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13/05/2009

Notizie in famiglia - 14 maggio 2009

Summario

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La parola del Superiore Generale

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Miti di cuore, come Gesù

La mansuetudine è una delle cinque virtù che San Michele Garicoits contempla nel Cuore di Gesù e che vuole per i suoi religiosi. Gesù nel Vangelo presenta sé stesso come mite ed umile di cuore ( Mt 11, 29). Lo stesso Gesù chiama beati i miti e dice che riceveranno in eredità la terra, (Mt 5, 49) decisamente in linea col Salmo 37: Domina la tua collera, reprimi la tua ira; non ti esasperare per non compiere il male:… e quelli che sperano nel Signore, possiederanno la terra.  (Sal 37, 8, 9, 22, 34).
Il nostro Padre San Michele commenta così la citazione di Luca 9,54-56, quando i figli del tuono vogliono distruggere col fuoco coloro che non vogliono accoglerli: Elia faceva bene a seguire lo spirito del suo stato, ma gli apostoli avrebbero fatto male a seguire lo spirito di Elia, perché non era lo spirito della loro vocazione. Lo spirito della loro vocazione era lo spirito di Nostro Signore, uno spirito di mansuetudine, umiltà e dedizione, per attrarre i peccatori con dolcezza alla penitenza e alla sua imitazione. (M.S. 203).
Contempliamo Gesù che testimonia la sua mansuetudine in situazioni difficili: Cristo non commise peccato né proferì menzogna. Quando era insultato, non contraccambiava l'insulto, e mentre soffriva non proferiva minacce; al contrario, affidava la sua causa a Colui che giudica rettamente. (1Pt 2, 22-23). Quando giunsero al luogo chiamato "del cranio", lo crocifissero insieme a due malfattori, uno alla destra e l'altro alla sinistra. Gesù diceva: Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno. (Lc 23, 33-34). "Signore, gli dissero, ecco qui due spade." Egli rispose loro: Basta! (Lc. 22,38). Allora quelli che erano con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: "Signore, dobbiamo colpire con la spada?". E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l'orecchio destro. Ma Gesù intervenne dicendo: "Lasciate, basta così!". E toccandogli l'orecchio, lo guarì. (Lc 22, 49-51)
Questi testi sono chiari per conoscere la mansuetudine di Gesù. Ecco altre situazioni che rivelano Gesù mite di cuore, anche se in forma contraddittoria. I farisei spiano Gesù per vedere se guarisce di sabato un paralitico e poterlo poi condannare. E guardandoli tutt'intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse a quell'uomo: "Stendi la mano!". La stese e la sua mano fu risanata. E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire. (Mc.3,5-6). “Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: "Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato” (Gv. 2, 13 – 16). Non possiamo dimenticare anche la virulenza delle parole di Gesù contro la falsità nella vita dei farisei. (Mt. 23, 13 – 36)
Mi sembra che la mitezza sia il tratto più caratteristico della carità. È la carità ma espressa con molta finezza, con discernimento e dominio di sé. Mite è molto di più che non violento. Mite è colui che perdona, colui che si rifiuta di entrare in una dinamica di vendetta, colui che accetta di perdere i propri diritti per bloccare la spirale della violenza, colui che reagisce al male con il bene e cerca di convivere fraternamente; in mancanza di ciò, questo mondo si rivela un inferno. Il mite non è una persona sciocca, né persona indifferente al bene o al male, né un pusillanime oppresso da timori, anche se qualcuno può pensare così.  La persona veramente mite si impegna per la verità, per la giustizia e per l'amore, chiama le cose col loro nome con coraggio anche se i malevoli pensano a volte che è un violento, perché si sentono feriti nella loro incoerenza esistenziale.
Come discepoli di Gesù, poniamo tutta la nostra energia per assomigliare a Gesù e per impegnarci ad interiorizzare le sue virtù. E sono molte le occasioni che abbiamo per coltivare ed interiorizzare la mitezza.  A tutti capita, in certi momenti, di trovarsi a convivere con persone che non ci vogliono bene e che ci rendono la vita impossibile, che ci disprezzano, che vogliono eliminarci dalla loro vita … Tutti abbiamo vissuto situazioni nelle quali il nostro comportamento ha costretto alcuni nostri conoscenti a contrapporsi a noi. Queste contraddizioni sono l’occasione per forgiare e manifestare la mitezza: mantenendoci nel silenzio per non far esplodere nel nostro cuore il risentimento, compiendo il nostro dovere invece che restar inerti, non cedendo agli impulsi che ci spingono a rinunciare alle nostre convinzioni, per mantenerci fedeli a quella verità che saggiamente abbiamo individuato.
Solamente la tolleranza, e non l'aggressività, può accogliere, ascoltare, comprendere, armonizzare, lasciare crescere, rappacificare il fratello. Solo con un atteggiamento benevolo si mostra di saper rispettare i tempi di Dio per ognuno. Solo con benevolenza si può praticare la correzione fraterna. Un atteggiamento benevolo, nel senso esposto, è fonte di pace, di consolazione, di soddisfazione, di gioia e di equilibrio.

