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27/06/2011

Notizie in Famiglia - 14 luglio 2011

Sommario

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La parola del Padre generale

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QUANDO SONO DEBOLE, È ALLORA CHE SONO FORTE

Dal racconto della creazione risulta evidente chi è l’uomo secondo la Scrittura: allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente (Gen. 2,7). La fragilità ci rende umili, pronti e aperti alle sfide e alle possibilità che ci offre il Creatore. Tutto è dono, tutto è grazia. Abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi (2 Cor4,7). Questa sarà una costante nell’antropologia biblica.

L’uomo è stato creato fragile e questa è la sua grandezza.  La fragilità è l’esperienza del mio essere limitato e dipendente: quello che sono, quello che ho, quello che posso è un dono che ho ricevuto; la mia realizzazione è legata alla mia capacità di trascendermi, di uscire da me stesso per scoprire quello che mi fa crescere e mi rende migliore. In questo caso la fragilità è una benedizione perché è come la molla che spinge la persona a uscire da sé per mettere in atto tutte le sue potenzialità, come nella parabola dei talenti (Mt 25, 14-30). È però fondamentale che l’uomo sia consapevole di queste fragilità che lo spingono al superamento e offrono possibilità ed energie nuove. Quando sono debole è allora che sono forte! (2 Cor 12,10)
La fragilità è una benedizione; la maledizione è quando mi chiudo in me stesso e conto solo su di me, perché mi sento come un dio; oppure, al contrario, quando non ho nessuna fiducia in me stesso e non do alcun valore alle possibilità che il Creatore mi offre. Così intesa, l’esistenza si trasforma in una minaccia allo sviluppo e alla crescita. Per impedire che la benedizione si trasformi in maledizione, che l’uomo si chiuda in se stesso, Dio dà all’uomo una compagna, che lo fa uscire da se stesso perché formi con lei una sola carne. La donna è il dono del creatore che lo invita a lasciare suo padre e sua madre, ad andare oltre se stesso nell’amore per dare continuità alla vita. E viceversa.
La maledizione di Adamo ed Eva è di aver voluto essere come dei, creature onnipotenti che possono fare a meno del Creatore. Risultato: si chiudono in se stessi, e corrono a nascondersi per paura. Pieno di irritazione, Caino ha il volto abbattuto di fronte alla preferenza che Dio riserva ai sacrifici di suo fratello Abele. Gli abitanti di Babele, sicuri del progresso portato dalla scoperta del mattone e dell’asfalto, vogliono costruire una grande città per rinchiudersi, rendere il loro nome immortale e non disperdersi per tutta la terra. In questo, contraddicono l’ordine del Creatore: “siate fecondi, moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela” (Gen 1,28). Nel Vangelo, Pietro appare molte volte come un uomo chiuso in se stesso, ma l’amore e la fiducia in Gesù lo aprono ad un mondo totalmente inaspettato. La maledizione di Giuda è stata il suo rimanere chiuso nella disperazione provocata dal tradimento. La sera di Pasqua, mentre gli apostoli sono rinchiusi per paura dei giudei, la presenza di Gesù risorto che soffia su di essi, li fa uscire allo scoperto per portare la loro testimonianza ai quattro angoli del mondo e la salvezza che nasce dal dono che Gesù fa di se stesso sulla Croce.
Se l’uomo, fatto di argilla, creato per la benedizione, si chiude in se stesso e merita la maledizione di Dio, suo Creatore, ha però ancora una via d’uscita. Anche Dio non può chiudersi in se stesso, nel suo dolore, nella sua ira o nella sua vendetta. In questo gli siamo simili: lui stesso cadrebbe nella maledizione se si chiudesse in se stesso. Invece è capace di autotrascendersi nell’amore, non chiede di vincere ad ogni costo, accetta di perdere, di non avere ragione, si supera nel perdono ed apre un cammino nuovo, dà un futuro alla creatura che si trovava in un vicolo cieco, condannata alla distruzione e alla morte. “E quando l’uomo perse la tua amicizia, tu non l’hai abbandonato in potere della morte: ma a tutti sei venuto incontro, perché coloro che ti cercano ti possano trovare” (Preghiera Eucaristica IV). Né la donna, né il pastore, né il padre si sono rinchiusi nel loro dolore, ma hanno cercato, finché hanno trovato, la moneta, la pecora e il figlio; e con essi la gioia di vivere (Lc 15).
In 2 Cor 4,6-7 comprendiamo il motivo per il quale il Creatore ci ha fatto di argilla: la condizione di fragilità dell’uomo è una benedizione, perché l’argilla animata dal soffio di Dio, è capace di riflettere la sua gloria. Perché è un’argilla degna, fatta a sua immagine e somiglianza. Argilla creata per amore e capace di amare. “Sarà cenere, ma avrà un senso / Saranno polvere, ma polvere innamorata” (Quevedo, sonetto: cerrar podrá mis ojos la postrera sombra [chiudere potrà i miei occhi l’ultima ombra]). E questo è ancora più evidente nell’Incarnazione: sul volto di Gesù, il Verbo Incarnato, si riflette la gloria di Dio che brilla anche nei nostri cuori di battezzati.
Tutto nella vita di Gesù è fragile, vulnerabile, privo di forza. Fragilità di un bambino, nato a Betlemme, avvolto in fasce e posto in una mangiatoia, perché non c’è posto per la sua umile famiglia nell’albergo. Fragilità esposta al massacro voluto da Erode, e protetta da San Giuseppe che si vede costretto a fuggire in Egitto, come rifugiato. Fragilità di chi è condannato ingiustamente e non ha nessuno che lo difenda, perché tutti lo hanno abbandonato. Esperienza della morte da parte del Dio della vita: questo evidenzia che non è il potere ma l’amore che conta. Perché è l’amore e non il potere ad essere più forte della morte.
Fragilità benedetta è il contenuto della predicazione di Gesù: le beatitudini, il granello di senape, il grano caduto nella terra, il lievito, i cinque pani, i due pesci, gli spiccioli della vedova, la lavanda dei piedi, il dono della vita, il perdono, il servizio, l’amore.

