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15/12/2017

Voci del Capitolo Generale

IV Orientamento: Uscire per condividere la stessa gioia

Voci del Capitolo Generale

“Il XXVII° Capitolo Generale che ci ha riuniti a San Bernardino è stata l’occasione per rileggere un’esperienza, che è la vita di una famiglia, per poter ripartire. Ripartire per noi vuol dire uscire e uscire per incontrare la vita”, ci dice P. Sylvain Dansou Hounkpatin scj, deputato al recente Capitolo Generale. Dietro questa rilettura però si nasconde evidentemente molto lavoro: tanti incontri di riflessione, di confronto, di dibattito e d’ispirazione per delineare il futuro, di cui il nostro confratello ci offre, qui di seguito, una sintesi.

Il XXVII° Capitolo Generale che ci ha riuniti a San Bernardino è stata l’occasione per rileggere un’esperienza, che è la vita di una famiglia, per poter ripartire. Ripartire per noi vuol dire uscire e uscire per incontrare la vita.

La rapida evoluzione del mondo d’oggi, il contesto storico socio-culturale ed ecclesiale da un lato, i discorsi di Papa Francesco sulla vita consacrata e sulla vita in generale, i suoi incoraggiamenti ad uscire, a osare, a inventare, le sue attese e le sue domande, d’altra parte, hanno fortemente contribuito alla stesura degli orientamenti sull’animazione vocazionale e sull’accompagnamento spirituale. Un fatto impressionante: in questo gruppo eravamo quasi tutti religiosi al servizio della formazione nelle varie realtà della Congregazione. Tutta la riflessione è partita dalle esperienze concrete vissute qua e là. Tutto è iniziato dalla nostra storia, dalle nostre storie e non dalle nostre idee o dai nostri vaghi progetti o persino dalle nostre buone intenzioni. La nostra storia, le nostre storie, che sono esperienze, se non hanno costituito una fonte di principi da cui avremmo potuto dedurre delle conseguenze, sono state almeno una fonte di esempi dai quali si è potuto eventualmente trarre delle lezioni di prudenza.

Come formatori, siamo diventati più consapevoli che la formazione deve essere una preoccupazione importante. Essere formatori è una possibilità e una responsabilità da sfruttare fino in fondo per il bene della Chiesa, della nostra famiglia religiosa e dei giovani stessi. Trascurarla sarebbe imperdonabile. Ciò presuppone che ci affidiamo a Dio. Contare unicamente sulle sole nostre forze, sui nostri meriti personali, su formatori ben preparati, sulle nostre strutture, sui nostri progetti di formazione preparati accuratamente (Ratio), significa illudersi. Dobbiamo credere in Gesù, è lui che chiama. Capire questo disinnescherà la nostra ansia e le nostre preoccupazioni. Vivremo così in pace, sicuri che Dio veglia sulla nostra piccola famiglia religiosa meglio che sul fiore dei campi. Altrimenti, che dire della mancanza di perseveranza vocazionale dei consacrati? Che dire degli abbandoni precoci dopo i primi voti, la professione perpetua o l’ordinazione? Dove collocare le responsabilità? Gli errori di discernimento e di selezione? E le lacune nell’accompagnamento spirituale?... Se il cuore è assediato da una moltitudine di desideri prepotenti, non può cogliere la voce del Signore.

C’è bisogno di amare Cristo, sia da parte dei formatori che della comunità di formazione, di essere da lui afferrati al cuore. Senza un amore vero, profondo, sincero, non è possibile dare alla nostra animazione vocazionale quella qualità superiore, quel dinamismo che rende la nostra vita consacrata non un peso o un compito da svolgere, ma un dono d’amore simile a quello di Cristo il cui unico desiderio era “compiacere il Padre”, essendogli perfettamente sottomesso fino alla “morte sulla croce”. Il Capitolo ci ha ricordato che l’animazione vocazionale è opera di tutti i religiosi (giovani e anziani). Tutti i religiosi devono essere in uscita per l’animazione vocazionale. I superiori devono stimolare le comunità con la forza dello Spirito affinché avvertano che il problema delle vocazioni li riguarda.

Il Capitolo ha aperto ancora una volta gli occhi su questa realtà fondamentale già registrata nella Dottrina Spirituale di San Michele (DS § 286): “La vocazione non può venire che da Dio: guai all’uomo che si attribuisce questo diritto”. Nella Congregazione abbiamo capito, oggi più di ieri, che Dio nella sua sovrana libertà chiama quando vuole e come vuole e che nella sua infinita pazienza attende il momento favorevole. Se Dio dice “Sì”, chi può dire “no”? Stiamo parlando più facilmente di “casi di vocazioni adulte e di candidati che hanno avuto altre esperienze religiose” quando, fino a poco tempo fa, era fissata un’età limite per accogliere un candidato nella vita religiosa betharramita; ed eravamo molto sospettosi verso coloro che avevano avuto altre esperienze religiose. La questione ormai si pone anche per noi betharramiti: come accoglierli? Si tratta di coloro che bussano alla porta della nostra famiglia betharramita. Qui, ogni vocazione è percepita come un evento personale e originale e ispirato dal Signore. Come accoglierli? Con quali criteri? Quale percorso di formazione offrire loro? Si tratta di candidati che hanno avuto altre esperienze religiose. Sono necessarie cautela e serio discernimento. Ovunque si tratta di sollecitare i candidati (giovani e adulti) a verificare, alla luce dei tesori dell’esperienza di San Michele Garicoïts circa la ricerca della volontà di Dio (metodo per conoscere la volontà di Dio ), la possibilità di una chiamata e la bellezza del dono totale di se stessi alla causa del Regno.

In questa direzione vanno le proposte concrete degli Atti. Se Betharram è una piccola famiglia, tuttavia è chiamata a “crescere”. È il granello di senape che deve diventare un albero all’ombra del quale gli uccelli faranno il loro nido. Promuoviamo con coraggio l’animazione vocazionale, cosicché tutti coloro che sono effettivamente chiamati, scoprano il dono prezioso che il Signore vuole fare loro in virtù di una speciale predilezione e nella famiglia di Betharram.

Sylvain Dansou HOUNKPATIN,scj

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