Gaspar Fernandez,SCJ 


nef-etchecopar.jpgPadre Auguste Etchécopar scrive... al suo fratello Séverin, lettera del 1863

Ti ho scritto proprio per annunciarti la morte del buono e santo Padre Garicoïts, nostro superiore. Quale vuoto ha lasciato! Era la nostra guida sicura, un padre pieno di tenerezza, il nostro sostegno incrollabile, la forza nelle nostre debolezze e nelle nostre necessità, il nostro modello in tutto, colui che ci apriva la strada e ci sosteneva nel cammino verso l’Eternità.
L’abbiamo perso, mentre lo ritenevamo guarito da una malattia che lo aveva costretto in camera, per un mese circa dopo la Pasqua. Il giorno prima di morire, è andato, seppure un po’ debole, a fare visita al Vescovo che stava facendo la cresima in un villaggio qui vicino.
Durante la ricreazione della sera, questo bravo superiore era di una giovialità squisita, che comunicava a chi gli era vicino. Da allora non avremmo visto che il suo corpo privo di vita. Il giorno dopo, giorno dell’Ascensione di Nostro Signore, bussano alla mia camera alle 2.45 del mattino: il Superiore sta molto male. Mi vesto e mi precipito … Trovo Padre Garicoïts che sta spirando. Un soffocamento lo aveva sorpreso alle 2 del mattino. Mi sono inginocchiato, ho offerto a Dio questo sacrificio, grande come quello della mia stessa vita …  e la fine è sopraggiunta in un baleno; il nostro santo moriva come era vissuto, volava in cielo, il giorno stesso del trionfo di Gesù; è morto alle 3, l’ora in cui abitualmente si alzava per cominciare la giornata. Non ci rimangono più lacrime per piangere; e se il dolore è passato, il ricordo è sempre vivo e lo sarà finché non lo rivedremo in cielo.
Il Vescovo è arrivato il giorno dopo! Scoppia in lacrime davanti al cadavere! Quale perdita per la diocesi, diceva, era il modello per i miei sacerdoti. Il giorno dei funerali ha pronunciato l’orazione funebre del defunto. (…) Diverse persone assicurano di aver ricevuto favori dopo essersi raccomandati  a questo santo sacerdote! Ecco il privilegio dei santi. Durante la vita, sono cari a Dio e agli uomini per il loro amore, la loro umiltà e la loro pazienza, la loro purezza; sono immagine vivente di Dio, sono luce del mondo, sale della terra; come il Divin Maestro: passano facendo del bene…
Quelli che amano la gloria, possono forse aspirare ad una gloria più sublime, più sicura, più utile, più duratura di questa che si acquista con una vita vissuta cristianamente?


Con Marie: Ecce, Fiat... Magnificat!