Gaspar Fernandez,SCJ

 

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nef-etchecopar.jpgIl Padre Augusto Etchécopar scrive... 

alla sua famiglia, 24 luglio 1866

Che dolci emozioni quelle dei cuori che si amano in Dio! Ancora una volta abbiamo fatto insieme questa esperienza: ma, se le nostre possibilità limitate e l’amore reciproco di persone che si vogliono bene quaggiù producono sensazioni così vive e così delicate, quale sarà mai la nostra gioia nel contemplare Dio, la sua Bellezza, e il suo Amore per noi, in Cielo, e nel vedere noi in Lui e Lui in ciascuno di noi!
Ma quello che speriamo per la vita eterna, possiamo già iniziarlo quaggiù, amando Gesù sempre di più, unendoci a lui con la preghiera, i sacramenti, l’umiltà, la dolcezza e una grande carità, vedendo Lui presente in tutte le creature e la sua volontà piena di amore in tutto ciò che ci capita.
Così ha fatto la tua Patrona Celeste, cara Maddalena … Non appena ha conosciuto Gesù, ha lasciato tutto per Lui … Ha rotto con tutto il suo passato con un gesto clamoroso, decisivo, eroico, che l’ha portata a gettarsi ai piedi di Nostro Signore nel bel mezzo di un banchetto … e trasforma tutti gli strumenti di peccato in strumenti di penitenza e di opere buone; i suoi occhi si riempiono di lacrime, utilizza le mani per lavare i piedi del Salvatore, i suoi capelli per asciugarli, la sue labbra per baciarli, i suoi profumi per ungerli! E dirige tutti gli slanci del suo cuore verso    Gesù Cristo … Oh! [come ci insegna] le vie di questo amore umile, generoso, perseverante.


Rilettura della vita

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CONFESSIONI DI UN FRATELLO MAGGIORE

Pubblichiamo qui il testo che P. José Mirande, dello scolasticato di Belo Horizonte (Brasile), ha scritto per "Sneha Jwala", rivista annuale della comunità di formazione di Bangalore (India).

