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17/04/2011

Notizie in Famiglia - 14 maggio 2011

Sommario

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La parola del Padre Fondatore

chiesa di Coarraze (Francia)

La vera vita spirituale

La più nobile delle avventure è quella di giungere all'apice della per¬fezione evangelica e di unirsi a Dio, così da formare con Lui un solo spirito. Siamo tutti chiamati a realizzare tale ideale. È un processo continua¬tivo della nostra elevazione alla partecipazione della natura divina: «Glorificate Dio nel vostro corpo» [1 Cor 6,20]. Occorre quindi sapere in che cosa consiste la vera vita spirituale.
Alcuni la fanno consistere nella molteplicità delle preghiere; altri in un numero considerevole di opere, finalizzate alla gloria di Dio o al sollievo del prossimo; altri ancora nell'impegno personale della propria salvezza; altri infine nel votarsi a grandi austerità.
Si deve forse dire che tali visuali siano biasimevoli?. Affatto. Sono buone. Anzi, necessarie. Ma è erroneo individuarvi l'essenza della vera pietà. La vera pietà che ci santifica, che ci consacra interamente a Dio, con¬siste nel fare tutto quello che Dio desidera da noi. Donaci, o Dio, di capire e di assaporare una verità tanto semplice (nello Spirito Santo). Diversamente commetteremmo un grosso errore.
La perfetta pietà sta nel compiere quanto Dio vuole, né più né meno com'Egli lo vuole, nei tempi, nei luoghi e nel contesto in cui viviamo. Ci agitassimo comunque, realizzassimo le più strepitose opere, saremmo uni¬camente premiati per avere fatto il divino volere. Dovesse un domestico o un operaio, in casa nostra, realizzare cose meravigliose, non avendo egli at¬tuato quanto era nei nostri desideri, non sarebbe meritevole del nostro plau¬so per il suo operato, ma solo, ovviamente, del nostro biasimo.
La perfetta pietà, inoltre, esige che si compia il divino volere con amore. Dio ama chi gli dona con gioia: in tutto ciò che prescrive, è il cuore ch'Egli vuole.
Un simile Maestro ben merita che ci riteniamo felici di appartenerGli. Ma è necessario che questa consacrazione a Lui non venga meno e resti inalterata, sempre e dovunque, (anche) nella contraddizione e quando non sono assecondate le nostre vedute, le nostre inclinazioni, i nostri progetti, a tal punto da essere disposti a fare l'offerta di ogni nostro bene, fortuna, tempo, libertà. Vivere in questa disposizione, e in modo concreto, è posse¬dere la vera pietà.
Ma siccome spesso la volontà di Dio non ci è manifesta, occorre fare un altro passo nella rinuncia, adeguarci cioè (a tale volontà) per obbedienza, un'obbedienza cieca, ma saggia nella sua cecità. (È la) condizione richiesta a tutti gli uomini: il più illuminato di essi, il più qualificato a guidare le anime a Dio e a convertirle, deve essere lui stesso guidato.
Uno dei principali frutti dell'amore è costituito dal fatto che quelli che si amano sono animati dallo stesso volere. Ne consegue perciò che quanto più si amerà Dio, tanto più ci si conformerà ai suoi voleri, e, vicendevol¬mente, quanto più tale conformità sarà intima, tanto più l'amore sarà perfet¬to...
S. Paolo, subito dopo la conversione, si mostra perfettamente dispo¬sto e sottomesso a tutto ciò che Dio vorrà: «Signore, che cosa vuoi che io fac¬cia?» [At 9,6]. Concise ma palpitanti parole, esplicite, efficaci e degne di ogni stima e merito! Non racchiudono che due concetti, ma esprimono tutto: «Ogni cosa ch'Egli vorrà ch'io faccia e soffra...», escono dal profondo del cuore e non saranno mai smentite dalla condotta di Paolo. Esse possono es¬sere applicate ad ogni stato e condizione, soprattutto alla vita religiosa. Rac-chiudono una perfetta forma di vita, tanto che, se dovessimo raggiungere un tale vertice di perfezione, non avremmo null'altro da desiderare.
Samuele ci offre un esempio analogo. Le sue parole ricordano quelle di Paolo: «Eccomi, parla, o Signore, che il tuo servo ti ascolta» [1 Sam 3,10]. Beata è l'anima che non desidera altro che conoscere e fare ciò che Dio vuole. E a nessuno, meglio che a un'anima religiosa, ciò è dato. Alle anime religiose, infatti, la volontà di Dio è manifesta. Dio stesso parla ad es¬se attraverso i superiori e attraverso la regola: le illumina e le muove inte¬riormente, suggerendo, mediante tali ispirazioni e locuzioni, ciò che da esse vuole. «Beati noi, o Israele, perché ciò che piace a Dio ci è stato rivelato» [Bar 4,4]. Altro non ci rimane che mettere mano all'opera, senza ritardo, e compiere perfettamente ciò che sappiamo voluto da Dio.

