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29/06/2009

Notizie in famiglia - 14 settembre 2009

Notizie in famiglia - 14 settembre 2009

Sommario

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La parola del Padre Generale

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Ho una gran voglia di mettermi a gridare...

San Francesco Saverio in una sua lettera afferma: "Molte volte mi vien voglia di visitare le università d'Europa, specialmente quella di Parigi e  mettermi a gridare dovunque, come un pazzo, per scuotere coloro che hanno più scienza che carità, dicendo loro: Oh, quante anime per vostra negligenza, son escluse dal cielo e precipitano all'inferno!" (Ufficio delle letture – 3 dicembre)
Prima in India, nello Stato del Tamil Nadu per Enakius e Stervin e poi in Tailandia  a Chiang-Mai per Kriansak, ho assistito alle ordinazioni sacerdotali. Preso atto che i riti erano in lingua locale, in particolare nel Tamil Nandu, non potevo far a meno di pensare alle difficoltà di San Francesco nell’evangelizzare quelle popolazioni che ancor oggi rimangono comunità molto dinamiche in tutta la costa del sud-est dell'India. E dal profondo dell’anima mi uscivano espressioni simili  a quelle di San Francesco Saverio:                               
Il Signore è stato grande con noi e noi siamo colmi di gioia, perché quest’ anno in Congregazione abbiamo venti novizi,  dodici betarramiti che emettono  i voti perpetui e otto che riceveranno il Sacerdozio.
Abbiamo conosciuto l'amore di Dio e in Lui abbiamo creduto. Aver conosciuto Gesù e aver deciso di vivere come ci ha insegnato nel Vangelo è stata la più bella cosa che ci è capitata nella vita. Importante quanto il lavoro missionario è il fatto di coltivare la propria interiorità attraverso la preghiera e la lectio divina, che ci permette di rafforzare la nostra unione con Cristo migliorando la nostra vita.
I tempi sono difficili... ma sono quelli che lui ci ha offerti da vivere e sono per noi Kairós, tempo di grazia. Amiamo il tempo ed il mondo che Lui ci ha dato perché il Padre  buono ama gli uomini che ci vivono e che sono coloro ai quali dobbiamo farlo conoscere annunciando loro Gesù Cristo.
Date conto della vostra speranza…con dolcezza e rispetto. In Europa, mancano vocazioni, la professione della fede cristiana non ha reputazione sociale come in altri tempi, i mezzi di comunicazione presentano il cristiano come un dato storico senza futuro. Ma ciò che sappiamo di certo è che il futuro della Chiesa e della nostra Congregazione dipende dalla fedeltà gioiosa alla nostra vocazione e alla nostra missione. Inoltre, questa situazione ci costringe a purificare le nostre motivazioni vocazionali per vivere solamente per amore a Colui che per primo ci ha amato.
Voi che mi siete rimasti fedeli nelle prove…. La maggioranza dei religiosi betarramiti  sono fedeli alla loro vocazione e alla loro missione. Sono autentici discepoli e veri missionari.  Sanno che  essere consacrati non è alla moda e che la contraddizione fa parte della sequela del Maestro che non fu né conosciuto, né compreso, né accettato.  E siccome non sono più grandi di lui, devono seguirne la sorte.
Non si adeguino a questo mondo, ma piuttosto… Non sono molti, ma qualche  betarramita sembra aver dimenticato la professione pubblica che un giorno ha fatto di vivere secondo il Vangelo; e, imborghesito, adotta i criteri della società corrente: i canoni del materialismo, del consumismo, dell’edonismo, del relativismo e dell’individualismo.
Caritas in veritate et veritas in caritate. Siamo in favore della verità, della vita, dell'amore, della famiglia, della dignità sacra di ogni persona perché creata da Dio a sua immagine e somiglianza, per amore. Siamo anche in favore degli altri valori che Gesù propone nel Vangelo: il perdono, l'unione, la comunione e la fraternità, l'austerità, la responsabilità ed il rispetto delle diversità.
Certamente, siamo tutti peccatori.  Ma questa grande verità non deve essere una scusa per giustificare comportamenti che contraddicono al nostro modo di vivere la vocazione e per non prendere sul serio la propria conversione. Gesù è morto per i nostri peccati perché viviamo una vita nuova in atteggiamento di conversione.
La libera scelta di essere obbedienti ai superiori, come Gesù al Padre, fino alla morte in croce, resta un valore betarramita fondamentale che non frustra, ma piuttosto libera;  rende capaci di meglio compiere la missione e permette di realizzar in pienezza la propria vita nell’incontro col Cristo ubbidiente, umiliato e risorto  che non ha cercato la propria accondiscendenza (Rm. 15, 2-3; Eb. 12, 2-3) ma si è immolato in tutto per essere gradito all’amore del Padre.
Non si può immaginare lo strazio che ho provato per l’allontanamento dalla Congregazione di Gilberto, mentre Enakius, Stervin e Kriansak con il bacio di pace  confermavano al Vescovo il loro: Sì, lo prometto in risposta alla domanda: Promettete ubbidienza e rispetto ai vostri superiori? Spero di cuore che saranno fedeli alla promessa: Si, prometto ubbidienza e rispetto ai miei superiori!
L’impatto profetico della nostra vita ha un grande valore, anche se non sembra.  La nostra obbedienza smentisce coloro che esaltano l’importanza dell’io, la nostra castità proclama che le relazioni interpersonali sono basate sul rispetto della diversità delle persone e non  sul piacere egoistico. La nostra povertà dice che i beni materiali sono relativi e che tutti gli uomini ne hanno bisogno di loro, perciò li condividiamo.  La nostra fraternità attesta che uno può vivere insieme anche se siamo diversi.
È difficile rassegnarci all’indecisione sul modo di fare o alla mancanza di coraggio nel proporre la persona di Gesù ai giovani in Spagna, in Francia, in Inghilterra e in Italia. È un'omissione di cui dovremo dare conto per tre ragioni: chiudiamo ai giovani l'opportunità di conoscere e trovare Gesù, unico vero senso della vita; priviamo la Chiesa di persone preziose per continuare la sua vita e la sua missione; non collaboriamo perché la società possa contare su persone impegnate, capaci di donarsi completamente  per costruire la Civiltà dell’Amore.