Dal giorno in cui ho scoperto, grazie ad un testo di sociologia indiana, l’esistenza dei quattro Ashrama della vita umana, è stato per me un piacere rileggere la mia vita secondo quell’intuizione. Oggi, a 75 anni, è facile per me riconoscere, nella mia vita trascorsa, il tempo dell’apprendistato fino alla mia ordinazione sacerdotale, poi il grihastra con il primo ministero parrocchiale, il periodo della trasmissione a fratelli più giovani di una esperienza spirituale, nella responsabilità della formazione, ed ora il sannyasa, certo non mendicando il pane, ma sopportando atre forme di dipendenza, quali la necessità di purificare il sangue a causa della pigrizia dei miei reni (strumenti e persone), la necessità di persone che mi accompagnino nei miei spostamenti, principalmente in clinica, l’amorevole cura dei miei confratelli …
In pratica, potrei dividere in due grandi periodi i quattro aspetti del mio ashrama. Il primo contrassegnato da una gioiosa obbedienza creativa, con lo svilupparsi di molte illusioni e prospettive personali. Il secondo consiste in una maggiore sottomissione alla realtà che devo affrontare, dai quarant’anni in su. Il passaggio si è operato con la morte del mio superiore e amico Geraldo Goncalves. Ho dovuto allora assumere la carica di superiore dei miei fratelli per un po’ di tempo, il compito della formazione per un più lungo periodo: questo, in un certo senso, poteva essere considerato come una promozione umana. Ma il vero cambiamento in quel momento è venuto dall’opportunità di un lavoro sociale e pastorale vicino alle favelas della nostra parrocchia. Un lavoro ben organizzato con un gruppo di 4 giovani, con un progetto e una valutazione settimanali, visite ai poveri, ecc. Risultato: le comunità hanno cominciato ad organizzarsi intorno a problemi sociali e di fede, e noi stessi abbiamo imparato, attraverso il contatto con queste persone, come cercare la soluzione di problemi impossibili, entro i nostri limiti. Questo era un vero passare dalle idee ad un atteggiamento più concreto e maturo.
Mi piace immaginare che questo periodo corrisponde a quello del demone del mezzogiorno e delle sue tentazioni, di cui parlavano i primi monaci della Chiesa.
Questo mi porta a vedere lo stesso schema nella biografia di San Michele Garicoïts. Per lui, il momento del cambiamento potrebbe essere l’anno 1841 (aveva 44 anni). Fino ad allora, è un lavoratore obbediente, gioioso e creativo della Chiesa. In una grande fedeltà e anche sottomissione al Vescovo e alle guide spirituali nella scoperta della sua vocazione, fonda la nostra Congregazione, nella quale stabilisce un metodo rigoroso per il lavoro dei missionari, inizia il compito educativo a Bétharram, accoglie i primi fratelli … Ma nel 1841, ecco la regola del Vescovo Lacroix, il quale non accetta che Bétharram sia una vera Congregazione.
Michele Garicoïts si sottomette senza tentennamenti. Prevede una situazione problematica e vive una specie di dipendenza, avendo fatto dell’obbedienza l’elemento principale della sua Congregazione. Sua Eccellenza gli chiede di fare questo e quello, e lui obbedisce, anche al di là della logica umana. Apre molte scuole, invia un gruppo ben preparato in Argentina, accoglie, dopo lunghi colloqui, i membri dell’Istituto della S. Croce di Oloron. Senza dubbio, questa approvazione comporta difficoltà molto concrete. Bétharram deve rinunciare ad alcune scuole poco tempo dopo (Mauléon, Asson). Diversi insegnanti, coinvolti nell’educazione in modo troppo affrettato, considerano la chiamata all’insegnamento più importante della consacrazione religiosa, e lasciamo l’istituto (i FF. Espagnolle, Lapatz, Beudou, Hayet…). E Michele entra nel suo sannyasa, perde la salute (il suo primo ictus, nel 1853, si ripeterà quasi ogni anno fino alla sua morte).
Siccome mi sto rivolgendo ai miei fratelli più giovani, ritengo necessario chiarificare che ci sono momenti in cui il nostro ideale di vita sacerdotale richiede un’adeguata rielaborazione, in modo tale che la nostra fede, e la nostra esperienza spirituale, siano a fondamento di queste trasformazioni. Ci deve essere uno sviluppo nella pratica dei voti religiosi a seconda dei vari momenti e circostanze della nostra vita. Per questo prego e auguro a tutti voi un impegno pienamente consapevole e gioioso attraverso i primi voti, nonché una risoluta perseveranza.

José Mirande,SCJ


LaicI betharramiti

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RIFLESSIONI IN FRATERNITÀ

Dopo il Capitolo regionale del gennaio 2011, il Consiglio di Fraternità ha cercato di chiarificare ciò che caratterizza il carisma di San Michele Garicoïts e unisce religiosi e laici; i diversi modi di essere laico associato a Bétharram; il significato dell’appartenenza alla Fraternità “Me Voici”.  Questo testo sarà oggetto di ampio dibattito durante l’incontro dei giorni 23-24 luglio a Bétharram.

