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14/02/2014

La Parola del Superiore Generale

La separazione di un membro

La Parola del Superiore Generale

Nella nuova Regola di Vita il capitolo X è stato sviluppato su richiesta della Santa Sede, a causa dell’elevato numero di richieste di uscita da congregazioni pervenute nel corso degli ultimi anni. È importante che i formatori abbiano presente questo capitolo durante i loro incontri con i formandi, affinché gli stessi possano prendere, in maniera matura e responsabile, la decisione di consacrare la loro vita al Signore nel nostro istituto. Soltanto motivi gravi possono modificare una decisione presa liberamente e che presuppone un discernimento spirituale fatto con serietà. Le procedure per abbandonare la Congregazione sono molto complesse.

Prima di intraprendere questo processo definitivo, un religioso che si propone di uscire dalla Congregazione può rileggere l’art. 99 della RdV secondo il quale soltanto motivi di salute, di studio, esperienze missionarie o altro possono comportare la richiesta di vivere fuori della comunità per la durata di un anno. Il religioso in questione dovrà fare la sua domanda al Superiore regionale che, con l’approvazione del suo consiglio, potrà accordagliela.

L’indulto per entrare in un altro istituto è un passo che può essere preso in considerazione previo accordo tra i moderatori supremi dei due istituti e con il consenso dei rispettivi consigli. È richiesto un periodo di prova di almeno tre anni nel nuovo istituto, durante il quale i voti in precedenza emessi restano validi. I diritti e i doveri attinenti a quello di ubbidienza sono sospesi nei confronti del primo istituto, ma restano validi nel nuovo. L’incorporazione definitiva è ufficializzata attraverso la professione perpetua (RdV 301-306).

L’indulto di esclaustrazione consiste nel vivere un’esperienza da uno a tre anni in una diocesi. Un religioso può farne richiesta al Superiore generale per gravi motivi personali. La richiesta deve essere corredata dall’accordo scritto del vescovo che lo accetta nella sua diocesi. L’indulto di esclaustrazione viene concesso dal Superiore generale con il consenso del suo consiglio (RdV 307-309).

L’uscita dalla Congregazione per un religioso con voti temporanei può verificarsi in modo automatico alla scadenza dei suoi impegni temporanei. Se il religioso desidera uscire prima della scadenza per la quale si era impegnato, deve farne domanda scritta al Superiore generale esponendo le gravi ragioni che motivano la sua richiesta. Il Superiore generale può consentire la sua uscita previo consenso del suo consiglio (RdV 310-313).

L’indulto di uscita dalla Congregazione per un religioso con voti perpetui. L’interessato può farne richiesta al Superiore generale, esponendo le gravi ragioni che la motivano. Il Superiore generale sottopone la richiesta alla Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica (CIVCSVA), unitamente al suo parere e a quello del suo consiglio. Spetta a quest’ultima Congregazione concedere o meno questo indulto (RdV 314-315).

L’indulto di uscita dalla Congregazione per un religioso ordinato. Il religioso interessato ne fa richiesta per iscritto al Superiore generale, precisando le gravi ragioni che gli suggeriscono questo passo ed allegando la volontà espressa dal vescovo che è disposto a incardinarlo nella sua diocesi. Il Superiore generale sottopone la richiesta alla Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, unitamente al suo parere e a quello del suo consiglio. Spetta alla CIVCSVA concedere o meno l’indulto. Il vescovo che lo ha accettato deve produrre un documento per mezzo del quale lo incardina, inviandolo al Superiore generale e alla CIVCSVA (RdV 314-316).

Un religioso a voti perpetui può essere dimesso dalla Congregazione per cause gravi, esterne, imputabili e comprovate giuridicamente, come da Art. 319 e 321 della RdV e nei canoni 695, 696, 1397 e 1398. Il Superiore maggiore, dopo aver consultato il suo consiglio, può decidere di avviare il processo di dimissione: raccoglie le prove e, nel lasso di tempo di quindici giorni, ammonisce per due volte il religioso interessato, per iscritto o davanti a due testimoni, informandolo che in caso di mancato ravvedimento sarà dimesso dall’Istituto. Negli ammonimenti devono essere notificate chiaramente le cause della dimissione e la possibilità di difendersi. Trascorso il tempo previsto, comprovata l’assenza del ravvedimento e l’insufficienza della difesa, il Superiore maggiore invia al Moderatore supremo l’intera documentazione (RdV 322-324).

Il Superiore generale procede quindi all’esame delle prove, degli argomenti e della difesa con tutti i membri del suo Consiglio, che procede collegialmente a un voto a scrutinio segreto. Se il risultato del voto è la dimissione, il Superiore generale emette il relativo decreto. In esso devono essere riportati esplicitamente i motivi della dimissione nonché il diritto di ricorrere presso l’autorità competente per il religioso dimesso, il tutto entro dieci giorni dalla notificazione del decreto. Il medesimo dovrà essere ratificato dalla CIVCSVA. Se il religioso è un chierico, l’interessato non potrà più esercitare gli ordini sacri fino a quando non abbia trovato un Vescovo che lo accolga (RdV 327 – CIC. § 701).

Infine, un religioso ordinato può perdere lo stato clericale per sentenza giudiziaria, per decreto amministrativo che dichiari l’invalidità dell’ordinazione, per pena di dimissione irrogata legittimamente o per rescritto della Santa Sede (CIC. § 290). Colui che ha perduto lo stato clericale resta rimosso da ogni ufficio ecclesiastico (CIC. § 194), non è più tenuto all’osservanza degli obblighi relativi allo stato clericale di cui perde i diritti, è privato di tutti gli uffici ed incarichi e di qualsiasi potestà delegata (CIC. § 292). Il chierico che ha perduto lo stato clericale non può essere ascritto di nuovo tra i chierici se non per rescritto della Sede Apostolica (CIC. § 293).

La perdita dello stato clericale non comporta la dispensa dall’obbligo del celibato che può essere accordata soltanto dal Romano Pontefice (CIC. § 291).

I membri che lasciano la Congregazione legittimamente, così come quelli che ne vengono dimessi, non hanno diritto ad esigere alcun indennizzo a fronte di lavori o servizi svolti per la Congregazione stessa (RdV 328). Si avrà grande cura di salvare la reputazione del religioso dimesso e lo si aiuterà nella misura che la carità esige (RdV 326 – CIC. 702 § 2).

Gaspar Fernández Pérez, scj



Con questo articolo termina la serie di editoriali del Superiore generale dedicata al commento esplicativo della nuova Regola di Vita. Su richiesta di alcuni religiosi, questi articoli saranno riuniti in un volume, nelle quattro lingue principali, e inviati in formato pdf ai superiori regionali, ai vicari regionali e ai formatori per l’animazione e la formazione.

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