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Sessione 3
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14/10/2017

La Parola del Superiore Generale

“Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi”

La Parola del Superiore Generale

...Siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe.” (Mt 10, 16). Non vi accadrà nulla. È una delle promesse di Gesù. Una missione che ci dovrebbe riempire di coraggio in questi tempi in cui ci proponiamo di “uscire”. Chiunque vi accoglie, accoglierà me! (Mt 10, 40).


Cari betharramiti,

Siamo nel tempo del post-capitolo e abbiamo iniziato a camminare insieme: “vecchie volpi” e una ben nutrita truppa di giovani betarramiti.

Sono felice di sapere che si è iniziato a riflettere a partire dagli Atti del Capitolo Generale. Sono uno strumento utile ed esprimono qualcosa del Vangelo che ci invita ad essere fedeli. Non sono un trattato, né un progetto “facoltativo” che dura sei anni e poi verrà scartato.

Per inciso, un confratello recentemente mi diceva: “Nel testo degli Atti la parola “Chiesa” (intesa come Chiesa particolare) appare solo una volta…” In effetti ho verificato che è così (benché appaia anche con altri significati). E mi ha detto: Forse che questa omissione si deve al fatto che noi betharramiti non siamo sufficientemente disponibili ad entrare in un processo di inculturazione nella Chiesa particolare…?

Da un lato, nel testo non si menziona molto la Chiesa. È vero, e questo fa riflettere. Forse come religiosi prestiamo molta attenzione a “ciò che succede dentro”, tra di noi, in riferimento a noi stessi... Per diversi anni ci siamo dedicati a compiere una sintesi che rispettasse la nostra identità e la nostra missione, minacciate dal cambiamento storico. Si è trattato di un processo lungo e necessario.

D’altra parte, constatiamo anche che negli Atti la parola “comunità” compare molte volte (intesa anche come condizione per muoversi ed assumere nuove sfide missionarie). È un modo per combattere l’individualismo regnante. Scaturisce dalla necessità di conservarci fedeli e uniti durante la crisi. Questo è percepito da alcuni fratelli come un aspetto che soffoca la novità della missione, che rallenta l’uscita, che ci lascia più attenti ai preparativi che non a rispondere, senza perdere tempo, all’invito di Colui che ci chiama. Ci lascia impegnati a preparare “due tuniche per il viaggio” (Lc 9, 3) e ci fa rimandare l’annuncio di Gesù Cristo lì dove necessita maggiormente.

Si potrebbe allora pensare che i betharramiti hanno paura di “uscire”? O forse crediamo che “ fuori non succede nulla”…? Ricordo che recentemente qualcuno mi ha detto: cosa significa quando tu parli di periferie “dentro e fuori”...? Ho risposto: fuori dalle nostre istituzioni, fuori dai nostri uffici, dalle nostre sacristie... Un docente di Vita Consacrata ci diceva sempre: “I domenicani sono in coro a pregare... i gesuiti sono in strada con la gente!…“ Mi chiedo…: Noi betharramiti cosa abbiamo di proprio...? Sentiamo profondamente di essere missionari come ci voleva S. Michele...?

Smettiamola di fare tanti calcoli. Altrimenti rischiamo di rimanere “ingabbiati”, quando invece dovremmo creare le condizioni per poter volare come passerotti all’incontro del fratello che soffre. “Datemi un cuore che ami veramente, che corra, che voli sulle orme di Nostro Signore Gesù Cristo” (DS …).

Oltre queste domande (perdonatemi, forse sono un residuo dell’età infantile dei “perché”...), la mia convinzione è che noi betharramiti ci stiamo rinnovando nella missione. Per lo meno ci sono dei segni in tal senso. E questo è evidente e dà speranza. Alcuni esempi:

Oggi in Centrafrica e in India la vita è minacciata. È noto che i villaggi, dove si trovano le comunità betharramite, subiscono persecuzioni da parte di gruppi etnici ribelli, o discriminazione religiosa.

A Niem si avverte questa pressione a causa dei problemi socio-politici che condizionano la missione. Comunicazioni interrotte, strade bloccate, rischio che i gruppi armati possano perdere l’  “equilibrio” in qualsiasi momento. In questo contesto i nostri fratelli dicono il loro “Eccomi” guarendo feriti e malati, servendo e perseverando.

Bidar, nello Stato del Karnataka, India, è un luogo inospitale. Non c’è luce né mezzi. Si lavora con tribù animiste o induiste, musulmani, ecc.; non è gratificante e non si giunge ad un annuncio esplicito del vangelo; si fa solo opera di promozione umana e di amore fraterno. In cambio si riceve solo un prezioso sorriso...

Due altre missioni: in Kerala c’è una comunità Malayalam che non ha un pastore che parli nella loro lingua e che li accompagni. A Mangalore c’è un’importante istituzione cattolica che ci offre una casa per assistere le persone abbandonate per strada.

A migliaia di chilometri dall’India, in America, le presenze storiche stringono un patto di solidarietà con la missione in aree urbane e rurali. È una società impoverita sotto molti aspetti. Ci si prende cura di chi bussa alla porta, di chi ha bisogno di mangiare, di lavarsi, di essere ascoltato e consigliato... Gruppi di laici e religiosi lavorano nella prevenzione delle dipendenze, aiutando coloro che soffrono. Si accettano Parrocchie situate nelle periferie e si lasciano altre Parrocchie più comode, dove la profezia sembra appannata.

In Italia: a Monteporzio, il lavoro betharramita a servizio della vita di persone colpite da  AIDS non ha bisogno di presentazione. Una missione eloquente, condivisa con laici ed esperti.

L’attenzione ai cristiani di lingua ebraica in Terra Santa richiede la dedizione di missionari generosi che imparino la lingua e siano disposti a servirli. Non è facile assumere questa sfida. Confratelli che provengono da una Betharram più giovane, come l’India, la Thailandia, la Costa d’Avorio, il Brasile, il Paraguay, lasciano i loro Vicariati per servire nel luogo in cui vengono inviati in missione.

Chiedo scusa per non essere in grado di menzionare qui molti altri segni missionari che fanno Chiesa nella Chiesa particolare. Qualcosa sta crescendo sommessamente tra di noi…, qualcosa che non apparirà mai negli Atti, qualcosa di simile ad un germoglio che cresce prendendo forza dall’albero che sta seccando. È un segno di Vita! Una risposta a Gesù che ci invia come pecore in mezzo ai lupi...

 

Eduardo Gustavo Agín scj
Superiore Generale

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