RELIGIOSI
La famiglia betharramita è nata da un’intui-zione di San Michele Garicoïts a partire dal suo sguardo sulla Chiesa del suo tempo che lo porta ad esclamare: “Ah, se si potesse costituire una società di preti…”
A questa comunità di preti, affida una MISSIONE particolare: Essere portatori della dimensione dell’Incarna-zione del Verbo-Figlio di Dio in un cuore di uomo; Imitare il Cuore di Cristo, lasciandosi conquistare dall’amore di Dio e presentare al mondo il volto di Dio.
La Congregazione dei Religiosi di Bétharram esiste per adempiere questa Missione, e si dà una Regola di Vita per determinare il suo modo di vivere questa Missione. Vivere come Chiesa, in particolare: Una presenza umile e vera; L’accettazione delle differenze; Il desiderio di unità; La dedizione e l’obbedienza assolute; La cordialità (tutto ciò che riguarda il cuore).
Per VOCAZIONE, per chiamata di Dio, ognuno è chiamato a scoprire e inventare il cammino che gli permetterà di essere se stesso, di realizzarsi in tutte le sue capacità, di rispondere al desiderio profondo che lo abita per corrispondere a ciò che Dio gli propone di vivere… Sul cammino di ognuno, gli incontri sono i segni posti da Dio sul cammino da Lui proposto.

LAICI
Per i laici, far parte della famiglia di Bétharram significa aver incontrato qualcuno, una comunità, un’istituzione che manifesta la gioia di sentirsi amati da Dio, secondo lo stile di san Michele Garicoïts; significa anche aver coltivato il desiderio di condividere tale gioia.
Questo fa scattare la ricerca di scoprire ciò che anima Bétharram, conoscere San Michele Garicoïts, approfondire ciò che propone come cammino spirituale. La lettura della Dottrina Spirituale è la base di questa scoperta.
La missione propria dei laici associati alla Congregazione potrebbe essere così espressa: Insieme rivelare Dio che ci ama, Dio al quale è piaciuto farsi amare; Condividere la gioia di questa scoperta; Esserne testimoni con tutta la vita “nei limiti della propria posizione”; Essere portatori dello spirito di san Michele Garicoïts in tutte le relazioni, (“cordialità”, generosità …); Aver cura di “fraternizzare” le differenze nella Chiesa.

FRATERNITÀ "ME VOICI"
La vocazione di ogni cristiano è di mostrare al mondo l’Amore del Padre, rivelato nel Cuore di Cristo, quella di Bétharram è di viverla con la colorazione particolare dell’ “Eccomi”.
Da 20 anni alcuni uomini e donne si riuniscono in quella che hanno chiamato Fraternità “Me Voici”. Fedeli a questa ispirazione, hanno elaborato degli “ORIENTAMENTI PER UNA VITA”, sotto forma di “Statuto” [Charte] e alcune regole con una microstruttura organizzativa, il Consiglio di Fraternità, composto da tre laici eletti e da un religioso nominato dai suoi confratelli. Non è una regola di vita; ognuno deve creare il suo rapporto con il Signore, la sua propria vita come cristiano. Appartenere alla Fraternità non implica un impegno “in più”, ma una “colorazione” data alla propria vita e il tempo per una condivisione di questa vita.
Oltre all’incontro mensile dei membri del gruppo, il funzionamento della Fraternità si basa su un certo numero di elementi comuni: un bollettino per le comunicare, “Fraternel”; un ritiro annuale animato da un religioso di Bétharram; un incontro alla fine di luglio per condividere il proprio vissuto, vivere un tempo di formazione, lanciare il programma dell’anno seguente…; esprimere un impegno personale durante la celebrazione in luglio oppure per delega in caso di assenza; un tema annuale portato avanti in modo molto flessibile ma che crea un’unità di riflessione; un sussidio per la preghiera; una quota annuale per assicurare il “micro funzionamento”, permettere una perequazione o un aiuto ad una partecipazione regolare…; la proposta di un aiuto personale alle opere della Congregazione.
Il Consiglio di Fraternità si sforza di mantenere uniti  tutti i gruppi. Tuttavia non è necessario essere membri della Fraternità per essere associati alla famiglia di Bétharram in questo vicariato. Infine, notiamo che la Fraternità “Me Voici” è nata in Francia. Gli altri laici di Bétharram, in altri luoghi sono coinvolti con modalità diverse.

