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Sessione 3
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15/12/2017

La Parola del Superiore Generale

Un atto indissolubile

La Parola del Superiore Generale

Carissimi betharramiti,

Nella Chiesa, nel ricordo della prima venuta del nostro Salvatore, stiamo vivendo un tempo di grazia. Lo facciamo in un’epoca nella quale molte cose vengono sistematicamente riciclate e si evitano gli impegni definitivi. L’Incarnazione, mistero centrale della fede cristiana e fonte ispiratrice del carisma betharramita, ci rende consapevoli che la dinamica di Cristo nel Vangelo va in una direzione opposta, nasce da un “atto indissolubile”: quello del Verbo Incarnato. Da quel momento, rimase costantemente abbandonato ai voleri di Dio, suo Padre… fino alla morte e alla morte di croce (cfr. S. Michele Garicoïts, Testo Fondante).

Con l’avvicinarsi del Natale, i religiosi e i laici betharramiti hanno la possibilità di contemplare il Signore e adorarlo in quel piccolo Bambino: l’Emmanuele. Il gesto di Dio fatto volto. Gesù si avvicina all’uomo. La sua prima espressione alla nascita sarà quella di illuminare l’oscurità della nostra vita.

A quale fonte il Figlio di Dio venne a bere quando lasciò il seno della Trinità ed entrò nel seno della Vergine Madre? S. Michele si stupiva nel vedere che beveva alla fonte della stessa Umanità. L’Amore eterno-annientato si avvicina all’umanità caduta per riscattarla, assumendo, totalmente, la sua condizione. Tuttavia, il peccato non lo aveva intaccato e non avrebbe mai intaccato il suo cuore sempre puro.

Questo “Dio-uomo” conobbe intimamente la fragilità della nostra natura umana. E con il suo atto ci aprì la porta all’intimità divina. “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv. 1, 14). Lo ha fatto in mezzo a un popolo peccatore, per innalzarlo con un tale abbassamento. Per arricchirlo con la sua povertà, annichilendosi.

La Divina Provvidenza si abbassò per andare incontro al pastore di Ibarre. In tal modo si è chiesto, come Elisabetta: “A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?” (Lc 1, 43), quindi, umilmente, anche noi dovremmo chiederlo al Signore insieme a S. Michele. Aver raggiunto il beneplacito divino, essendo, come eravamo, suoi nemici, ci lascia in debito con il Dio-Amore. “Che cosa renderò al Signore per tutti i benefici che mi ha fatto” (Sal. 115, 12). Il suo atto ci porta a vivere grati per sempre e a condividere la gioia di sentirci amati, nella fedeltà alla nostra parola.

La consacrazione di un religioso betharramita è un profondo atto di amore e di condiscendenza. Diverse volte, in passato, ho avuto il piacere di ricevere i voti perpetui a nome del Superiore Generale. Ogni volta sono stato il testimone privilegiato di un “sì” definitivo. E mi chiedevo: che cosa ha scoperto questo confratello per consacrare totalmente se stesso?... Che cosa ha vissuto con Cristo… Che cosa vuole essere...?

Mi trovavo di fronte a:

  • Un nuovo volontario, un uomo che non rinuncia ad essere felice, perché ha scoperto Gesù come l’Unico Necessario, sua gioia e suo tutto, e ha fatto la scelta di seguirlo.
  • Un uomo libero, senza ambiguità, che ama Betharram e i betharramiti. Che desidera vivere e morire a Betharram.
  • Un “pazzo per Gesù Cristo”, mosso dalla molla segreta dell’amore, nel cui cuore arde la Parola.
  • Un membro attivo in una piccola famiglia, che desidera costruire il Regno non da solitario ma in comunità.
  • Un’esistenza profetica in un mondo che si trasforma e che, mediante la sua Vita, ha qualcosa da dire.

Siamo stati chiamati a dire un “sì definitivo” come l’ “Ecce Venio” del Bambino Gesù. Siamo stati accompagnati da una Congregazione che si è preoccupata di darci le cure necessarie e i mezzi per crescere ed essere felici, a immagine della Sacra Famiglia.

Siamo stati anche chiamati a vivere con un atteggiamento simile a quella di Maria, che non ha collaborato alla redenzione in modo passivo, ma in modo attivo mediante la sua fedeltà e obbedienza allo Spirito Santo. Il suo “Ecce Ancilla Domini”, che è la meravigliosa accettazione di un’avventura divina, accogliendo nella fede il sogno del Padre. Il “sì” al messaggero del Signore, in perfetta consonanza con il “sì” che il Figlio ha pronunciato nel seno della Trinità. Questa provvidenziale coincidenza esprime una sinfonia teologica dell’amore come mai nessuno ha manifestato.

Sant’Ignazio dice che le tre persone divine, guardando dove sarebbero andati a finire gli uomini di questo mondo con la loro follia, dissero a se stessi: “Facciamo la redenzione del genere umano” (EE. EE. 106 - 109).

Infine, l’incarnazione ci pone di fronte a noi stessi, ci mette alla prova. Ci ricorda che se siamo veramente fedeli non potremo vedere soffrire le persone, perché saremo spinti a fare qualcosa per loro. Gesù, Verbo incarnato, ci spingerà a parlare loro da uguali, a camminare con loro fianco a fianco. A provare misericordia per loro.

Fratelli: quant’è attuale il nostro carisma! Che contemplazione meravigliosa!

Dedichiamo la nostra vita ad annunciare Gesù Cristo, annientato ed obbediente! Questo è ciò a cui dobbiamo dedicarci specificamente! Non diamo nulla per scontato in questo mondo secolarizzato e indifferente. La nascita dell’Emmanuele ci spinge a ravvivare in noi la passione per proclamare che questo Bambino è il Salvatore del Mondo, che viene per essere conosciuto e amato.

Constatiamo con tristezza che le persone conoscono sempre meno Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio fatto uomo, che ci ha liberati dal peccato e ci ha fatto partecipi della sua Vita divina! Diciamo al mondo che Gesù è l’unico e vero significato per le nostre vite, che non è un nuovo personaggio di History Channel. Assumiamo la marturía senza adattarci a una vita facile. Non facciamo parte di una Chiesa imborghesita, proiettata in un’esteriorità tiepida e pusillanime. Usciamo per incontrare la Vita.

Il Signore è venuto ad incontrarci, è venuto a noi per illuminare il nostro cuore, si è fatto compagno di strada come ad Emmaus. Si è fatto amare da noi. Noi, eredi del carisma betharramita, dovremmo sentirci tanto onorati per questo!

Betharramiti!, religiosi e laici, uomini e donne di Dio, questo è il nostro motto: “Ecce Venio” - “Ecce ancilla”.

Possa l’arrivo di Gesù in questo 2017, illuminato da Maria, trovarci svegli, vigilanti, disponibili e felici di rallegrarci con l’Emmanuele. Il Divino Bambino che ha conquistato il nostro cuore con la sua tenerezza e lo ha fatto con un “atto indissolubile.”

Eduardo Gustavo Agín scj
Superiore Generale

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