Gaspar Fernandez,SCJ


nef-etchecopar.jpgIl Padre Augusto Etchecopar scrive...alla sorella Giulia, Figlia della Carità, 10 settembre 1876

Che cos’è l’uomo perché Dio vi possa attaccare il cuore ! … Lo leggevo nel libro di Job: «La vita dell’uomo è una continua lotta: quando calava la notte, invocavo il giorno; e, fattosi giorno, desideravo le tenebre».
Quindi, si è lottato prima di noi … Dunque, avanti sempre, attraverso gioie e dolori. Avanti sempre verso il cuore e nel cuore di Gesù, che è sempre aperto, e non si chiude mai …
Avanti sempre! Conosce la nostra povertà … È Padre, è Madre! È ostia! È vittima! È dolcezza e umiltà!
O Dio di bontà! È solo con la morte che noi conosceremo e proclameremo tutta la tenerezza, sperando contro ogni speranza; proprio come gli uomini di grande fede, e ricevendo, con il suo bacio eucaristico sulle nostre labbra tremanti, il perdono di un’esistenza indegna e piena di misteri. Allora esclameremo con il Profeta: Quand’anche mi assestasse il colpo mortale […] continuerò a sperare in lui e non resterò confuso. Amen! Amen! Amen!


A te, discepolo del Buon Pastore

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In questo anno consacrato ai sacerdoti, l’omelia pronunciata il 3 maggio, domenica del Buon Pastore, a Marcory Anoumabo (Abidjan), cade a proposito. Eccone un sunto.