San Michele Garicoits
"Père, Me Voici", pp. 23-27


nef-etchecopar.jpgPadre Auguste Etchecopar scrive...
preghiera per il Capitolo generale di 1894

Preghiamo per ciascuno di noi: che Dio ci doni la vera stima, Amore per la Croce, per la grazia della buona morte, di cui Maria è patrona ai piedi della Croce.
Preghiamo per tutte le importanti intenzioni e tutte le categorie presenti nella Congregazione.
Preghiamo perché Dio accordi al Capitolo generale le luci necessarie per prendere le decisioni più appropriate per il bene della Congregazione.
Per i malati, che il Signore accordi loro la guarigione e la pazienza;
Per i missionari, lo zelo e la prudenza;
Per gli scolastici, il sapere che li rende saggi, la scienza superiore che li rende santi;
Per i cari novizi, oggetto di tanta cura e tanta speranza, la grazia di fondare il loro edificio spirituale sulle virtù e nel Cuore di Nostro Signore e della sua santa Madre.


Verso il Capitolo generale

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Passato, presente, futuro della vita consecrata

L’Unione Superiori Generali nell’assemblea del novembre scorso (2010) ha analizzato la vita consacrata in Europa: una situazione – ha rilevato – preoccupante, ma non disperata, perché sono sempre possibili nuovi progetti e campi di missione. Si tratta di saperli individuare e cogliere, rivitalizzando ed attualizzando il carisma dell’origine nel clima culturale contemporaneo. Inoltre ha messo in risalto un dato storico e i suoi possibili sviluppi ed è su questo aspetto che intendo ora fermare le mie considerazioni, che ritengo importanti (ma posso sbagliarmi ed allora non se ne tenga conto) per la nostra congregazione.
I 160 Superiori presenti hanno sottolineato: molti degli istituti di vita religiosa apostolica sono stati fondati sulla scia della rivoluzione francese, in una società e per una società nella quale tutto era disgregato dal punto di vista spirituale e morale. Ed hanno aggiunto: quegli istituti possono – con la loro esperienza storica – avere sicuramente qualcosa da insegnare anche nelle difficoltà odierne. Occorre che i religiosi – hanno continuato - chiariscano gli obiettivi di fondo della loro presenza nel mondo di oggi.Sono considerazioni, interrogativi, prospettive che ho sentito molto attinenti al nostro Istituto, nato appunto nel clima dell’indispensabile ricostruzione della vita cristiana dopo la rivoluzione francese e che oggi si ritrova – come tante altre congregazioni – a ripensare lo specifico della sua presenza e attività.
[I Superiori parlano anche della vita consacrata in altri continenti: ne farò un accenno nel secondo articolo. L’argomento oggi è di una certa importanza anche per la nostra congregazione]

ALLORA E OGGI

L’invito dei Superiori Generali è – in sintesi chiarificatrice – quello di considerare come allora gli Istituti religiosi hanno affrontato le necessità apostoliche e come vi hanno risposto e di chiedersi come oggiquesti Istituti possono rispondere – in fedeltà rinnovata al carisma d’origine – alle sfide dell’evangelizzazione, in un clima spirituale e culturale molto simile (almeno in Europa, ma che si va estendendo in tutto il mondo) a quello di allora. Vorrei brevemente rilevare queste somiglianze, perché è da esse che bisogna partire per riscoprire l’attualità del nostro carisma e individuare gli ambiti del nostro apostolato, come hanno fatto allora San Michele e i primi nostri Padri.
Il confronto con l’epoca di San Michele ci conduce, in modo direi “naturale, ad un’analisi storico -sociologica che registra strettissime analogie di atteggiamenti mentali e di comportamenti etici e religiosi. Una consonanza sorprendente che, mentre accomuna le due epoche nella definizione, corrente ormai, di “svolte epocali”, rivela – appunto per tale consonanza – l’attualità del nostro carisma, quando e là dove vi sia la consapevolezza della sua natura, profondità ed estensione del suo assunto centrale (incarnazione, virtù “esistenziali” del Sacro Cuore) e la sua “ versatilità” per lesfide non eludibili della missione evangelizzatrice, come la Chiesa oggi propone.
 
Chiesa e Società
Allora: con l’Illuminismo e dopo la Rivoluzione Francese, nell’Ottocento la Chiesa non è più accettata dalla società come guida ed ispiratrice del vivere politico, sociale, morale. Nel migliore dei casi è ignorata e “chiusa nelle sacristie”, nei peggiori è ostacolata, perseguitata. Le “idee-guida” del vivere sono altrove: liberalismo, socialismo, positivismo, comunismo. È l’epoca dell’inizio della “secolarizzazione” e la gente risente ampiamente del clima di scristianizzazione portato dalle nuove idee, anche se ancora segue una certa religiosità, molte volte comunque ridotta a culto esteriore. La cultura è in mano ad un’elite che ha il potere di influenzare l’intera vita sociale e politica in modo “laico” e spesso “laicista”, allontanandola dalle sue radici cristiane.
Oggi: il morale e spirituale e diffusissimo distacco dal cristianesimo in Europa è sotto gli occhi di tutti. La società civile è ormai “altra” da quella di una volta, ispirata ai valori del vangelo. La Chiesa riconosce chiaramente “l’autonomia” dei valori terreni nella costruzione del tessuto sociale ed economico, ma spesso tale autonomia ha portato di fatto la società ad emarginare la Chiesa in molti campi del vivere civile, anche in quelli che è in gioco la vita, la dignità e la responsabilità della persona umana.
Le due epochepongono – quindi – il problema di riportare i valori del vangelo nella vita sociale, culturale, politica, non certo per “fagocitare” nelle “spire” della Chiesa, ma per dare un contributo alla formazione di un clima culturale in grado di porre in primo piano le reali necessità della persona umanae di aprirsi alla dimensione vera e totale dell’uomo.