ALCUNE DOMANDE
Le persone coinvolte sono del tutto soddisfatte di questo funzionamento?  Se no, cosa converrebbe far evolvere, far crescere?
Approfondire la spiritualità di San Michele Garicoïts, vivere del carisma di San Michele Garicoïts, e appartenere alla Fraternità, tre modi diversi di essere laici associati a Bétharram. Ve ne sono altri? Quali strumenti utilizzare per farsi conoscere, per attirare, per essere accoglienti in Fraternità?


Testimonianza

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SCEGLIERE LA GIOIA

Con decisione del Consiglio regionale, approvata dal Consiglio generale il 3 febbraio, la comunità di Bétharram lascerà Limoges. Introducendo l’Eucaristia celebrata nella chiesa San Giuseppe il 10 giugno scorso, una laica, membro della Fraternità Me Voici, ha pronunciato la seguente allocuzione. Ha dato il senso di questo saluto.

Gioia di ringraziare i parrocchiani di San Marziale che ci accolgono, Mons Kalist, vescovo di Limoges e il suo vicario generale, Claude Chartier, Jean-Dominique Delgue Vicario regionale di Francia- Spagna, i sacerdoti diocesani, gli amici dei religiosi e, naturalmente, i religiosi del Sacro Cuore presenti qui e altrove, con il pensiero per quelli che sono nella Casa di Riposo, o per tutti i religiosi che riposano nel bel cimitero di Bétharram.
Scegliere la gioia del rendimento di grazie per questi lunghi anni (dal 1948) trascorsi al servizio della diocesi di Limoges, grazie a quelli che il loro fondatore, san Michele Garicoïts, chiamava “campi volanti” … Campi volanti che, a partire dal carisma dell’”Eccomi” hanno avvicinato il Cuore di Cristo al cuore dei Limosini, sulle strade di Saint Léonard, di Chalus, del Dorat ecc.   
Campi volanti che hanno dato inizio ad alcune cappellanie, del Movimento Eucaristico dei Giovani e dei giovani Operai; campi volanti che hanno iniziato un lavoro con gli handicappati, i malati nella Pastorale della Salute presso i nostri ospedali; campi volanti che sono stati animatori nel “Soccorso Cattolico”, nel Comitato Cattolico contro la Fame e per lo Sviluppo, nell’Associazione dei Cristiani per l’Abolizione della Tortura; infine campi volanti che si prendono a cuore i loro alunni alla Scuola Ozanam e nell’insegnamento cattolico.
Volontà di questi religiosi di donarsi ai “più piccoli” in opere che “gli altri rifiutano”! Campi volanti, “ausiliari di Dio”!
Scegliere la gioia con la Fraternità “Me Voici”.
Nella complementarietà tra religiosi e noi, laici di Francia e particolarmente a Limoges, ci sforziamo di mettere in pratica la nostra “Charte”. Noi, laici, che cerchiamo di vivere il messaggio di amore del Vangelo a partire dalle nostre responsabilità familiari e professionali, i nostri impegni politici e sociali; noi, laici, che cerchiamo “l’apertura al mondo” in collaborazione con i Padri missionari del Sacro Cuore presenti in America Latina, in Africa, in Asia; noi, laici, che vogliamo essere “portatori di questa Speranza” affidataci da Dio, “Signore del cielo e della terra”, e da Gesù Cristo, nel suo slancio d’amore, mentre dice al Padre: “Eccomi”.
Siamo amati da Dio, per questo scegliamo la gioia.

Dominique Combe
del gruppo "Fraternité de Limoges"


5 minuti con...

Padre Jair Pereira da Silva

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Incontro con P.Jair Pereira da Silva, superiore a 39 anni della «casa madre» di Bétharram in Brasile : Passa Quatro (Minas Gerais)

Nef: Tra i Betharramiti brasiliani, sei uno dei pochi a non essere originario dello Stato di San Paolo, né del Minas Gerais. Come hai conosciuto la Congregazione?
- Le vie del Signore sono veramente diverse da quelle degli uomini. Dio ha messo la Congregazione sul mio cammino grazie ad una rivista cattolica, Il Messaggero del Sacro Cuore di Gesù, che pubblica mensilmente articoli e notizie sulla devozione al Sacro Cuore. Sfogliandola, mi sono imbattuto in queste parole:  «Eccomi senza calcoli, senza indugio». Ho scritto immediatamente all’indirizzo indicato, a Belo Horizonte e Fr Mauro mi ha risposto. Abbiamo avuto un contatto epistolare per un anno, poiché non avevo accesso a internet. Al termine di questo periodo di accompagnamento, sono stato invitato a fare un’esperienza a Belo Horizonte. Ho lasciato tutto e sono partito. E ne sono felice. Dio non si serve sempre di mezzi graditi agli uomini, ma le sue strade sono sicure.