Nel Vangelo, Gesù Cristo si presenta come il Buon Pastore. Attraverso l’immagine di chi dà la sua vita per le sue pecore, Gesù vuole farci intravvedere di quale amore ci ama. C’è come una densità di amore che si nasconde sotto questo paragone del Buon Pastore. Non siamo noi che abbiamo amato Dio, è Dio che ci ha amato per primo e continua ad amarci per primo.
Il pastore è sempre presente… Non abbandona mai il suo gregge, né di giorno, né di notte. Egli è perennemente lì ad osservare per custodirlo, per dargli fiducia e sicurezza. È così che Gesù Cristo è presente nella nostra vita: c’è per la sua Chiesa e per i pastori che le ha dato; Egli è personalmente nell’Eucaristia, è presente attraverso il suo Spirito. Presenza costante e attiva: una presenza d’amore, una presenza amorosa!
Il pastore conosce le sue pecore… Ognuna in particolare: le chiama per nome. Anche il Cristo! Egli conosce le nostre difficoltà, le nostre ansie, le nostre pene, le nostre miserie, i nostri peccati. Egli li conosce meglio di noi stessi. Quali che siano le nostre difficoltà, i nostri peccati…, continua a posare su di noi il suo sguardo pieno di tenerezza, uno sguardo di misericordia: il cuore di Dio si avvicina alle nostre miserie. Questa certezza ci deve ispirare piena fiducia, serenità e gioia.
Il pastore riunisce il suo gregge… Se una pecora si perde, egli parte alla sua ricerca, fino a quando l’ha trovata e riportata all’ovile. Nessuno, quale che sia la sua condizione, per quanto miserabile possa essere, viene escluso. Dio ama ognuno individualmente come se fosse il solo per il quale dovrebbe dare la sua vita. Ecco come il Signore, il buon pastore, si comporta nei nostri confronti…
E tu, fratello, padre, guarda Gesù, il buon pastore che ti rende partecipe del suo sacerdozio. Non dimenticare mai che il buon pastore è sempre presente, sempre all’opera. Non è l’abbonato sempre assente dal lavoro. Sii un pastore dal cuore grande, prete secondo il cuore d Gesù, un buon pastore, non un pastore mieloso, quei pastori manipolatori di Dio che sono in ogni luogo e sempre più numerosi ad ogni incrocio, in ogni via, in tutte le chiese e anche nelle nostre chiese… Questi sedicenti pastori che fanno dire a Dio ciò che non dice… Che vogliono far fare a Dio ciò che non vuole fare. Questi sono dei pastori mercenari. Non conoscono le pecore… Essi tradiscono la fiducia data a loro dal Maestro.
Fratello sacerdote, non dimenticare che sei strumento della forza di Cristo. A dispetto della tua debolezza di uomo, la luce di Cristo splende su di te. Il sacerdote è un Dio donato. Tu sei un dono regalato alla tua famiglia, non solo alla tua famiglia, ma alla tua comunità cristiana, alla Chiesa, al mondo intero. Tu dovrai sempre aiutare coloro che ti frequentano, a scoprire che il sacerdote di Gesù Cristo è un vero Dio-donato.
Si sa che il sacerdote è innanzitutto un uomo. Questo non sia per te una scusa per giustificare la tua mediocrità, le tue debolezze. Questo non sia per gli altri un’occasione per ridere del tuo sacerdozio. Sì, noi siamo uomini deboli, che devono lasciarsi trasformare dal Maestro e Signore. Se il sacerdote è un uomo, non è un uomo come gli altri, se il sacerdote è un uomo, non è volgare uomo né un uomo volgare. Egli è portatore di qualcosa che lo supera, è portatore di Qualcuno che è più forte di lui e lo rende forte.
La sequela di Cristo è follia. Bisogna essere abbastanza pazzi di Dio per lasciare tutto e seguirlo, bisogna essere abbastanza pazzi di Dio per rinunciare a formare una famiglia, per mettersi a disposizione del Vescovo o del Superiore che ci manderà là dove egli vorrà in nome dell’obbedienza. Bisogna essere abbastanza pazzi di Dio per lanciarsi in questa avventura. In effetti, la vita del sacerdote, è più che una follia, ma è la sola follia ad essere portatrice di Vita.

Sylvain Dansou Hounkpatin,SCJ


Ciò che mi colpisce della nostra spiritualità del Cuore di Gesù

Due scolastici della Costa d'Avorio hanno partecipato ad una sessione a Bétharram l’estate scorsa. Negli articoli che seguono riprendono, ognuno secondo la propria sensibilità, alcune tematiche che stanno loro a cuore.

