sappia crescere, che con lui sappia veramente vivere il progetto di S. Michele. Come trovare questa comunità? E un interrogativo serio. I superiori, a mio modo di vedere dovrebbero adeguarsi a vivere sempre con questo spirito di formazione che li rende mai arrivati. Solo così laccoglienza di un giovane produrrà delle vocazioni.
CENTRAFRICA Confidenze di un sacerdote medico
Lanno scorso p. Tiziano è stato nominato superiore del Vicariato betharramita più piccolo, nel cuore dellAfrica. Dal 1994 dirige lospe-dale di Niem. Ecco la sua testimonianza anche a nome degli altri 5 religiosi, italiani e centrafricano, che lavorano con lui.
Correva lanno 1983 e allautodromo di Monza papa Giovanni Paolo II lanciava questo invito ai tantissimi giovani presenti: Voi siete il futuro della chiesa;non abbiate paura di Cristo! Tra quei giovani cero anchio e adesso sono 15 anni che mi trovo a Niem.
In questi ultimi tempi vi sono due brani della Bibbia che mi fanno compagnia. Il primo si trova nel vangelo di Matteo e parla del giudizio finale: avevo fame,avevo sete, ero carcerato, ero nudo, ero straniero, ero malato....e mi avete accolto(Mt 25, 31-46). Laltro brano si trova nel sesto capitolo degli Atti degli apostoli. Gli apostoli si trovano sempre più impegnati in opere di carità e allora scelgono alcune persone per questo servizio e loro si dedicano in modo più intenso alla preghiera e alla predicazione.
Quello degli apostoli é davvero un bel programma: annunciare Gesù a chi ancora non lo conosce e pregare il Padre affinché custodisca la giovane comunità cristiana appena formata che ha bisogno di crescere, di rafforzarsi.
A Niem una missione stabile esiste soltanto da poco più di venti anni e ci sono gli stessi bisogni, le identiche necessità.
Anchio avverto lo stesso bisogno degli apostoli; però cè anche linvito pressante di Gesù che S. Matteo ci presenta e che mi permetto di sintetizzare così: sono povero, nessuno si prende cura di me
Vivere in mezzo ai poveri non è facile. Le loro richieste sono molte e spesso giustificate. La nostra gente conta molta su di noi. E qui cè sempre una vera insidia per noi missionari.
E inutile nasconderlo, siamo per loro delle persone importanti: permettiamo a migliaia di bambini e bambine di andare a scuola, curiamo tante persone che non potrebbero mai né andare in città da un medico né tantomeno comprarsi delle medicine, soprattutto i bambini e le loro mamme, a volte riusciamo a dar loro qualcosa da mangiare, talvolta prendiamo le difese della gente davanti alle autorità. Le cosa da fare sono davvero tante
Gesù nel suo Vangelo ci chiama a prenderci cura del nostro prossimo, a farci prossimo, ed allo stesso tempo ci invita a considerarci come dei servi inutili. Non siamo dei super-uomini: abbiamo le nostre debolezze e fragilità, qualche volta vorremmo essere lasciati un poco in pace
ma poi qualcuno bussa alla nostra porta
come si fa a non aprire?...
Quando sono un poco scarico, quando la solitudine pesa, penso alle tante persone che mi stimano, che mi vogliono bene, a tutti che ci sostengono da lontano e non solo con la generosità ma soprattutto con la preghiera, con laffetto.
È la miglio medicina che conosca!
Tiziano Pozzi,SCJ
Cappellano a Nazareth, perché?
Destinare un sacerdote solo per questo! Per dire una messa in una comunità di suore quando molte altre comunità parrocchiali, sono senza ministero! E se il sacerdote è lì solo per dire una messa al giorno
Haram! Povero, come dicono qui
Haram per lui! Per la Chiesa! Anche per gli altri!
A me piace ricordare alcune espressioni di p. Jean Tapie che qui ha vissuto unesperienza forte e ha segnato i cuori: È un vero servizio ecclesiale! mi diceva. Come considerarlo così? Permettetemi, dopo tre mesi di presenza qui, di mettere alcuni punti fermi. Se si tratta solo di dire una messa, ogni sacerdote lo può fare
ma un po di teologia ci ricorda che leucaristia è il primo aiuto per costruire la Chiesa, la comunità; quella del Carmelo, in questo caso, è un segno posto al centro della Chiesa e del mondo. Ecco perché, nella celebrazione eucaristica il sacerdote si fa compagno nel cammino di fede di queste donne. Per la vita di questa comunità speciale, la celebrazione degna e profonda, un certo stile di presenza (discreta e reale; escludendo ogni servizio spersonalizzato) richiede un reale impegno da parte di uno o più servitori.