Religiosità superficiale 
Allora: La Rivoluzione francese ha causato lo sfascio di molte strutture della Chiesa, con pesanti conseguenze sull’evangelizzazione: il clero è stato perseguitato, molti sacerdoti uccisi o impediti nel loro ministero e questo si è ripercosso sulla vita religiosa del popolo, privato della Parola e già radicato in una religiosità piuttosto tradizionale. Di qui un clima di indifferenza nella gente, alimentato dal “vuoto” di annunciatori e dall’aperta ostilità della cultura dominante.
Oggi: la nostra epoca riproduce – esasperandoli – molti aspetti di allora e la Chiesa ne è pienamente consapevole. E registra due fenomeni apparentemente contradditori: da una parte vi è l’allontanamento di un numero sempre più consistente di persone dalla religione tradizionale, come fede vissuta e come adesione all’insegnamento della Chiesa (in Europa i “praticanti convinti” sono ormai una minoranza) e dall’altra si assiste ad una “rinascita religiosa” che spesso però si rivela “ambigua, superficiale”, condita di una buona dose di superstizione, “magismo”, venata di occultismo, oppure di “intimismo” individualistico.
Una religiosità – quindi – tutta da verificare, purificare, da “liberare” dalla “pura tradizione”: tutta da “re–incarnare” nella vita personale, familiare, sociale, culturale, radicata nella solidità della Parola di Dio.
 
La morale degli “ismi”
Allora: la religiosità mancante di solide radici e convinzioni non poteva non influenzare la condotta morale del popolo cristiano, in quanto essa è la logica conseguenza di quanto si crede. Così, venuto meno il passato (ancorato alla tradizione cristiana che guidava molti aspetti della vita individuale e sociale) nell’Ottocento nascono e si sviluppano l’individualismo e il soggettivismo, che sfociarono poi nel relativismo religioso e morale. Non si accetta più un principio (fino ad allora era stato il vangelo) da cui attingere valori morali riconosciuti validi per tutti e in tal modo si pongono le basi del soggettivismo, che non accetta nessuna norma esterna, perché lesiva della libertà dell’uomo: in questa ottica esiste soltanto “l’io individuale” ed ogni morale è valida perché rapportata all’individuo che la crea.
Oggi: queste “conquiste” del pensiero sono ormai diventate “dogmi” intoccabili, “verità” acquisite e difese dalla cultura dominante e seguite da tantissimi che pure si professano “credenti e cristiani”. La “cultura radicale” (vittoriosa nelle sue espressioni pratiche ed esistenziali) riconosce soltanto “l’autorità del proprio io” (libertarismo) che detta il canone della felicità, da raggiungere con i mezzi che ognuno crede adatti al proprio scopo, e il diritto di decidere sugli ambiti della propria vita. La “morale cristiano–cattolica” è relegata al silenzio, perché “esterna” all’uomo ed oppressiva della sua libertà. Il nostro tempo è guidato dall’individualismo etico, che penetra anche nel campo politico – sociale (percorso troppe volte dall’arrivismo, dal carrierismo, dagli interessi privati e corporativi, ritenuti “giusti”) e dal relativismo anche religioso, per il quale il pluralismo non solo di fatto, (come esistenza di culture e credenze diverse, che la Chiesa ammette ed accetta) ma anche di diritto è lecito: si sostiene la pluralità delle verità, l’uguaglianza di tutte le credenze. A questo si accompagna lo scetticismo sulla capacità della ragione umana di raggiungere la verità e l’indifferentismo, per il quale non vale la pena di ricercare la verità e di seguire una dottrina religiosa.

Etica esocietà
Allora: l’Ottocento è il secolo dello sviluppo della borghesia, che presenta ben precise caratteristiche etico – sociali ed una ben definita mentalità. La finalità essenziale è l’accumulazione della ricchezza, l’espansione illimitata, la produttività. Il risvolto etico – sociale è la ricerca del profitto ad ogni costo e il denaro e la ricchezza sono imposti dal capitalismo come assoluti. È l’epoca dell’affermazione – in molti casi spietata – dell’individualismo, dell’aggressività industriale e commerciale, della visibilità più marcata delle disuguaglianze sociali. Il valore supremo: produrre per fare ricchezza e creare benessere, ma per pochi (in definitiva).
Oggi: le condizioni della gente sono indubbiamente migliorate da allora e numerose sono le conquiste sociali a beneficio di tutti. Ma oggi si aggrava – per le dimensioni planetarie assunte – la “cultura” dell’Ottocento e costituisce la mentalità moderna: il profitto, la ricchezza, il successo, l’affermazione di sé sono per moltissimi i valori della vita e l’individualismo è la “via” per arrivare a questi traguardi, senza scrupoli e senza condivisione con gli altri. La “ricchezza” diventa la vetrina nella quale specchiarsi e vedersi specchiati; la “cultura dell’apparenza”, dell’ “avere” sull’ “essere”, dell’ egoismo è innalzata a regola di vita.
 
