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14/10/2014

La Parola del Superiore Generale

Ravviva il dono di Dio che è in te

La Parola del Superiore Generale

È il titolo del capitolo VI dell’esortazione apostolica Pastores dabo vobis che affronta il tema della formazione permanente dei sacerdoti. È una citazione di 2Tim 1,6-7: Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza.

Meditando Evangelii Gaudium tutti noi ci riconosciamo nell’entusiasmo, nel dinamismo e nella gioia propri dei discepoli missionari di Gesù, ma anche nelle tentazioni contro le quali il Papa mette in guardia gli stessi missionari. In ognuno di noi, infatti, si svolge la lotta tra il pensare solo a noi stessi e il pensare agli altri. A volte, senza cattiva intenzione, dopo aver iniziato col dare tutto noi stessi agli altri, finiamo per trasformare questo impegno in una risorsa che alimenta la nostra stessa superbia. Senza rendercene conto, crediamo di fare del bene e invece stiamo cercando noi stessi. Il dinamismo missionario che ci porta verso gli altri, esaurisce a poco a poco tutte le nostre energie. Questo blocca la nostra crescita umana e spirituale e influisce negativamente sulla vita della comunità che siamo chiamati a servire. Ecco alcune espressioni di Papa Francesco:

Un’evangelizzazione con spirito è molto diversa da un insieme di compiti vissuti come un pesante obbligo che semplicemente si tollera, o si sopporta come qualcosa che contraddice le proprie inclinazioni e i propri desideri (EG 261).

Se uno non scopre Gesù presente nel cuore stesso dell’impresa missionaria, presto perde l’entusiasmo e smette di essere sicuro di ciò che trasmette, gli manca la forza e la passione. E una persona che non è convinta, entusiasta, sicura, innamorata, non convince nessuno (EG 266).

Bisogna riconoscere sé stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare … Tuttavia, se uno divide da una parte il suo dovere e dall’altra la propria vita privata, tutto diventa grigio e andrà continuamente cercando riconoscimenti o difendendo le proprie esigenze. Smetterà di essere popolo (EG 273).

Per questi motivi, dobbiamo tenere vive le motivazioni del nostro impegno missionario nei confronti della Parola di Dio, che denuncia le nostre contraddizioni e ci chiama alla conversione permanente. In questo siamo aiutati giorno per giorno dalle attività ordinarie di formazione: l’esame di coscienza, la lectio divina, l’eucaristia, la confessione frequente, la direzione spirituale, l’adempimento dei nostri doveri e le attività della missione, il servizio e la preghiera comunitaria, le riunioni a livello di comunità, di Congregazione e di Diocesi; la preparazione dell’omelia, lo studio, le letture, le relazioni interpersonali, il ritiro annuale. Sono le azioni della vita ordinaria che ci aiutano a proteggere, coltivare e purificare il nostro equilibrio umano e vocazionale.

Ci sono, però, momenti della vita in cui tutti questi strumenti non sono sufficienti e abbiamo bisogno di prenderci un tempo più lungo e più intenso per noi stessi, perché ci sentiamo stanchi, perché siamo stati feriti da una relazione, perché abbiamo sperimentato un fallimento nell’apostolato, una delusione, perché la routine si è impadronita di noi, perché dopo molto tempo viviamo un trasferimento nella missione.

Abbiamo bisogno di un tempo e un ambiente che ci permettano di approfondire la conoscenza di noi stessi, scoprendo le resistenze che, senza nostra colpa, ci tengono come bloccati e ci impediscono di dare il meglio di noi stessi nella maturazione della nostra personalità, della nostra vocazione e della nostra missione, in questo cammino di crescita, maturità e pienezza lungo il quale ci conduce la nostra relazione con Gesù, nostro Maestro, con il Padre e con i nostri fratelli. Si tratta di liberare la molla segreta dell’amore di cui parlava san Michele Garicoits, perché qualcosa la tiene bloccata e sottrae slancio, dinamismo, impegno alla nostra esistenza.

In queste situazioni, non è sufficiente seguire qualche corso o leggere qualche libro. Non basta prendersi una vacanza o fare un viaggio di diversi giorni. Abbiamo bisogno di raggiungere le esperienze fondamentali della nostra vita, le motivazioni che orientano la nostra condotta, lo scopo della nostra esistenza e della nostra azione: l’incontro con la persona di Gesù, che ha impresso un nuovo orientamento alla nostra vita, la quale, per qualche motivo, si è trasformata in un peso.

A volte mi risulta difficile capire perché alcuni fratelli della nostra famiglia religiosa siano così restii a prendersi un periodo di tempo per rinnovarsi con l’aiuto di esperti in spiritualità e psicologia. Eppure, la loro mancanza totale di iniziativa è evidente e questa immobilizza anche quelle comunità che invece dovrebbero animare. Hanno dato tutto quello che avevano e si sono svuotati; ora, rifiutando ogni proposta di formazione permanente o di trasferimento, impediscono a quelle comunità di arricchirsi con le nuove energie che potrebbe fornire loro un pastore rinnovato o un nuovo pastore.

Il Capitolo Generale di Betlemme del 2011, ha chiesto che si organizzi, per il 2015, nelle nostre residenze di Nazareth e Betlemme, una sessione di aggiornamento per religiosi di più di 40 anni, che stanno vivendo una situazione che ho appena descritto. La commissione, istituita per programmare questa sessione, ha lavorato per tre anni e ora tutto è pronto. Non si vuole che sia un viaggio turistico e nemmeno solo un pellegrinaggio. Si chiede che il pellegrinaggio sui luoghi di Gesù, sia un pellegrinaggio interiore, che porti ognuno a vincere le resistenze e gli ostacoli che impediscono di abbandonarci totalmente a Gesù, che ci ha amato per primo e ci invia ad amarlo nei nostri fratelli.

Gaspar Fernández Pérez, scj
Superiore Generale

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