Come diceva mons. Marcuzzo il 14 novembre, allapertura dellanno del centenario del Carmelo di Nazaret, la comunità, per la sua vita di preghiera e di sacrificio, rimane una sorgente di vita di santità per tutta la Chiesa locale; e per ricordare qualche frutto: la Beata Maria di Gesù Crocifisso, la Beata Maria Alfonsina Ghattas (fondatrice di una congregazione locale, le Suore del Rosario), il Beato Carlo de Foucauld che qui visse tra il 1897 e il 1900.
Come si può essere questo compagno di viaggio che permetta a una comunità così speciale di sprigionare tutta la ricchezza del dono che lei è per gli altri? La posta in gioco è cruciale: la chiamata alla santità è universale nella Chiesa, comè sottolineato dal Vaticano II. Qui, come in altre parti, i credenti desiderano radicare la loro vita, la loro fede nel silenzio, la preghiera, il cammino interiore verso il Cristo. Qui, come altrove, questa esigenza di vita spirituale è una vera sfida in un mondo che corre troppo veloce. Qui, ha un valore ancora più speciale che altrove, il Carmelo deve essere il luogo di una riconciliazione profonda che passa attraverso unimmersione nella conoscenza, nellesperienza del Cristo risorto. Il Carmelo di Nazaret, che riunisce una decina di nazionalità, ne è la parabola vivente.
Questo servizio non è isolato da ciò che lo circonda, è stato affidato dalla Provvidenza alla nostra piccola congregazione diventata, nel frattempo, internazionale. Da qui il problema dellambientamento attraverso la lingua: francese per il servizio allinterno, araba ed ebraica per la comunità locale. Pensare ad una presenza qui solo per dire una messa sarebbe privarsi della grande ricchezza propria della vita cristiana in questi luoghi
a condizione che si sappia guardare, senza lasciarsi impressionare dal solo flusso dei pellegrini che vanno e vengono.
La vita religiosa betharramita ci spinge in una vera vita di incarnazione nello Spirito di Cristo (e Nazaret è uneccellente casa e scuola per questa spiritualità); essa ci chiama anche alla disponibilità apostolica, allimmagine di Cristo che andava di città in città, totalmente votato allAnnuncio del Regno del Padre.
La Storia ha reso questa Galilea una realtà locale intessuta di internazionalità e traumatizzata dallo scontro delle posizioni politiche. Chiudersi sul francese, litaliano o linglese (a motivo del servizio o della comodità) significa correre il rischio di trasformare la nostra vita in una splendida torre davorio! E se larabo è essenziale (il 90% dei credenti sono di lingua araba), la condivisione della vita religiosa internazionale con gli altri, obbliga a tener viva lattenzione sulle lingue
non è una sfida da poco!
Mons. Marcuzzo, ricevendomi, mi aveva espresso con entusiasmo, la riconoscenza per tutto il bene fatto dalla nostra famiglia religiosa a favore del Patriarcato. Si tratta di un ottimo stimolo per suscitare il desiderio di continuare fedelmente in un vero sforzo di creatività. Di fronte a questa sfida, ripenso al piccolo Fratel Paolo che, in una condivisione di fede, mi aveva invitato a contare sul discernimento nella fraternità! A contare anche sul sostegno e laiuto prezioso degli uomini quali Abuna Shoufani per scoprire e inserirsi nella realtà di questo popolo. Con altri, a poco a poco, si va delineando un avvenire, per noi, Betharramiti, ognuno con i suoi carismi.
Possa la vita comunitaria, in quanto vicarìa, andare in questa direzione, e aiutare anche la nostra congregazione nella sua presenza in questa terra! Questo servizio viene reso anche attraverso internet; la mia voce diventa più personale attraverso ciò che io sento, sulla scia di Charles de Foucauld, della spiritualità di Nazareth: al centro di una vita intima con Cristo, diventare colui che condivide una presenza semplice con tutti quelli che diventano suo prossimo. Molte cose coincidono con la nostra propria spiritualità betharramita dellincarnazione, della disponibilità amorosa alla volontà del Padre. Qui il Cristo ha fatto silenzio per 30 anni, prima di iniziare ad annunciare il Regno! Egli ha imparato, da vero Figlio, a lasciare che il suo cuore respirasse la vita semplice degli uomini del suo tempo, a dire con tutto il suo cuore ABBA. QUI!