L’invito dei Superiori Generali appare opportuno e necessario: ci dice di andare alle radici della nostra nascita - avvenuta in un preciso momento storico come risposta dello Spirito a precise domande della società e della Chiesa - e di interrogarci per vedere come possiamo rispondere nel nostro momento storico alle richieste della società e della Chiesa. E questo “investigando di nuovo” il carisma delle origini per cogliere – nel ripetersi di alcune linee culturali e morali della storia – la sua attualità e capacità di rispondere a tali istanze.
Ed allora? Come hanno risposto San Michele e i nostri primi Padri ai problemi del loro tempo, che abbiamo visto tanto simili ai nostri? Quali strade – tra le tante possibili – hanno privilegiato?
È quanto cercheremo – umilmente e con rilievi personali e quindi sempre discutibili – di ricordare prossimamente.

E NOI ADESSO ?

Ho ricordato l’invito dell’Unione Superiori Generali a tenere presente oggi i fattori stimolanti e i dinamismi carismatici che le congregazioni, nate sulla scia della Rivoluzione francese, hanno espresso per rispondere alle domande dell’evangelizzazione nel loro tempo. Possono servire da modello per i loro eredi, chiamati a “ chiarire gli obiettivi di fondo della loro presenza”nel mondo contemporaneo. E i Superiori Generali aggiungevano che la “vita religiosa, fedele alle sue origini” dovrebbe “riscoprire l’urgenza dell’evangelizzazione” , con la sua presenza “là dove si prospettano le necessità più urgenti”.
La nostra congregazione si iscrive – come sappiamo – nell’epoca storica ricordata e deve, come tutti gli Istituti, ripensare il proprio carisma per il nostro tempo, che si è visto anche oggi in significativa, sorprendente (e direi allettante) sintonia con il mondo della sua nascita. Ed allora non mi sembra fuorviante, ma proficuo, interrogarsi sul come e in quali settori della vita ecclesiale e sociale si sono mossi San Michele e i primi nostri Padri, considerandoli fondamentali per la rinascita della vita spirituale e morale.
Ovviamente non vi è assoluta uguaglianza (la storia ha trasformato tante cose) tra le nostre due epoche, ma la direzione generale e i traguardi appaiono identici; anche i mezzi concreti saranno diversi, ma le novità, diciamo “tecniche e tecnologiche”, dovranno essere al servizio delle questioni e delle soluzioni individuate.
Ed allora: come si è mossa in quel tempo, nel clima della scristianizzazione, la nostra congregazione?Soltanto alcuni rilievi che ritengo ispiratori per il nostro oggi.
 