L'ECCE ANCILLA DI MARIA
L'umiltà di Maria è tanto più grande quanto più eroica è la sua magnanimità, aumentando questa in proporzione della sua umiltà. Quando dice: Ecce ancilla? Quando si inabissa più profondamente nel suo nulla? Allorché si prepara alla sublime dignità di Madre di Dio, quando si ritiene capace di accettare la dignità di Madre di Dio». (D.S. 242)
In Maria, la magnificenza della Grazia della vocazione convive colla più assoluta semplicità e concretezza.  Tertulliano scrive: “Non c’è nulla che sconcerti tanto la mente umana, quanto la semplicità delle opere divine che si vedono in azione,  paragonata alla magnificenza degli effetti che in essa si ottengono…”  Tertulliano alludeva alla grandiosità degli effetti del Battesimo e alla semplicità dei mezzi dei segni esterni che si riducono a un poco di acqua e ad alcune parole. Così è stato di Maria e della venuta nel mondo del Salvatore.  Maria è l’esempio di questa sproporzione divina tra ciò che si vede all’esterno e ciò che avviene dentro.
Parlando dell'Ecce Ancilla, San Michele scrive: «Maria risponde al disegno di Dio in modo perfetto; si umilia, Ecce ancilla Domini,  obbedisce con lo slancio di una fede e di una carità eroiche: Fiat mihi secundum verbum tuum!» (D.S. 134 / M.S. 207-208)
Origene paragona Maria ad una tavoletta di cera, come se Maria dicesse: Eccomi, sono una tavoletta da scrivere, lo scrittore scriva ciò che vuole, faccia di me ciò che vuole il Signore di tutto. Come aveva fatto Zaccaria, anche Maria pose una domanda all’angelo, “Come è possibile? non conosco uomo.” (Lc1,34). Ma con uno spirito ben diverso da Zaccaria: Ella non chiede una spiegazione per capire, ma per sapere come eseguire la volontà di Dio.  In tal modo ci mostra che, in molti casi, non è lecito voler conoscere a tutti i costi la volontà di Dio, o il perché di certe situazioni apparentemente assurde,  ma che è lecito, invece, chiedere a Dio la luce e l’aiuto per compiere tale volontà.

IL FIAT DI MARIA
Il “fiat” di Maria resta dunque pieno e incondizionato. Si può mettere a confronto questo fiat, pronunziato da Maria, con il fiat che risuona in altri momenti cruciali della storia della salvezza: all’inizio della creazione, e alla redenzione. Tutti e tre esprimono un atto di volontà, una decisione.  
Il primo, cioè fiat lux, è il sì divino di un Dio: divino nella natura, divino nella persona che lo pronuncia. Il secondo, il fiat di Gesù  nel Getsemani (Lc 22,42), è l’atto umano di un Dio: umano perché pronunciato secondo la volontà umana, divino in quanto tale volontà appartiene alla persona del Verbo.  Scrive San Michele: «Gesù conosce il desiderio del Padre: questo gli basta per portarlo a dire in ogni momento : Ecce Venio !… Da quando ha detto: Eccomi! fino al momento in cui spira sulla croce, tutta la sua vita è stata la continuazione di questo atto » (M.S. 157)
Il fiat di Maria è il sì umano di una creatura umana.  In esso tutto prende valore dalla Grazia. Prima del sì decisivo di Cristo, tutto ciò che c’è di consenso umano all’opera della redenzione è espresso da questo fiat di Maria. Dalle parole di Elisabetta: Beata colei che ha creduto, si vede come già nel Vangelo, la maternità divina di Maria non è intesa solo come maternità fisica, ma molto più come maternità spirituale, fondata sulla fede. Come dice S Agostino: “dopo che l’angelo ebbe parlato ella, piena di fede, concependo Cristo prima nel cuore che nel grembo, risponde: eccomi sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola”.
San Paolo dice che “Dio ama chi dona con gioia” (2 Cor 9,7); e Maria ha detto a Dio il suo sì con gioia.  Come lo proviamo?  Il verbo con cui Maria esprime il suo consenso, è tradotto con fiat o con si faccia; nell’originale è all’ottativo; esso non esprime una semplice e rassegnata accettazione, ma vivo desiderio, come se Maria dicesse: desidero anch’io con tutto il mio essere quello che Dio desidera; si compia presto ciò che egli vuole.  San Michele scrive: «La dedizione perfetta … vuole che noi compiamo la volontà di Dio con amore. Dio ama chi dona con gioia e, in tutto ciò che prescrive, è sempre il cuore che richiede». (M.S. 195)
Il sì di Maria non è solo un atto umano, ma anche divino, perché suscitato nelle profondità dell’animo di Maria, dallo Spirito stesso.  E’ questa la vera grandezza personale di Maria, la sua beatitudine confermata da Cristo. Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte, leggiamo in Lc 11,27, che riporta le parola di una donna nel Vangelo.  La donna proclama beata Maria perché ha portato Gesù, Elisabetta, invece, la proclama beata perché ha creduto. La donna proclama beato il portare Gesù nel grembo, Gesù proclama beato il portarlo nel cuore: beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano.