Che cosa ha lasciato una traccia più profonda nella tua formazione iniziale?
- COgni tappa della formazione ha avuto la sua importanza per me. Il postulandato a Belo Horizonte è stato fondamentale nel mio cammino. A fianco di P. José Antônio – la cui semplicità mi ha edificato – e di Fr Mauro, ho sperimentato una vera fraternità. Periodo cruciale è stato il noviziato a Paulinia, sotto la guida di P. Angelo Recalcati: è stato un tempo di grazia, di incontro con il Signore. Desidero sottolineare anche il soggiorno a Bétharram, nel contesto della preparazione ai voti perpetui. È stato un momento difficile, ma molto ricco di frutti: ho percepito Dio all’opera nella mia vita, soprattutto attraverso l’amicizia dei padri e dei fratelli francesi, l’esempio di preghiera e di fraternità di cui sono stato testimone. Sì, ringrazio il Signore di avermi offerto l’opportunità di vivere a Bétharram.

Dopo 10 anni dai primi voti e 5 dall’ordinazione, eccoti superiore, formatore e parroco. Come fai fronte a tutte queste responsabilità?
- Mi capita di pensare che Dio sceglie i più deboli per donar loro la sua forza. Non è forse ad uno come me, originario del Nord-Est, di Paraiba, dove vivono i poveri tra i poveri, che la Congregazione affida tali responsabilità? Voglio rivelarvi un segreto: Dio è la mia forza, è lui il mio sostegno e la mia sicurezza. Grazie a Lui, posso affrontare le difficoltà e le lotte di ogni giorno. 

In cosa consiste la missione nella formazione ?
- Ho l’incarico di accompagnare i candidati alla vita religiosa e di prepararli al noviziato. Si tratta già della mia seconda promozione. I primi passi sono stati difficili, ma si impara a poco a poco; inoltre, quando ti lasci guidare da Dio, è lui stesso che ti apre il cammino. Concretamente, oltre al corso universitario, i candidati hanno un incontro personale con me, ogni settimana: è questo il cuore della formazione. Nello stesso tempo, io stesso seguo un corso di formazione per formatori; questa esperienza è molto significativa, perché mi rende consapevole delle mie fragilità e dei miei doni. Questo processo di maturazione è lungo ed esigente, ma è la condizione perché io possa dare il mio piccolo contributo alla formazione degli altri. Il corso seguito a Roma, dai Salesiani, mi aveva già aperto gli orizzonti. Ma la Scuola per Formatori a San Paolo è fondamentale perché io possa assumere il mio ruolo: sessione dopo sessione, mi fornisce le chiavi di lettura, teoriche e pratiche, per aiutare i giovani.  Consapevole che si deve imparare ogni giorno della propria vita, imparo a prendere in mano le situazioni, valutarle, chiedere consiglio, pregare. Per me la vita di preghiera è essenziale.

BBétharram ha avuto inizio in Brasile con la Fondazione di Passa Quatro, nel 1935. Cosa provi ad essere superiore di un’opera storica ?
- Il lavoro è molto impegnativo e di grande responsabilità, ma mi arricchisce molto. Per quanto riguarda il Collegio San Michele, lavoriamo in equipe; prendiamo decisioni insieme (Ednaldo, Anibal, P. Luiz ed io), in un clima di condivisione. L’importante non è far prevalere il proprio parere, ma coordinare le attività, in uno spirito di rispetto e di unità. Attualmente, P. Luiz, che è maggiormente in prima linea, è impegnato nell’operare le giuste scelte nella gestione del collegio. Dal 2010 abbiamo adottato nuove strategie per la catechesi. Oggi, tutta l’equipe di coordinazione partecipa alla formazione umana e religiosa degli alunni, e al lavoro pastorale con le famiglie. La posta in gioco è il fatto che la Congregazione permetta ai giovani di fare l’esperienza del Cristo, con uno stile tutto betharramita. Resta il fatto che non è facile, ai giorni nostri, gestire una scuola …

Oltre al collegio, la comunità ha la responsabilità della parrocchia. Come vivi questo doppio impegno?
- Secondo me, il fatto di animare la parrocchia di Passa Quatro è una grande opportunità per il Collegio e per la casa di formazione; infatti, questo favorisce l’integrazione delle opere e il rapporto con la popolazione. C’è un arricchimento reciproco. Da quando siamo nella parrocchia, la fede delle persone è stata sostenuta dalla “scuola di spiritualità bétharramita”.