Le due epoche pongono, in sintesi, il medesimo problema: riportare nella vita morale, sociale, culturale, politica i valori del vangelo,non certo per “fagocitare” la società nelle “spire” della Chiesa, ma per dare un contributo alla formazione di una cultura individuale e collettiva che sappia mettere in primo piano le reali necessità della persona umana, che sia perciò in grado di aprirsi alla dimensione vera e totale (che è umana e trascendente) dell’uomo.
San Michele sentì profondamente questa missione, guardando la società del suo tempo più che ferita dalla Rivoluzione, e fondò la congregazione come un “campo volante” proprio per annunciare la Parola di Dio in vari settori della società e della cultura del tempo, ritenendo la Parola idonea per cambiare concezioni intellettuali e condotta morale.
Oggi si richiede – e lo sappiamo bene – come ai tempi del nostro Fondatore un’evangelizzazionecapillare, capace di penetrare “corazze” di indifferenza, di superficialità, di tradizionalismo, forte e testimoniante per essere accolta in un ambiente storico – culturale che ha perso il gusto del Vangelo e che lo relega nella vita privata. Si richiede – come allora – un annuncio illuminato (con persone preparate alla lettura dei “segni dei tempi”) adatto per ricreare il rapporto tra la fede e i vari settori della vita collettiva (familiare, sociale, politico), per riportare l’ispirazione cristiana nelle molteplici e complesse dimensioni dell’esistenza.
San Michele ha compreso l’urgenza e la necessità della formazione delle coscienze,in primo luogo delle persone e delle istituzioni centrali per la società.Ed ecco l’attenzione al mondo giovanile (attraverso la scuolaed altri ambiti loro propri), alla famiglia (luogo di convergenza di tanti fattori vitali), alla catechesi ( per una formazione cristiana non superficiale), alla predicazione (per l’annuncio attualizzante della Parola di Dio). Tutti settori che San Michele ha curato ai suoi tempi e che ha lasciato in eredità ai suoi religiosi, da svolgere secondo le modalità e gli strumenti che il tempo storico richiede. Per essere sempre dentro i problemi della cultura contemporanea.
Penso sia superfluo ricordare che oggi la Chiesa considera ancora (anzi più che mai) questi gli ambiti cruciali per l’evangelizzazione, nei quali si gioca il presente ed il futuro del credente e della società. La “Nuova Evangelizzazione” richiede oggi un vasto ventaglio di interventi di spiritualità, di idee, di proposte, di progetti che l’Ottocento ha intuito e realizzato per il suo tempo: catechesi e Parola di Dio, formazione cristiana e culturale, impegno sociale e politico dei cristiani, studio ed applicazione della dottrina sociale della Chiesa, impegno missionario (e di tutti i fedeli). L’impegno per la formazione alle risposte a questi ambiti si presenta come il compito dei consacrati (ovviamente non solo di loro).
La nostra congregazione deve sentire l’invito dei Superiori Generali (che è poi quello della Chiesa negli ultimi tempi) a “chiarire gli obiettivi di fondo” della nostra presenza, individuando “le necessità più urgenti” (che comunque si trovano nei campi di apostolato citati). E con la consapevolezza – sottolineavano i Superiori – che non siamo religiosi per quello che facciamo, ma “per come lo facciamo e perché e per chi lo facciamo”. Il molto e la grandezza delle opere sono secondari. Prima dobbiamo, dicevano, dareun’ occhiata “al nostro modo di essere”.
Vi sono stati, ai nostri inizi, un illuminato discernimento e un fermo coraggio che hanno portato la nostra congregazione ad essere in sintonia con le esigenze dell’evangelizzazione. Con pochi Padri, ma convinti della loro missione e coscienti che si trattava, in radice, di ricomporre la frattura tra la cultura (vale a dire il modo di concepire e vivere la vita, la società) e la Chiesa, portatrice di valori, come nel passato, essenziali per un’ esistenza pienamente umana. E proprio questa “frattura” è il dramma del nostro tempo, come ci ripete da decenni il Magistero.
Abbiamo ereditato una spiritualità fondata sull’incarnazione ( la “parola –chiave” della Chiesa di ogni epoca e soprattutto della nostra, quando parla di evangelizzazione), sul programma e sulle virtù del Sacro Cuore (l’ Eccomi della sua offerta al Padre le riassume), sul figura di Maria (che con “l’Ecce ancilla” si affianca al Figlio): una spiritualità che dice attenzione alla storia, offerta di sé pronta ed intelligente, presenza preziosa, consapevole e discreta. Ora si tratta di incarnarsi nel nostro tempo, con lo stesso discernimento e slancio – fraterno e comunitario – di allora.
Credo che questa eredità si debba “spendere” sulle stesse coordinate, perché la “frattura culturale” è la stessa e le soluzioni le medesime: le nostre opere (anche parrocchiali) devono essere “cantieri” di meditazione della Parola di Dio, di catechesi, di formazione umana e spirituale per giovani, adulti, famiglie, di predicazione nutrita della Parola. Sono gli esempi che ci vengono dalla nostra storia betharramita e sono le consegne della Chiesa di oggi. Sono le esigenze e gli obiettivi della nostra formazione. E sono le richieste che ci pervengono da molte persone, che quando cercano risposte ai loro interrogativi le desiderano illuminate dalla luce di Dio.

L’analisi e le indicazionidei Superiori Generali si fermano soprattutto sulla vita consacrata in Europa, ma gettano uno sguardo anche sui religiosi di altri continenti, cogliendo una domanda di questi confratelli: “Quali sono i cammini da voi intrapresi che possono servirci ad affrontare una situazione che si sta avvicinando anche da noi?”.Una domanda che ci interessa, dato che la congregazione si sta espandendo in nuovi Paesi, e genera una responsabilità che tocca la nostra vita di “vecchi europei”, e anche di “sud – americani”,diretti e storici eredi del carisma.
L’interrogativo ci interpella, si divide in tanti rivoli, si moltiplica: come abbiamo noi interpretato il carisma? Come l’abbiamo noi vissuto in comunità? Come l’abbiamo noiincarnato nelle opere? Quali opere abbiamo noi creato nella storia? Come abbiamo noi letto le “potenzialità attualizzanti” del carisma? L’abbiamo (magari) misconosciuto, minimizzato, dimenticato?
Quindi: quali operei nostri confratelli dei “nuovi Paesi” possono creare per rispondere alle necessità della loro cultura?Quale “declinazione” del carisma possono dare nelle loro concrete situazioni? Quale esempiodi discernimento culturale e storico possiamo loro offrire?
 
Credo che il Capitolo Generale sia l’occasione privilegiata per l’approfondito e coraggioso esame di coscienza che i 160 Superiori Generali (e prima la Chiesa) ci chiedono di fare. Per andare dal passato al presente e di qui, con rinnovata fiducia, verso il futuro.