ANCHE PER NOI: ECCE, FIAT !
Gesù aiuta in tal modo quella donna del Vangelo e tutti noi, a capire dove risieda la vera grandezza di sua Madre.  Chi infatti custodiva le parole di Dio più di Maria, della quale è detto due volte, dalla stessa Scrittura, che   custodiva tutte le parole nel suo cuore? (Lc 2, 19.51).
C’è un quarto fiat nella storia della Salvezza che sarà pronunciato ogni giorno fino alla fine del mondo, ed è il fiat della Chiesa e dei credenti che nel Padre Nostro diciamo a Dio, Fiat voluntas tua, Sia fatta la tua Volontà
Maria ha pronunciato il suo fiat con l’ottativo, con desiderio e gioia. Quante volte ripetiamo quelle parole in uno stato d’animo di mal celata rassegnazione, come chi, chinando la testa, dica a denti stretti, se proprio non si può farne a meno… ebbene si faccia la tua volontà.
San Michele aveva unito gioia ed Ecce venio: «Ecco la vostra bandiera e la parola d’ordine: marcerai in prima fila con la bandiera del Sacro Cuore, scandendo il grido Ecce venio di mio Figlio, e sarete la gioia e il sostegno della mia Chiesa » (M.S. 319-320)… Magnificat!

Enrico Frigerio,SCJ


Ho 9 anni, e scrivo al Papa

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Un giovane parrocchiano di Pibrac ha preso carta e penna per condividere il suo entusiasmo per san Michele … con Papa Benedetto XVI. Presentiamo alcuni stralci.

Mi chiamo Filippo. Ho 9 anni, sono di Buxtehude (in Germania) e da quattro anni abito con la mia famiglia a Tolosa, in Francia. Mia sorella maggiore, Sofia, è su una sedia a rotelle, c’è poi Camilla che ha 13 anni e Pietro di 7 anni. Mi dispiace tanto di non averti incontrato a Lourdes nel settembre 2008. Ecco il motivo di questa lettera: non lontano da Lourdes c’è Bétharram.
Lì viveva San Michele Garicoïts. É morto nel 1863. L’ho conosciuto grazie a p. Filippo, sacerdote della mia parro-cchia. Conosci san Michele? Ha fatto molte sciocchezze quando era giovane. Sua madre gli ha sempre parlato di un Dio severo, pronto a punire gli uomini. P. Filippo mi ha detto che in quell’epoca era una cosa normale.
All’età di 14 anni, Dio gli ha aperto il cuore. Non aveva più paura di Dio, ma lo amava con tutto il cuore e per tutta la vita ha avuto il solo desiderio di compiere la sua volontà. Quando ha imparato che Dio abita in cielo, scalava le montagne dei Pirenei per andare a trovarlo. Ci sono ancora tante cose da raccontare sul suo conto, ma quella più importante è questa: ha sempre detto Avanti sempre e Sii felice…
Da tre anni desidero diventare papa. So che bisogna prima diventare prete e poi vescovo […] Un vescovo deve lavorare molto e tu, come papa, ancora di più. Desidero diventare papa per parlare di Dio agli uomini, proprio come ha fatto san Michele Garicoïts. Ha aperto il cuore a molte persone. Per questo non riesco a capire come mai lo conoscano così in pochi …
Puoi dire qualcosa di San Michele?… Ci sono preti betharramiti in tutto il mondo. Ne conosco alcuni della Costa d’Avorio, perché fanno spesso visita alla nostra parrocchia. […] Ci sono anche uomini e donne che fanno parte di questa famiglia. Sai, a Bétharram, Maria  ha tratto in salvo una bambina dal torrente Gave. Oggi tutti vanno solo a Lourdes. Perfino tu! Quando sarò papa parlerò a tutti di Bétharram. Ma non sarà domani. Ti prego, quindi, di cominciare fin da ora … 