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Durante la breve sessione in preparazione ai voti perpetui, il tema del Sacro Cuore fu, tra noi, tra i più attraenti e edificanti. Il nostro fondatore seppe entrare teologicamente nel mistero di Gesù, non solo per impregnarsi per la sua stessa vita sacerdotale, ma anche per dare una vocazione particolare alla congregazione che fondò. Così scriveva: «Perché la nostra Società porta il nome di Società del Sacro Cuore di Gesù? Perché è unita in modo particolare al cuore divino che dice al Padre: “eccomi” per essere suoi collaboratori per la salvezza delle anime; perché si impegna ad imitare la vita del Signore in modo che le è proprio… il nome ricorda molto bene i sentimenti di carità, umiltà, mansuetudine, obbedienza e donazione racchiusi nel primo atto del Sacro Cuore: Eccomi». Da questo insegnamento così ricco, il Sacro Cuore evoca, non solo un progetto di salvezza, ma svela anche l’identità di questo Dio amore fatto carne in Gesù Cristo. È questo Cuore che ha tanto amato gli uomini, che si svuotato di se stesso per essere riempito di carità, umiltà, mansuetudine, obbedienza e donazione delle quali la croce fu l’espressione finale.
Per me il Sacro Cuore è la sorgente dell’ “Eccomi”. Attraverso questo primo atto, il Sacro Cuore ci offre l’amore ineffabile di Dio e perché anche noi siamo testimoni viventi. Parlare del Sacro Cuore, significa spiegare la spiritualità che ci dona il volto d’amore di Dio perché l’uomo sia felice, è conoscere la spiritualità che ci introduce nella dialettica dell’amore e della felicità; essere felici per amare, e amare per essere felici.
Crogiolo dell’ “Eccomi”, il Sacro Cuore non può lasciarci indifferenti ed estatici. Ci interpella non solo per un dinamismo di unione con Cristo salvatore, verso una vita interiore più forte ma anche ad un’azione esemplare nel mondo e nella vita di ogni uomo. Per questo, il Sacro Cuore comporta, dall’altra parte, una spiritualità di impegno che invita ogni cristiano ad una vita spirituale felice, ad una vita splendente nella donazione di sé per il bene degli altri.
Da questo cuore deriva ogni virtù di disponibilità: disponibilità a Dio e disponibilità agli altri per vivere l’“eccomi”, il desiderio di configurarsi a Cristo annientato.
In questo modo, amore, felicità e impegno sono, per me, la sintesi del Sacro Cuore.

Olivier Ohoueu Adiko,SCJ


8 minuti con... Fratel François Tohonon Cokou

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Fratel François Tohonon Cokou, originario del Benin, ha trascorso il suo anno di preparazione ai voti perpetui a Bétharram. Abbiamo voluto saperne di più circa questa esperienza nella culla della Congregazione.

Nef: Quali erano gli obiettivi di quest’anno speciale?
- Si trattava prendere un po’ di spinta per ciò che avevo già vissuto fino ad ora, di scoprire altre realtà, e soprattutto di tuffarmi in questo mondo che fu di San Michele per la maggior parte della sua vita e che lo ha profondamente segnato con la sua eccezionale santità. A Bétharram non possiamo non scoprire la presenza del santo, con la sua teologia e la sua spiritualità dell’ « Eccomi ». Per me a Bétharram tutto sente e respira San Michele Garicoits.

Tu sei stato inviato in una comunità di accoglienza: che cosa ha significato per te questa dimensione?
- Ero contento di essere accolto in una comunità pluralista, dove ognuno ha delle responsabilità diverse, ma dove l’impegno «accoglienza» ha un posto importante. Ho anche apprezzato in modo particolare la vicinanza alla Casa di Riposo. Lì c’è una comunità di religiosi tra i quali alcuni vanno allegramente verso i cento anni. Essi sanno interessarsi a ciò che vive un giovane in formazione, e ognuno con la propria storia e le proprie esperienze, porta una testimonianza di fede di cui ho saputo approfittare.
Per quanto riguarda le mie responsabilità alla Casa di Accoglienza, ho avvicinato molte persone, alcune di origini modeste, altre più benestanti; alcune chiedevano di trascorrere la notte, altre cercavano un luogo tranquillo dove poter riposare, o con il desiderio di ricaricarsi spiritualmente. L’essenziale è stare ad ascoltare, essere presenti con ciascuno per soddisfarli… Grazie a tutti questi incontri, mi rendo conto che molti soffrono di solitudine o vivono in situazioni molto dolorose. Manifestare loro comprensione, avere compassione, è ciò che di meglio gli si può dare. E questo contribuisce a rendere forti anche noi stessi. Perché non dobbiamo per forza dare loro qualcosa, ma ricevere da loro…