Ennio Bianchi,SCJ


10 minuti con... il Reverendissimo Padre Gaspar Fernandez

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In occasione dell’apertura del Capitolo generale di Betlemme, la NEF ha voluto fare il punto con Padre Gaspar Fernandez Perez relativamente al mandato trascorso. Dialogo in diretta con il Superiore generale.

Nef : 14 e 31 maggio, due date simboliche per un importante appuntamento. Quale è il suo approccio a questa nuova tappa?
- Provo sentimenti contrastanti. Da un lato ho tanta voglia di confrontarmi con questo momento che la Congregazione affronta, il Capitolo generale di Betlemme, per il significato che esso riveste in termini di fraternità, internazionalità e discernimento nella vita della Congregazione medesima. D’altro canto sono un po’ emozionato dato che si tratta di render conto, davanti ai rappresentanti di tutti i vicariati, della vita e della missione della famiglia di Bétharram durante questi ultimi sei anni.

Lei come sente la Congregazione?
- La vedo piena di vita e di dinamismo. Anche in questo caso vi sono due aspetti da considerare : se da una parte ci si avvicina alla conclusione di un ciclo segnato dalla cultura europea, dall’altra  si è già aperto un periodo di sfide a un multiculturalismo sempre più vasto. Abbiamo risposto adeguatamente alle richieste del Concilio Vaticano II; la dimensione mistica della consacrazione è stata meglio considerata grazie allo riscoperta del carisma; si è lavorato per consolidare la vita delle comunità e si sono diversificati i compiti; per la formazione, gli sforzi per raggiungere chiarezza e rigore sono stati messi in atto con la massima serietà; la collaborazione con i laici ha acquistato importanza nella condivisione sia della spiritualità sia della missione.

Il fatto che tutto nella vita dei religiosi faccia capo a Lei è cosa che le toglie il sonno?
- Per natura non ho il sonno facile ma direi, grazie a Dio, che non sono i problemi dei Bétharramiti che mi hanno impedito di dormire. Fino a prova contraria posso confidare nei religiosi: la loro scelta di entrare nella Congregazione è stata frutto di debita riflessione. Con San Michele ho imparato a dire: “Non sono capace, non sono degno, forse sono perfino incapace ed indegno; ma solo una tua parola, Signore, ed io sarò degno e capace. Viviamo e moriamo pervasi da un sentimento di profonda umiltà e di fiducia colma d’amore e di abbandono.” (Corr. I, lettera 46). Al tempo stesso ho la convinzione di avere dei grandi limiti e di fare affidamento sul Signore: se mi ha voluto per questo servizio, mi darà anche la grazia per compierlo.

Come Superiore generale, quale avvenimento è stato da Lei vissuto più dolorosamente?
- Mi è stato molto difficile firmare i decreti di espulsione di due religiosi. Ma la cosa più dura si verificò durante la visita in Costa d’Avorio, nel settembre del 2009. Al termine del ritiro ho dovuto ammonire per iscritto diversi religiosi la cui condotta lasciava a desiderare. Per il bene dell’intera nostra famiglia avevo il dovere di reagire e di intervenire nei dovuti modi. Ma ero in pace con la  coscienza, perché ogni mia decisione era condivisa dal Consiglio di vicariato. Ciò che mi ha reso ancora più sereno e fiducioso per il futuro è stato l’attaccamento a Bétharram e l’autenticità umana e cristiana che ho potuto constatare presso la maggior parte dei religiosi e dei giovani in via di formazione.

Che cosa l’ha resa – e la rende – felice nell’esercizio delle sue funzioni?
- Ho il privilegio d’essere stato testimone di come la grazia di Dio si è manifestata nei confronti di  confratelli che, trovandosi in un periodo di crisi e di difficoltà, hanno saputo rispondere fedelmente al dono della vocazione, in particolare attraverso l’ausilio dell’accompagnamento spirituale. Mi ha fatto anche molto piacere il vedere come la formazione betharramita trovi la sua solidità grazie al colloquio periodico tra giovane ed educatore, e agli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio. È una gioia sapere che, quest’anno, sono stati fatti i 30 giorni nei nostri tre noviziati di Adrogué, Betlemme e Bangalore.

Qual è per lei la ragione più importante che l’induce a sperare nel futuro della Congregazione?
- Abbiamo ricevuto da San Michele Garicoïts un carisma che attrae e che è molto attuale. Siamo una piccola congregazione. Tuttavia i giovani non resteranno indifferenti se daremo loro un’autentica e convinta testimonianza del nostro carisma. Lo si è visto in Thailandia, in India, nella Costa d’Avorio ed in America. Se avremo il coraggio di proporre loro di fare l’esperienza di Dio – per esempio con dei ritiri improntati a Sant’Ignazio – anche in Europa i giovani vorranno venire a Bétharram.