5 minuti con... PadreTidkham Jailertrit

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I 3 superiori regionali e gli 11 superiori delle Vicarìe si sono riuniti dal 22 aprile al 7 maggio nella nostra casa di Betlemme: una iniziativa del Consiglio generale per rinsaldare i legami, ravvivare lo spirito della nostra vocazione e mettere in atto la regionalizzazione. L’accoglienza della comunità del noviziato regionale e la vicinanza al Carmelo hanno favorito il clima di preghiera, di lavoro e di vita fraterna. Bilancio: due settimane ricche di risorse e di riflessione… questo verrà fatto conoscere a tutti i religiosi.

A 41 anni, padre Tidkham Jailertrit è il primo superiore della Bétharram in Thailandia, originario di questo paese. Da qui l’interesse per conoscere le sue impressioni circa la Sessione di Betlemme e i suoi sviluppi…

Nef - Che effetto fa ritrovarti per 15 giorni con tutti il superiori delle regioni e delle vicarie?
– Prima di lasciare la Thailandia, quando i miei confratelli mi chiesero se ero entusiasta all’idea di andare in Terra Santa, risposi: no, ci sono già stato. E quando mi chiesero se ero preoccupato all’idea delle riunioni, risposi ancora di no: innanzi tutto conoscevo tutti i partecipanti, eccetto due. Poi, nel caso ci fossero problemi, il rappresentante della Thailandia, quale sono, potrà passare la palla al suo superiore regionale! Più seriamente, io ringrazio per l’opportunità che mi è stata data di partecipare agli incontri dei superiori delle regioni e delle vicarìe a Betlemme. Ho imparato molto sulla nuova organizzazione e le missioni della Congregazione, ed ho sperimentato il carattere internazionale e interculturale di Bétharram. Per quanto molto diversi, siamo uniti, come in una famiglia. Io mi sono trovato bene durante tutti i giorni della sessione, nonostante la difficoltà delle lingue. Dopo tutto io sono giovane, ho ancora tempo per imparare…

Potresti presentarci brevemente la tua Regione e la tua Vicarìa?
– Ogni Regione ha i suoi lati caratteristici. Ogni Vicarìa ha la propria identità. La mia Vicarìa fa parte della Regione “Beata Miriam”, ed è composta dall’Inghilterra, dall’India e dalla Thailandia, tre Paesi in cui le auto viaggiano tenendo la sinistra. All’interno di questo gruppo la Vicarìa della Thailandia assomiglia a un bambino che sta imparando a camminare: siccome ha bisogno di tenere la mano dei suoi genitori, noi abbiamo bisogno di essere sostenuti e accompagnati.

