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P Andrea Antonini
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14/03/2014

La Parola del Superiore Generale

La conversione pastorale

Papa Francesco celebra la Messa del mercoledì delle ceneri

La conversione pastorale è uno dei concetti chiave del magistero di Papa Francesco, nonché l’esperienza fondamentale per un rinnovamento della Chiesa nei cuori e nella vita interiore delle comunità (EG 20-49). Si tratta dell’esperienza chiave attraverso la quale la Chiesa deve tornare a vivere “la gioiosa e confortante opera di evangelizzazione” (EN 80; EG 9): La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli è una gioia missionaria… Questa gioia è un segno che il Vangelo è stato annunciato e sta dando frutto. Ma ha sempre la dinamica dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre (EG 21).

Quando parliamo di conversione, siamo soliti considerare il solo livello personale e intimo, e camuffiamo questo cambiamento interiore con sforzi, esigenze e sacrifici che, molte volte, non sono orientati verso una trasformazione della persona nel suo cuore e nella sua condotta né ad un rinnovamento delle comunità religiose ed ecclesiali. La nostra conversione, in questa quaresima, deve essere diversa; deve ispirarsi alla Parola di Dio come ce la trasmette Papa Francesco, attraverso i suoi gesti, le sue parole, le sue decisioni e i suoi atti; deve anche esprimersi attraverso seri cambiamenti nella nostra condotta e nelle nostre relazioni comunitarie. Evangeli Gaudium deve essere la guida nella nostra riflessione.

La conversione pastorale implica un cambiamento profondo nel modo di comprendere e vivere la fede cristiana. Si tratta di passare da una situazione di tranquillità e di autocompiacimento, centrata sul credente o sulle comunità, a una situazione di apertura e di uscita di ciascuno incontro agli altri; anche le comunità devono uscire incontro alle persone che sono lontane dalla Chiesa, per portar loro la gioia del messaggio evangelico, l’amore che Dio ha per noi, così come la persona stessa di Gesù di Nazaret li ha manifestati, lui il Figlio di Dio fatto uomo.

Si deve passare da una vita cristiana che si è adattata a questo mondo (la mondanità), a una vita cristiana evangelica di verità che ci riempie di gioia e ci spinge a superarci e a voler appassionatamente condividere con gli altri la stessa gioia, come già San Michele diceva nel 1838. Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice e opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto (EG 2).

Papa Francesco segnala alcuni rischi specifici di questo stato di spirito mondano. Rischi molto sottili, ai quali ci siamo assuefatti: l’ideologizzazione del messaggio evangelico, il funzionalismo, l’accidia egoistica (EG 81-83), il clericalismo, la mondanità spirituale (EG 93-97) e l’ipocrisia. La nostra conversione durante questa quaresima deve consistere nell’aprire gli occhi sui segni dei tempi, con un orecchio aperto all’ascolto del popolo (EG 154-155) ; esaminare la nostra condotta e i motivi che la determinano. Interiorizzare la Parola di Dio…, con l’altro orecchio aperto all’ascolto del Vangelo. Celebrare i sacramenti. Non sottrarci al dialogo con il nostro direttore spirituale, con i confratelli in comunità e con i nostri superiori. Soltanto così saremo capaci di superare questi atteggiamenti mondani per rivalutare la persona di Gesù, che in tal modo tornerà ad occupare il centro della nostra vita e delle nostre comunità. Con Lui al centro, i valori della nostra vita saranno evangelici: l’umiltà, la tenerezza, l’accoglienza, il dialogo, l’incontro, la comunione, la fraternità, la gioia di vivere e la missionarietà.

La chiave di questa conversione pastorale è nell’incontro con Gesù, così come già detto da Papa Benedetto XVI (Deus caritas est), ripreso nel documento di Aparecida e ripetutamente da Papa Francesco, nonché in EG 7. Gesù è una persona viva, appassionata a far sì che tutti gli uomini conoscano l’amore di Dio e possano viverne. Ponendolo nel cuore della nostra vita e vivendo come discepoli in intima relazione con lui, non potremo sentirci tranquilli finché non consacreremo la nostra vita a ciò cui lui ha consacrato la sua: possano tutti gli uomini d’oggi conoscere e vivere l’amore che Dio nutre per loro (EG 264-267).

Non si è pienamente discepoli se non si è anche missionari. Non saremmo missionari autentici senza essere suoi discepoli e compagni, fino ad essere con lui in intimità (Mc 3, 13-15) (EG 262-267). Lo stile di vita del discepolo-missionario, come quello di Gesù, il suo Maestro, è l’amore evangelico, espresso dal chicco di frumento che cade nella terra, produce frutto a proposito del quale Gesù dice: «…chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà» (Mc 8, 35). L’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium spiega come questo amore sia il nucleo da cui tutto procede (EG 8-9-10): Giungiamo ad essere pienamente umani quando siamo più che umani, quando permettiamo a Dio di condurci al di là di noi stessi perché raggiungiamo il nostro essere più vero (8). Per questo, chi desidera vivere con dignità e pienezza non ha altra strada che riconoscere l’altro e cercare il suo bene (9). Quando la Chiesa chiama all’impegno evangelizzatore, non fa altro che indicare ai cristiani il vero dinamismo della realizzazione personale: «Qui scopriamo un’altra legge profonda della realtà: la vita cresce e matura nella misura in cui la doniamo per la vita degli altri. La missione, alla fin fine, è questo» (10).

Tutti i religiosi e i laici betharramiti devono entrare in questo processo per partecipare al rinnovamento della Chiesa. Questo significa rinnovare le nostre comunità, le nostre missioni, i nostri servizi, le nostre opere e le strutture della nostra Congregazione, perché siano più evangeliche e non siano un ostacolo all’evangelizzazione. Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo (EG 20).

Questo è lo scopo della nostra salita a Gerusalemme con Gesù dove, la prossima Pasqua, celebreremo il mistero della sua morte e risurrezione. Ogni betharramita, religioso o laico, lavando il suo abito nel sangue dell’agnello, rinnovi il fervore del suo battesimo e della sua consacrazione con tutta la Chiesa, per vivere con maggior gioia ed entusiasmo la fraternità evangelica e la missione evangelizzatrice. Ciascuna comunità betharramita, rianimata dal rinnovamento dei religiosi, sarà allora testimone credibile di Gesù risuscitato.

Gaspar Fernández Pérez, scj

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