Il precedente Capitolo aveva aperto la strada a due grandi progetti: la Regola di Vita e la regionalizzazione. A distanza di sei anni, a che punto siamo?
- È stato il Capitolo generale del 1999 a ristrutturare la Congregazione in regioni e a dar loro un nome. Il Capitolo del 2005 ha disposto che il nuovo stile di governo entrasse in vigore nel secondo periodo del mandato. L’organizzazione in vicariati e regioni è stata quindi mandata ad effetto con decorrenza 1° gennaio 2009. Sulla carta la cosa sembrava facile, ma sul piano pratico ci si è subito resi conto delle difficoltà. Pensavamo che tutto sarebbe diventato più semplice, ma non è stato così:  certe cose si sono semplificate ma altre si sono invece complicate. Tuttavia non credo che si possa tornare indietro, così come evidenziato dai Capitoli regionali. L’avvenire della Congregazione si gioca avendo come meta l’unità, da realizzarsi nel rispetto delle differenze culturali dei vicariati. La regione è anche un elemento di unificazione dei vicariati, delle comunità e delle singole persone che costituiscono la vita della Congregazione. Il Capitolo generale di Betlemme si incaricherà di valutare ciò che è stato fatto, ma anche di correggere quello che era stato pensato e che in pratica si è rivelato inutile.
La revisione della Regola di vita è legata alla regionalizzazione. Per varare questo progetto occorreva modificare la Regola. Padre Francesco nel 2002 aveva creato appositamente a questo scopo una commissione, che ha lavorato molto. Pur rispettando il lavoro svolto nel 1969, la commissione ha inserito la riflessione sulla vita consacrata e sul carisma già portata avanti durante gli ultimi 40 anni. Si pensava di terminare prima, ma i due anni di sperimentazione della regionalizzazione ci hanno fatto diventare realisti; e ci hanno portato ad operare dei ritocchi dell’ultima ora. Ne sono persuaso : questo grosso lavoro ha partorito un documento di valore, che ben riflette la nostra identità e che appare pienamente adatto a rinnovare la vita della Congregazione.

Nel farsi promotore della regionalizzazione, lei ha insistito sulla sua valenza spirituale; come si presenta  il bilancio odierno?
- Due anni e mezzo sono pochi, come periodo di prova. Vi sono però dei segni assai positivi. Certi vicariati hanno compiuto il ritiro annuale con la Narratio fidei. Tra  noi, in comunità, si deve  osare e  condividere ciò che Dio fa nelle nostre vite e nel mondo attuale. Questo tipo di condivisione si attua al Consiglio generale, nel Consiglio di Congregazione, nei Consigli regionali ed in qualche consiglio di Vicariato e di comunità. Altro punto fondamentale : riscoprire, in tutte le comunità, il ruolo di animatore che è proprio del superiore. Il Consiglio di Congregazione di Bangalore ha chiesto ad ogni Regione di prevedere delle riunioni di superiori. Due di esse non si sono ancora adeguate in tal senso, ma la cosa è di capitale importanza se vogliamo dare maggiore spessore alla vita spirituale e alla testimonianza delle nostre comunità.

Quali priorità missionarie lei configura per Bétharram in termini di fedeltà al carisma e in sintonia con le esigenze dei tempi in cui viviamo?
- Per quanto riguarda la missione, la più importante fra le priorità è la creazione di comunità internazionali. La Congregazione – dapprima dalla Francia, poi dalla Spagna, dall’Italia e dall’Inghilterra – ha  inviato dei missionari in America, Terra Santa, Cina e Thailandia, in Marocco, Algeria, Costa d’Avorio, nella Repubblica Centrafricana ed in India. Bétharram, anche cambiando meta, deve restare missionaria. Pur senza abbandonare ciò che è stato realizzato in Asia, Africa ed America, si dovranno inviare missionari in Europa per sostenere progetti-guida ed impartire un rinnovato soffio vocazionale alle nostre comunità. Al tempo stesso seguiamo da vicino gli sviluppi in corso in Cina, dove Bétharram è in posizione di stallo dal 1951. Non lontano di là, in Viet Nam, lo Spirito Santo – che  ha dato a San Michele Garicoïts il tesoro del carisma – ci manda segnali che non vogliamo trascurare.

Vi è una frase del nostro padre San Michele, o un angolo visuale, che abbia acquistato particolare rilievo  dal 2005 ad oggi?
- Mi piace molto il modo in cui San Michele accompagnava per corrispondenza le comunità di Bétharram, così come quella del collegio di Moncade a Orthez, oppure la missione appena fondata in America. Ecco quanto scriveva a Padre Diego Barbé, direttore del collegio San José : “ È una cosa veramente indecorosa ! Ma che volete ? Quando si hanno dei convincimenti saldi, è difficile disfarsene; e poi si crede di perdere il proprio tempo se le cose non vanno nella maniera che ci si era immaginati; non si riesce soprattutto a comprendere, gustare e fare nostra, corde magno et animo volenti et constanti, una oscurità, una sterilità, degli insuccessi ai quali ci si vede ridotti per  obbedienza. Per molti, si tratta di una manna disgraziatamente ancora nascosta.” (Corr. I, lettera 163). È un discorso che sembra fatto per noi. La manna nascosta è la nostra unione a Cristo, che ridimensiona tutto il resto. I problemi sono in genere dovuti alla nostra mancanza di fede ed ai nostri atteggiamenti spesso negativi e deprimenti, come nel caso delle dicerie che circolavano a proposito del collegio di Orthez.