Tu hai vissuto « alla presenza di san Michele Garicoits » per 9 mesi: questo, che cosa ti ha dato?
- I mesi trascorsi alla presenza di san Michele Garicoits mi hanno dato l’opportunità di conoscerlo meglio e di desiderare fortemente di fare del suo: «Eccomi» una realtà che segni tutta la mia vita. Soprattutto con le motivazioni che erano le sue: senza ritardo, senza riserva, senza ritorno, per amore più che per qualsiasi altro motivo. Quanto vorrei essere questo « Cuore che ama realmente, che crede, che gusta le cose di Dio, che corre, che vola sui passi di Nostro Signore Gesù »! Per entrare concretamente in questo progetto d’amore e di salvezza di Dio di cui il nostro Padre fondatore fu un esempio straordinario. Cioè, come lui, io voglio essere quel giovane ramo, questa giovane cellula, che crede ed espande i suoi rami per rialzare e salvare « l’Uomo e l’Uomo intero ».

A giugno tu hai fatto i Trenta giorni ignaziani; a luglio una sessione in vista dei Voti. Cosa porti con te di questa doppia esperienza?
- La prima esperienza, quella del ritiro ignaziano, mi è parsa come una riedizione del noviziato: lo stesso formatore, più o meno gli stessi compagni,nelle vicinanze di un monastero, non più il Carmelo di Betlemme, ma il monastero delle Suore di Betlemme, a cinque Km. da Bétharram.
Vissuto volentieri, nella fede, nella fiducia, nell’esperienza e nell’abbandono in Dio, questo ritiro mi ha permesso di intravedere innanzitutto il progetto di Dio su di me. È stato come una retrospettiva sulla mia vita con il Signore fino a quel momento. Soprattutto, cercando di rispondere a queste diverse domande ignaziane: Che cosa ho fatto io per Gesù Cristo? Che cosa farò per Lui? Che cosa mi resta da fare?, il ritiro ha riaffermato il mio desiderio di seguire Cristo nella vita religiosa: continuare il mio cammino e impegnarmi a conoscere, seguire e amare Cristo, per assomigliare a Lui e offrirmi per la gloria della divina Maestà.
È in questa stessa ottica che ho vissuto la sessione straordinaria di preparazione ai Voti; è stato un incontro gioioso con i fratelli dell’India e con alcuni vecchi compagni. Gli scambi come gli impegni condivisi sono stati, nonostante la difficoltà delle lingue, una bella occasione di vivere l’internazionalità della nostra Congregazione.
Il pellegrinaggio sulle strade percorse da San Michele Garicoits è stato un tempo forte. I luoghi sono particolarmente eloquenti: Ibarre con il suo isolamento e la sua calma ci portava alle nostre origini «povere»; Cambo ci ricordava l’attaccamento al Sacro Cuore di un giovane vicario diventato superiore del seminario, poi fondatore di congregazione e sempre affascinato da questa devozione; Igon ci riempiva di riconoscenza verso Santa Giovanna-Elisabetta che fece scoprire al superiore di Bétharram le ricchezze della vita religiosa; infine Loyola: il Santo affascinato dai grandi Maestri spirituali e sociali da imitarli per la maggior gloria di Dio. E per chiudere il cerchio, Bétharram, fresca sorgente, dove ci è stato concesso di abbeverarci a lungo.

