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14/01/2014

La Parola del Superiore Generale

L’amministrazione dei beni nella Congregazione

La Parola del Superiore Generale

I religiosi si guadagnano da vivere con il loro lavoro o le loro competenze pastorali o professionali. Tutto quello che viene corrisposto a questo titolo ad un religioso appartiene alla comunità, comprese le pensioni, le sovvenzioni, le assicurazioni (RdV 50). In forza del voto di povertà il religioso si impegna a non trattenere nulla per sé, ma a condividere con la comunità tutto quello che percepisce nonché a dipendere dalla stessa per le sue necessità, dandone conto con rigore e scrupolo di trasparenza. Essere povero significa non avere beni. Chi si impegna con il voto di povertà e possiede qualche bene inganna la Chiesa e umilia quei confratelli che, al contrario, condividono tutto.

I religiosi dunque condividono con la comunità tutto quello che possono ricevere. Dal canto suo la comunità può possedere qualcosa soltanto nei limiti indicati dal Superiore regionale e dal suo consiglio (RdV 287, Stat. 37). Una volta all’anno, oppure ogni 6 mesi, la comunità trasferisce i due terzi di quanto possiede, trattenendo per se soltanto un terzo per le spese quotidiane. Come i religiosi, così anche le comunità hanno il dovere di essere povere, se si vuole che la nostra testimonianza sia autentica.

È cosa buona che tra le comunità non sussistano sperequazioni; a questo scopo dobbiamo tendere ad una reale condivisione dei nostri beni. Non è tollerabile che vi siano comunità che vivono nell’abbondanza ed altre nel bisogno. “L’attenzione ai più poveri comincia con la condivisione fraterna tra i membri della stessa Congregazione” (RdV 292, Stat. 32). In certi vicariati – con i due terzi ricevuti dalle comunità in grado di inviarli – è possibile disporre di denaro sufficiente per sopperire ai bisogni di quelle comunità prive di risorse proprie, perché lavorano in missioni che non producono redditi (per esempio, le case di formazione) oppure nell’assistenza ai più poveri… In questi casi, le comunità che danno e quelle che ricevono dovranno approntare bilanci e preventivi affinché la condivisione si realizzi in un clima di verità e di fiducia.

La Congregazione deve disporre di beni per sopperire ai bisogni materiali dei religiosi, farsi carico della formazione e realizzare la missione che le varie comunità ricevono. A questo scopo i Vicariati, le Regioni ed il Consiglio generale possono essere proprietari di beni mobili ed immobili, ricevuti dalle generazioni passate o acquisiti per le necessità materiali e missionarie: case, terreni, automobili… ma anche denaro contante in previsione di nuovi progetti o per diverse esigenze… . Si tratta di beni ecclesiastici che la Congregazione gestisce in conformità a criteri evangelici contenuti nella Regola di Vita e nel Diritto Canonico (RdV 290).

I criteri amministrativi si prefiggono di ottenere il miglior rendimento possibile. Devono essere criteri evangelici, che diano modo di assicurare una vita dignitosa, austera, senza lussi, semplice, come quella della maggior parte delle persone modeste in mezzo a cui viviamo. Evitando l’accumulo di beni e fidandoci nella Provvidenza, potremo essere responsabili della missione come del lavoro che ci viene richiesto, non importa se rimunerato o no, in uno spirito di servizio e di condivisione comunitaria, dipendendo dalla Provvidenza stessa per l’uso dei beni, aiutando i poveri e garantendo una maggiore efficacia alla nostra missione.

Il Superiore assicura l’amministrazione ordinaria, aiutato in questo dall’economo: “…fanno acquisti e pongono atti giuridici…nei limiti fissati dalla Regola di Vita e dal diritto ecclesiastico o civile” (RdV 292). Insieme, aggiornano l’inventario dei beni mobili e i conti (budget) per informare la comunità ed i superiori circa l’uso che ne viene fatto. Possono così trasferire al Vicariato la somma fissata dal Superiore regionale con l’approvazione del suo consiglio. “L’amministrazione è regolata in modo tale che i beni delle comunità concorrano alla vita e alla missione del Vicariato e della Regione e i beni di entrambi alla vita e alla missione di tutta la Congregazione (RdV 288).

L’amministrazione straordinaria copre le operazioni finanziarie che non fanno parte del budget ordinario della comunità. Nessun religioso può di propria iniziativa comprare o vendere un bene della Congregazione. Solo i Superiori Maggiori, con l’approvazione del rispettivo consiglio, possono effettuare operazioni straordinarie come vendite, acquisti, prestiti e ipoteche…(e) possono, sempre con il consenso del loro consiglio, dare mandato scritto per autorizzare l’Economo o un’altra persona a porre un atto amministrativo straordinario (RdV 295).

Talvolta per intraprendere missioni specifiche sarà bene disporre di opere proprie. Il responsabile di queste ultime, non importa se religioso oppure laico, dovrà render conto della sua gestione ad un consiglio di amministrazione del quale saranno membri altri religiosi, a questo delegati, nella misura del possibile, dal Superiore Maggiore (RdV 292, Stat. 31 e RdV 297, Stat. 36). Gli uni e gli altri dovranno riferire al loro Vicario regionale che è il rappresentante legale in seno al Vicariato.

Un religioso non può possedere beni patrimoniali. Può averne la nuda proprietà, ma prima di emettere i voti deve cederne l’amministrazione, l’uso e l’usufrutto ad una persona da lui nominata. Prima della professione perpetua dovrà redigere un testamento, valido agli effetti civili, nel quale sia stabilito con chiarezza chi saranno gli eredi dei suoi beni. Non può lasciare in eredità a persone estranee alla Congregazione beni sia acquisiti con il suo lavoro, sia provenienti da sovvenzioni, pensioni, assicurazioni…(RdV 54), poiché ha l’obbligo di condividerli con la comunità. I beni patrimoniali non appartengono alla Congregazione. Tuttavia, se il religioso li vende o ne ricava un reddito, dovrà condividerne l’ammontare con la comunità perché il voto di povertà gli fa obbligo di non conservare niente per sé.

Il religioso che effettua operazioni finanziarie senza il permesso dei Superiori, oppure causa danni materiali a terzi, non impegna che se stesso e pertanto sarà personalmente responsabile per le conseguenze che dovessero derivarne (RdV 298 e 297, Stat. 38).

Qualora un religioso o una persona estranea alla Congregazione dovesse essere riconosciuta dinanzi alla legge civile come proprietario di nostri beni, i Superiori prenderanno tutte le misure necessarie per salvaguardare i diritti della Congregazione (RdV 299).

Gaspar Fernández Pérez, scj

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