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14/05/2015

La Regola vissuta

Ob-audire

La Regola vissuta

Nella vita religiosa, l’obbedienza non è un riconoscimento che dà lustro a una buona azione, ma una disposizione dello spirito e del cuore che vince ogni indugio. In fondo, l’etimologia ci mette sulla buona strada: Obbedire, dal latino ob-audire “prestare l’orecchio a qualcuno”.

Rimane il fatto che parlare dell’obbedienza non è impresa facile. Figuriamoci poi se si tratta di redigere articoli della Regola di vita su questo argomento per i Betharramiti di oggi e di domani! Avendo messo mano a questa missione con gli altri membri della Commissione incaricata della revisione della Regola di Vita, Padre Oyhénart scj risale alla sorgente della loro ispirazione.

 

«Per fortuna che c’è il buon Dio!»
Doveva capitare, doveva capitare a me! Devo parlare dell’obbedienza quando, troppo spesso, mi piace osservare che quelli che ne parlano di più, o nel modo migliore, troppo spesso sono tra coloro che fanno quello che vogliono …

Ah! L’obbedienza! Parliamone!
Il primo voto di un Betharramita? All’indomani di una Rivoluzione francese che ha destrutturato la Chiesa e la società, Michele Garicoïts ha visto dei vescovi piangere a causa della disobbedienza di numerosi sacerdoti; da qui nasce una delle sue intuizioni per fondare una Congregazione. Padre Augusto Etchécopar nei suoi Pensieri, in seguito padre Pierre Duvignau, ne La Dottrina Spirituale, dedicano all’obbedienza i capitoli più ampi!

La nostra Regola di Vita mette equilibrio nella presentazione dei voti: 16 articoli per la «castità consacrata», 12 per la «povertà evangelica» e 14 per «l’obbedienza betharramita»; e la scelta degli aggettivi non è lasciata al caso! Castità, povertà, obbedienza: il Vaticano II presenta i voti in questa sequenza; Betharram fa lo stesso. E questo va molto bene! L’amore, solo l’amore, l’amore significato nel voto di castità, può giustificare povertà e obbedienza. Lo si dice anche al n° 64: «Viviamo l’obbedienza religiosa nella prospettiva del mistero dell’Incarnazione. [Siamo] uniti a Gesù Cristo nell’offerta di tutto il nostro essere per amore …»

Non dimentichiamolo mai: con Michele Garicoïts, tutto prende avvio dalla contemplazione dell’Amore di Dio manifestato nell’Incarnazione del Figlio. Questi dice: «Eccomi», annientandosi, per amore, fino alla morte, la morte più ignominiosa, quella della croce. «Di fronte a questo spettacolo prodigioso», noi ci sentiamo «spinti a impegnarci», a consacrarci attraverso i voti. «Obbedire» non è fuori moda! Parlare di «annientamento» è valido ancora oggi! Non si possono sopprimere e nemmeno mettere a tacere alcuni passi della Parola di Dio …

Nel suo testo fondante, Michele Garicoïts ci ricorda l’inno della Lettera ai Filippesi: «Gesù Cristo svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini... Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò…Quindi, miei cari, voi che siete stati sempre obbedienti, non solo quando ero presente ma molto più ora che sono lontano, dedicatevi alla vostra salvezza con rispetto e timore. È Dio infatti che suscita in voi il volere e l’operare secondo il suo disegno d’amore.» (Fil 2,7 ss)

Certo, l’obbedienza non è esente da sofferenza. Anche per Gesù: «Padre mio, se non è possibile che questo calice passi oltre da me, senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà» (Mt 26, 42). Ma quale sovrana libertà da parte di Gesù nella Passione secondo il Vangelo di san Giovanni! E questo versetto straordinario: «Ora, prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta per lui l’ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13,1).

A sr Maria Raffaellina, figlia della Croce, superiora di comunità, Michele Garicoïts raccomanda: «Il Signore destina le sue sorelle a lavorare al suo servizio, non come schiave, ma liberamente e per amore. Cominci dunque a conquistare il loro cuore e la loro volontà. Fate in modo che sappiano bene quanto le ama. Le ami senza misura, perché Dio le ama e perché loro sono capaci di amare, e si comporti sempre con dolcezza.» Scrivendo alla stessa religiosa, più avanti, insiste e sottolinea «PER AMORE!»

Ognuno ha il diritto di essere amato ; ognuno ha il dovere di amare. Con san Michele Garicoïts guardiamo ancora «come bisogna vedere le cose: bisogna esercitare, nei limiti della propria posizione, l’immensità della carità.» Se ognuno veramente dedicasse tempo a mettersi in ascolto dell’altro - non un breve attimo, non una volta en passant - allora, la vita insieme (in comunità, in vicariato, etc.) non sarebbe forse più facile? La «fiducia» non sarebbe un altro nome dell’«obbedienza»? Certo: «Per fortuna che c’è il buon Dio» e ci vuole bene!

Beñat Oyhénart, scj

 

Articolo 64 - Viviamo l’obbedienza religiosa nella prospettiva del mistero dell’Incarnazione. Uniti a Gesù Cristo con l’offerta di tutto il nostro essere per amore, diventiamo liberi rinunciando alle nostre più legittime aspirazioni per essere fedeli alla missione della comunità. Così diventiamo veramente dei discepoli di Gesù «che camminano con cuori traboccanti di una santa gioia, che corrono e volano nel servizio di Dio».

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