Sei stato un delegato al Capitolo generale: quali convinzioni ne hai tratto? 
-Il sentimento che mi abita al ritorno da Betlemme è la speranza. Aver sentito il polso della Congregazione, con le sue forze e le sue debolezze, ha accresciuto in me la consapevolezza che Dio ama Bétharram. Per quanto riguarda il Brasile, ho la stessa speranza:  se Dio ha messo nel cuore dei giovani il desiderio di vivere la loro vocazione con noi, vuol dire che ha fiducia nella nostra Congregazione in Brasile. E siccome Dio ci benedice con numerose vocazioni, dobbiamo lodarlo per i suoi benefici e ricordare il detto evangelico, secondo il quale non possiamo versare vino nuovo in otri vecchi (mentalità chiuse, rivalità, discordie, intrighi, dicerie, antipatie). Fino a che non troveremo il coraggio della riconciliazione, resteremo rinchiusi nei nostri capricci e non faremo la volontà di Dio.  Ecco quello che manca oggi: la vita, il perdono, la verità. Manchiamo di carità, facciamo fatica a fare il bene. Come diceva santa Giuseppina Bakhita, fare il bene, essere buoni, ecco quello che manca sempre in noi. 
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7. LA FONDAZIONE DEL CARMELO DI BETLEMME (1875)