Tutto questo, cosa ha modificato nella tua visione della vocazione e della missione di Bétharram?
- Al mio ritorno in Terra d’Africa, tutto ciò mi appare con più realismo. Noi viviamo in mezzo a popolazioni che hanno una loro personalità; da qui l’importanza di conoscerle sempre meglio per lavorare efficacemente per la loro promozione umana e, possibilmente, cristiana. Ci sono dei giovani spesso disorientati, con dei problemi familiari complicati, che cercano dei punti di riferimento senza dubbi, degli adulti su cui appoggiarsi… Mi piacerebbe molto essere uno di loro; rapportarli, in qualche modo, alla Vergine del Bel Ramo.
Di conseguenza, per i miei fratelli betharramiti e per me, la nostra missione oggi, se vuole essere un ritorno alle nostre origini è «essere mistici dell’Incarnazione». Questa missione deve essere vissuta con una certa disponibilità, con prontezza e discernimento, per essere d’aiuto agli uomini e alle donne del nostro tempo e del nostro mondo. Di fronte ad una umanità ammalata (fisicamente, psicologicamente, psichicamente, moralmente), noi dobbiamo dare semplicemente il nostro tempo ed essere testimoni di Gesù che salva tutti gli uomini, nessuno escluso, per amore. La missione ci rende anche educatori della fede, dell’intelligenza, dell’anima, ma soprattutto della preghiera. Infine, ci esorta a praticare la dolcezza, la pazienza, la tenerezza e la prudenza nelle relazioni, perché noi siamo al «servizio» degli uomini e non a loro «disposizione».

Quali sono le convinzioni che riporti e che vuoi offrirci?
- Dopo la mia professione religiosa a Betlemme, questo desiderio di seguire Cristo nella famiglia religiosa betharramita diventa sempre più netto: gioia, fiducia e felicità mi accompagnano in questa avventura amorosa di fede. Ho molte opportunità di mettermi al servizio degli altri, nelle nostre comunità e nella Chiesa, per imparare a donare a loro la stessa felicità che ho provato io stesso alla sequela di Cristo. Forte di questo, ormai ho una sola convinzione: consacrare la mia vita a Dio non è certamente uno spreco! Io chiedo al Sacro Cuore di infondermi, in modo costante, la volontà di fare della mia vita un’offerta spirituale. Fatto ciò, vorrei far parte di « chi vola sui passi di nostro Signore Gesù Cristo ».

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SOLIDARITÀ 2009 Ritratto per un progetto (3)

 

nef-09098.jpgKouassi Aya Melania è figlia unica di madre nubile, Palé Teresa. Entrambe vivono in un quartiere povero adiacente alla parrocchia animata dai Padri di Bétharram – dove peraltro svolgono qualche attività, Melania come ministrante e Teresa nella Legione di Maria.
Ogni giorno, Melania percorre le stradine del suo quartiere per andare a scuola in una classe sovraffollata. Pur in condizioni di vita molto difficili, Melania fa bene il suo dovere: a nove anni frequenta il CE2 (Corso Elementare 2° anno). Ma, siccome in casa manca la corrente, è impossibile studiare la sera, e l’oscurità cala in fretta a queste latitudini! Risultato: l’anno scorso non è stata ammessa alla classe seguente.
Quest’anno, un giovane disoccupato le dà ripetizioni, dietro pagamento. Melania si reca ai corsi serali a molti kilometri da casa sua, due volte la settimana. Lungo il cammino, Melania sogna ad occhi aperti: da grande farà il medico per curare le persone e migliorare la qualità della loro vita … Nell’attesa, Melania ha una brutta cera. Non è malata, no, ma il suo fisico tradisce tutta la fatica che sua mamma affronta per sbarcare il lunario e per prendersi cura di lei.
Melania è una dei tanti bambini che vivono in questa situazione. La mancanza di corrente li penalizza nel loro percorso scolastico. Eppure, chiedono solo una cosa, molto semplice e necessaria: studiare in condizioni normali per cavarsela e costruire il loro futuro.
A questo scopo, la Parrocchia Saint-Bernard ha in progetto la creazione di un centro di lettura, una biblioteca con un salone studio per lavorare la sera e non sprofondare ulteriormente nella miseria. Il preventivo si aggira intorno alla cifra di 8.300 euro. Possiamo fare uno sforzo? Potremo dare una possibilità a Melania e ai suoi amici?

Hyacinthe Ali,SCJ

 

PER LE DONAZIONI:
Conto corrente postale C/C num. 19526649
Intestato a Prov. It. Preti del Sacro Cuore
Centro di Animazione missionaria, via A. Manzoni, 8 - 2031 Albavilla (CO)
Causale: "progetto solidale"

 

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1929-2009

BÉTHARRAM IN COSTA D'AVORIO

Sono oramai quasi 50 anni che la nostra Congregazione ha mosso i suoi primi passi in Costa d’Avorio. Il racconto di questa avventura ci accompagna lungo questo anno giubilare. Lo dobbiamo a P. Laurent Bacho, Consigliere generale e formatore ad Abidjan.