Un augurio o una preghiera per concludere?
- Giunto al termine di questo mandato, non posso che rendere grazie a Dio per la fiducia concessami  nell’ultimo Capitolo generale per il tramite dei miei confratelli. Anzitutto perché è stata scelta una persona modesta come sono io, appartenente ad un’umile famiglia di un piccolo villaggio ubicato in uno sperduto angolo del paese. Inoltre per la sensibilità d’aver scelto un Betharramita di Spagna, nazione che non ha mai rappresentato un’entità forte in seno alla Congregazione. Ti lodo, o Padre, Signore del cielo e della terra…Sì, Padre, perché così è piaciuto a te… Rendo anche grazie  per il dono d’aver potuto spaziare per sei anni nell’ambito della Congregazione e di essere stato testimone delle meraviglie realizzate dal Signore presso i nostri confratelli, nonché della salvezza che attraverso essi Dio porta agli uomini. Per questi sei anni al servizio di Bétharram non posso che unire la mia voce a quella del salmista: Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita. Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi: la mia eredità è stupenda. (Sal 16, 5-6)  


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5. PROFEZIE DI SUOR MARIA 

Furono numerose, alcune espresse in metafore orientali, difficili da interpretare; ce ne furono sulle tappe della sua vita e sulla sua morte, prima dei tre anni di permanenza a Betlemme. Nel 1868 avvisò Roma che una caserma, vicino al Vaticano era minata. Non fu ascoltata. La caserma esplose e alcuni musicisti vi trovarono la morte. Questo fu ricordato per altri avvertimenti provenienti da lei durante il Concilio.
Su questo punto posso dare una testimonianza personale. Nel 1925, Padre Buzy, suo biografo, ci parlò di una delle sue profezie che annunciavano che i Betharramiti avrebbero assunto la responsabilità del seminario patriarcale. Aggiunse che la profezia si era avverata nel 1921 quando, con P. Audin, aveva dato dei corsi nel seminario. Con il mio condiscepolo inglese, Padre Waddoups, pensammo che P. Buzy aveva forzato un po’ l’interpretazione. Ma nel 1932, vivemmo entrambi la vera realizzazione della profezia. Il Patriarca Barlassina (1920-1947) aveva richiesto che Bétharram si incaricasse del Seminario. Si rifiutò. Ma il superiore generale aggiunse una riga imprudente: nel caso di «una grandissima difficoltà», avrebbe fatto tutto il possibile. Il Patriarca Barlassina creò la «grandissima difficoltà» congedando i professori benedettini del Seminario, il 30 giugno. In agosto, rinnovò la sua richiesta a Bétharram. Si vide opporre un nuovo rifiuto. Allora, attraverso P. Buzy, il Patriarca richiamò la frase del Rev P. Paillas. Questa volta, il Consiglio generale si ritenne vincolato. Bétharram si incaricò, quasi per forza, del seminario patriarcale. Io stesso e P. Waddoups, designati per questa fondazione, ci trovammo d’accordo, questa volta, nel vedervi la realizzazione della profezia di suor Maria.
Sr Maria fu oggetto anche di possessioni angeliche, a Pau e poi in India. Le possessioni diaboliche, nei limiti imposti dal Signore, sono state considerate da due grandi esperti in mistica, P. Garrigou-Lagrange o.p. e P. Mager o.s.b., come purificazioni passive piuttosto drammatiche.
Nel 1876, ci fu, nella sua vita, anche un caso di bilocazione, a beneficio di una santa religiosa di San Giuseppe, sr Josephine Rumèbe. Questa, mentre era agonizzante a Cipro, vide arrivare Sr Maria che le assicurò che non sarebbe morta, perché aveva ancora molto bene da fare. E in effetti così avvenne fino alla sua morte avvenuta nel 1927 in Terra Santa, dove, tra l’altro, fondò il monastero e il santuario dell’Arca dell’Alleanza, a Abu Gosh. Nel 1878, a Jaffa, Sr Josephine riconobbe con gioia Sr Maria tra le Carmelitane di Betlemme in rotta verso Nazareth.
Analfabeta e priva di cultura, parlando il francese in modo approssimativo, e intriso di arabo, nelle sue estasi dava prova di un vero dono poetico che si esprimeva in poesie, cantici, parabole. Una religiosa che l’ascoltava così si esprimeva: «C’era un che di soave, di infantile, di celestiale nei suoi gesti, nei suoi sguardi, nel tono della voce. Per questo le parole che riferiamo sono morte a confronto della vivacità espressiva della sua locuzione». Anche la sua voce spezzata ritrovava allora limpidezza e calore. Proprio durante una di queste estasi compose la bella preghiera allo Spirito Santo:

Spirito santo, ispirami,
Amore di Dio, consumami,
Alla vera via conducimi.
Maria, Madre mia, guardami;
Con Gesù benedicimi;
Da ogni male, da ogni illusione
Da ogni pericolo difendimi.
 

Pierre Médebielle,SCJ
Jérusalem (1983, pp. 201-239)

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