Quasi subito dopo il suo ritorno a Pau, Sr Maria parlò di una fondazione a Betlemme. Ci furono forti esitazioni dopo la brutta esperienza di Mangalore. Ma Sr Maria non esitava: “Dio vuole quest’opera, sarà realizzata… Vedrete che le difficoltà svaniranno nel momento voluto da Dio.”
In effetti, gli ostacoli erano numerosi. Per quanto riguardava il finanziamento, Sr Maria trovò la perfetta soluzione presso la sua carissima amica, Mlle Berthe de Saint-Cricq Dartigaux (1835-1887), nipote di un ministro di Carlo X. P.Estrate era il suo direttore spirituale come lo era anche di Sr Maria. Mlle Berthe investì tutta la sua fortuna nella fondazione di Sr Maria e le prestò il suo aiuto molto disinteressato in tutti i contatti con le alte sfere. A partire da Mons Lacroix, sempre pronto a rimandare, per prudenza, le sue decisioni. Fu trascinato in quest’avventura a colpi di interventi soprannaturali. Entrato nella clausura del Carmelo di Pau nel 1874, con Mlle Dartigaux, seduta stante, si vide costretto, dalla veggente Sr Maria, a scrivere alla Santa Sede la domanda per la fondazione del Carmelo di Betlemme.
Roma si consultò con il Patriarca Bracco di Gerusalemme, il quale rispose in modo negativo. La questione si trascinava nel tempo. Ma Sr Maria aveva avvocati autorevoli in Cielo. Fu il Papa Pio IX che, personalmente, firmò il rescritto nel maggio 1875, malgrado l’opposizione del Patriarca Bracco e dei Cardinali di Propaganda, intimiditi dal monopolio francescano in Terra Santa.
Alla fine, l’8 settembre, 10 Carmelitane, tra cui due converse (con Sr Maria) e Madre Veronica, arrivarono a Gerusalemme dove il Patriarca le accolse come un padre; l’11 settembre andarono a piedi a Betlemme. Alloggiate a Casa Nova, affittarono provvisoriamente la casa Morcos per 100 napoleoni.
Fin dal loro arrivo a Betlemme, l’11 settembre, un volo di tortore era stato, per Sr Maria, il segno promesso per l’ubicazione del futuro Carmelo, visibile da Morcos, separato da un profondo vallone. Immediatamente, si presero informazioni circa l’acquisto dei terreni. Gli intoppi creati da un cristiano del luogo si appianarono dietro pressione del Console di Francia, e la sfuriata del Pacha-Governatore che finì per sputargli in viso. Il 23 settembre, l’affare era dunque concluso. Per l’acquisto e per i primi lavori, Mlle Dartigaux si era affidata a un prete polacco, Padre Mathieu Lesciki. Ma in seguito a irregolarità nei conti, si dovette ritirargli questo incarico e il controllo del cantiere, e questo fece di lui un oppositore della Veggente…
Sr Maria ricevette indicazioni soprannaturali circostanziate circa il futuro del carmelo. Di conseguenza, con Madre Veronica e l’abbé Bordachar, si stesero dei progetti, con la forma di una torre circolare. Si sarebbero messe le celle al primo piano, gli uffici al pian terreno; il coro, a un livello inferiore; poi la futura cappella; infine la casa delle future tourières; questa sarebbe stata dapprima la residenza dei Padri cappellani (dal 1879 al 1885). In quei frangenti si presentò, come architetto “volontario”, raccomandato dal Console M. Patrimonio, il capitano Guillemot.
Siccome i lavori del carmelo provvisorio, nella casa Morcos affittata, procedevano velocemente, le Carmelitane poterono iniziarvi la clausura a partire dal 24 settembre, in presenza del Patriarca Bracco. Questo permise a P. Estrate, all’abbé Bordachar e a Mlle Dartigaux di partire il 28 settembre. Passarono da Roma dove ottennero un’udienza da Pio IX. Arrivavano il 28 ottobre a Bétharram, prima di proseguire per Pau e fino a Bayonne da Mons. Lacroix.
A Betlemme, sul cantiere del Carmelo, Sr Maria, la sola ad avere ispirazioni soprannaturali e la sola a conoscere l’arabo, dirigeva costantemente i lavori con P. Chirou. Trattava gli operai con fermezza ma sempre con rispetto e con la sua bontà conquistò il cuore di tutti. Alla sua morte uno di loro esclamerà: “In Cielo: o non c’è nessuno, o lei vi si trova in compagnia degli angeli!”
La posa della prima pietra del nuovo Carmelo avvenne il 24 marzo 1876. Già il 21 novembre, il Patriarca Bracco venne a celebrarvi la prima messa nella Cappella provvisoria, il futuro coro. In quello stesso giorno stabilì la clausura, in presenza del Console di Francia M. Patrimonio e del Custode di Terra Santa.
Al Patriarca, che nutrì subito per lei la stessa fiducia di Mons Bracco, Suor Maria trasmise il desiderio del Cielo di un altro Carmelo a Nazareth. Con la sua innocenza un po’ maliziosa, dandogli del tu, secondo lo stile arabo e in un francese un po’ stravagante, gli disse che autorizzando questa fondazione e raccomandandola a Roma, avrebbe rimediato all’opposizione precedente verso Betlemme! Molto soddisfatto del Carmelo di Betlemme, il Patriarca inviò a Roma una raccomandazione molto entusiastica. Ottenuta l’autorizzazione di Roma, immediata questa volta, già nel 1877 si acquistò un terreno. Il Patriarca autorizzò 4 carmelitane di Betlemme, tra le quali Sr Maria, ad andare a vederlo. In quel tempo, si doveva prendere la nave a Jaffa per andare ad Haifa. Passando da Latroun, Sr Maria, in preda all’estasi, corse per circa un kilometro, seguita dalle suore trafelate, fin sopra un poggio di Amwas, a nord, dove per ispirazione, riconosceva il sito di Emmaus.
Da Haifa, dopo il pellegrinaggio al Monte Carmelo, le Suore attraversarono Shefamar, da cui Sr Maria andò a Abellin, suo villaggio natale. Con emozione rivide il suo padrino, la sua casa natale, la casa dello zio, dove aveva trascorso alcuni anni felici e dove aveva udito la parola che le aveva cambiato la vita: “Tutto passa! Se mi dai il tuo cuore, io sarò tuo per sempre”.
A Nazareth, le Suore, dopo le loro devozioni alla Grotta dell’Annunciazione, andarono a vedere il terreno acquistato, destinato al Carmelo e quello vicino, della cappellania. Quello del Carmelo dava sul santuario e sulla piccola città di allora; si godevano anche scorci suggestivi del Tabor e di Naim. Ma la costruzione di questo Carmelo sarebbe durata a lungo e si sarebbe conclusa solo nel 1910, per opera di P. Planche, Betharramita. In quell’anno il Carmelo di Betlemme poté mandarvi 10 religiose che entrarono in clausura il 14 novembre 1910.

Pierre Médebielle,SCJ
Jérusalem (1983, pp. 201-239)

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