8. La germinazione

A Dabakala, i musulmani sono conosciuti come “quelli che pregano”. I nostri fratelli chiedono perché il qualificativo “orante” non sia applicato ai cristiani. Decidono di mettere l’accento sulla preghiera, dimensione essenziale della vita religiosa; invitano in particolare i giovani a venire a condividere i loro momenti di preghiera, in chiesa, attorno al tabernacolo.
In questo periodo, la Provincia è messa alla prova dall’assottigliarsi della presenza di Bétharram in Costa d’Avorio. Il superiore provinciale convoca una decina di religiosi possibili candidati per questa missione. All’unanimità la scelta cade su P. Jean-Marie Ruspil, della comunità di Limoges, cappellano diocesane della JOC. Il 1° ottobre 1985, arriva a Dabakala; si apre un nuovo cantiere. Nyangourougbonon, la terza parrocchia del dipartimento, a 40 km da Dabakala, era servita da P. Lejeune, SMA: per motivi di salute, deve rientrare in Belgio, suo paese d’origine. Il vescovo domanda a Bétharram di assicurare il servizio pastorale; P. Jean- Marie vi si recherà tre giorni ogni due settimane.
Nel maggio 1986, il visitatore provinciale, P. Laurent Bacho, è testimone dell’impegno dei fratelli in campo sociale, agricolo in particolare: partecipano ad un’operazione “semi di arachidi e di igname” per mitigare le conseguenze della siccità e favoriscono l’introduzione di varietà precoci. Si lanciano nell’apicoltura: i ricavi della vendita del miele potranno aiutare a coprire le spese di scolarità dei ragazzi.
L’accompagnamento delle equipe JAC mira a trattenere nei villaggi i giovani tentati dall’avventura in “Basse Côte”, dove spesso vengono sfruttati nelle piantagioni di caffè e di cacao. La comunità è altresì attenta al foyer dei liceali, il “campus”, che permette ai giovani di trovarvi un appoggio morale e un sostegno scolastico. Sono attenti anche a non assentarsi troppo dal settore: essendo tra i più giovani del presbiterio, sono spesso coinvolti dall’animazione diocesana.
Nel 1987, in Francia viene decisa una ristrutturazione: in ogni comunità ci sarà un religioso quarantenne che si fa carico del mondo dei giovani. P. Jacky Moura è scelto per St-André de Cubzac; siccome il suo sostituto che era stato interpellato, (P.Minaberry), ha dovuto rinunciare per motivi di salute, ecco la comunità ivoriana ridotta ancora una volta a due membri. La domanda si ripropone: siamo in grado di restare in Costa d’Avorio? Quando il nuovo Provinciale, Firmin Bourguinat, fa la sua prima visita nel gennaio 1988, guida una riflessione attorno a questa domanda: Ritenete che sia giunto il momento di proporre la vita religiosa betharramita a dei giovani Ivoriani? La risposta è affermativa; prima della sua partenza, Padre Firmin incontra perfino tre candidati. I nostri fratelli, pur essendo entusiasti, si ricordano le parole di Mons d’Astros a P. Garicoïts, al termine del suo ritiro a Toulouse: «Cominciate la vostra opera e, senza scavalcare la provvidenza, seguitela in tutte le sue indicazioni con generosità e perseveranza». Mons Kélitigui darà gli stessi consiglio al nostro Provinciale.
La fermentazione incessante dello Spirito Santo sembra ave messo in ebollizione il settore djimini; qualche mese dopo, alcune buone notizie ci riempiono di gioia. La Congregazione della Provvidenza di Peltre decide di aprire a Dabakala, e le Figlie della Croce a Boniéré, con il progetto di aprirvi un noviziato. Inizierà la sua attività nel settembre 1989.

Laurent Bacho,SCJ

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Nef è il bollettino ufficiale della Congregazione del Sacro Cuore di Gesù di Betharram.
La redazione è a cura del Consiglio Generale.

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