Certo, qualsiasi altro luogo potrebbe essere portatore di questa dimensione o di unaltra altrettanto significativa. Ma più mi immergo nel cuore dei paesaggi di Galilea e li scopro, più li amo, nonostante i conflitti e i combattimenti vissuti personalmente
Ripenso a ciò che Gustavo e Roxana ci dicevano a Catamarca nel 1995. A proposito dello stile della presenza betharramita nelle missioni; qualcuno gli aveva detto: Voi, almeno, non siete come gli altri: loro passano! Voi restate con noi!. Grande ideale, come quello di Emmaus! Resta con noi, Signore, perché si fa sera! Alla sua sequela, lasciando che questo Spirito di Cristo cresca in noi, anche noi restiamo con i nostri fratelli e sorelle per dare loro il segno della Presenza che attendono senza osare sperare o crederci.
Philippe Hourcade,SCJ
![]() | 1. ORIGINE DELLA MISSIONEa cura da |
Lo Yunnan è una vasta provincia della Cina meridionale, che confina con il Tibet, la Birmania, il Laos e il Tonchino. Copre una superficie pari a circa i 3/5 della Francia. Era evangelizzato già da molto tempo grazie ai Padri delle Missioni Estere di Parigi ed aveva già avuto i suoi martiri: il 17 settembre 1874, nel Carmelo di Pau, Sr Maria di Gesù Crocifisso assisteva in modo miracoloso al supplizio di P. Baptifaul, missionario nello Yunnan.
Mancavano personale e risorse, levangelizzazione non aveva fatto grandi progressi, visto che nel 1922, data dellarrivo dei nostri primi Padri, il Vicario Apostolico, Mons de Gorostarzu, osservava che solo i 2/3 del territorio entravano nel raggio dazione dei missionari, una ventina soltanto per 16.000 cristiani e 15 milioni di infedeli o maomettani. Per venire loro in aiuto, la Sacra Congregazione di Propaganda Fide, nel 1921, chiese al Rev Padre Paillas e al suo Consiglio di inviare dei missionari in vista della creazione di una Missione indipendente affidata ai Padri di Bétharram e staccata dal Vicariato Apostolico di Yunnan-Fou. Furono numerosi i volontari che risposero allappello del Superiore Generale; solo tre furono scelti; un basco, Padre Pierre Erdozaincy-Etchart, un bearnese, Padre François Palou, e un belga P.Louis Pirmez.
Per la prima volta, il 22 gennaio 1922, si ebbe a Bétharram la commovente cerimonia degli addii e verso la metà di febbraio, i primi missionari betharramiti entravano nello Yunnan. Iniziarono subito lo studio della lingua cinese, e dopo qualche mese, cominciarono ad esercitare il ministero nei pressi di Yunnan-Fou. Non erano ancora trascorsi due anni, quando Mons de Gorostarzu, segnalando un progresso significativo nella Missione, poteva scrivere in una relazione: «Una delle ragioni di questa crescita è il lavoro svolto dai tre Padri Betharramiti venuti in nostro aiuto. Questi validi operai, dopo 4 o 5 mesi di studio della lingua e degli usi, sono stati in grado di fornire ai nostri confratelli un aiuto notevole e il loro lavoro è diventato presto paragonabile a quello dei migliori missionari. Aggiungo anche che lesempio di spirito apostolico di questi religiosi ha un effetto molto salutare». Così formati, furono inviati nella parte sud occidentale dello Yunnan, che era stata loro destinata in modo particolare; vi arrivarono nel corso dellultimo trimestre del 1924.
Fino al 1929, i Betharramiti lavorarono con i Padri delle Missioni Estere sotto la giurisdizione del Vicario Apostolico di Yunnan-Fou. Nel 1928, Padre Etchart e Mons de Gorostarzu discussero molto circa lubicazione e i confini della futura Missione di Bétharram; Mons de Gorostarzu voleva mettere il centro della missione a Se-Mao, in piena zona malsana. Mons de Guébriant, superiore generale delle MEP, pose fine alla discussione cedendo Tali, dove il clima era ottimo, e dove i Betharramiti non avrebbero dovuto, già dagli inizi, sacrificare i loro primi missionari.
Infine, il 22 novembre 1929, Pio IX, con la lettera apostolica «Munus apostolicum quo in terris», divideva il vicariato apostolico di Yunnan-Fou e ne staccava la sua sotto-prefettura per formare la Missione indipendente di Tali-Fou, affidata ai Preti del Sacro Cuore di Bétharram; il 18 maggio 1930, il M. R. Padre Etchart era nominato il primo superiore.
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