Quali sfide dovete raccogliere, quali membri della Regione “Beata Miriam”?
– La nostra Regione si trova davanti a grandi sfide, che mettono in evidenza le nostre poche risorse, sia umane che economiche. Tutte le Vicarìe sono molto lontane tra di loro sia per le distanze sia per gli orari: per esempio, la diversità di fuso orario tra Birmingham e Bangkok è di sette ore. Nessuna delle tre Vicarìe possiede opere importanti, quali potrebbero essere i collegi. In India, quasi tutti i religiosi sono nella formazione, o come  studenti o come formatori. In Thailandia, le entrate  del ministero parrocchiale, non coprono certo le spese per i bisogni dei seminaristi. Bétharram, in Inghilterra, ha varie parrocchie e invia dei fondi in India grazie alle mostre missionarie ed ai proventi finanziari dalla vendita del collegio di Droitwitch. Ma quanto potrà sostenere questo ritmo?... E poi, la formazione è prioritaria: in Thailandia, molti giovani (Juniors) bussano alla porta della Congregazione, ma siamo carenti di formatori. La penuria di formatori si fa sentire anche in India.

Dopo questa sessione, vedi con più chiarezza il tuo ruolo di Superiore di Vicarìa?
– Nei prossimi giorni prenderò in considerazione tutte queste sfide con i componenti del mio consiglio; alla fine della riunione prepareremo l’Assemblea di Vicarìa prevista per ottobre 2009. Adesso ho più chiaro il servizio che mi è stato chiesto, perché so che non sarò solo nel mio lavoro. Per il futuro sono pieno di speranza; la missione di Bétharram nel mondo continua a crescere.

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IN MEMORIAM Italia

+ P. Angelo Petrelli (1927-2009)

P. Angelo era nato a Talamona in provincia di Sondrio il 25 maggio 1927. Entrato a undici anni nel nostro Seminario, divenne religioso betharramita il 2 agosto 1944, e sacerdote il 25 giugno 1950, l’anno santo. Grazie alla sua licenza in Teologia, insegnò per diversi anni nel Seminario maggiore ad Albiate Brianza, finché  nel 1969 entrò nella Segreteria di Stato del Vaticano con il compito di minutante. Un lavoro delicato, discreto ma prezioso, che lui svolse con competenza e meticolosità per 13 anni, fino al 1982, quando dai superiori venne chiamato in Terra Santa per svolgere il suo ministero prima a Betlemme e poi a Nazareth, come cappellano dei Fatebenefratelli, presso il loro ospedale. P. Angelo per salute fu richiamato a Roma nel 2003. Poi pian piano cominciò a declinare.
A causa dei disturbi mentali che si facevano più frequenti, il 28 maggio 2005 fu portato alla residenza sanitaria assistita di Solbiate e divenne compagno di stanza di un compagno d’ordinazione, P. Angelo Pessina. I miei due Angeli, P. Angelo Pessina e P. Angelo Petrelli, mi furono molto cari perché l’uno, P. Pessina, fu il mio superiore e maestro di noviziato a Monteporzio (Roma) nel 1959-1960, e l’altro, P. Petrelli, fu mio professore di teologia e mio superiore ad Albiate Brianza negli anni 60. Come tanti altri confratelli ho usufruito della sua competenza in campo teologico, in un tempo particolarmente delicato per la Chiesa e per la società. Molto intelligente ma anche un po’ pignolo, era preciso in tutto, sia nelle cose di studio come nelle cose pratiche.
Come capellano di Solbiate, ho visto il declino intellettuale e fisico di P. Angelo.  Nei primi tempi era ancora abbastanza brillante: concelebrava con me e P. Pessina alla santa Messa feriale e festiva, leggeva anche il Vangelo e una parte del Canone della Messa, partecipava volentieri agli incontri formativi e ricreativi.  Insieme a P. Pessina facevamo lunghe passeggiate lungo il parco. Si pregava e si cantava insieme, soprattutto la sera prima di cena nella loro stanza. L’ultimo canto che ha cantato con noi è stato l’inno al nostro Fondatore san Michele Garicoits: “Ove nel bel ciel tu di gloria splendi, santo Michel in ciel, in ciel; facci pervenir in ciel, in ciel, te sempre a benedir in ciel, in ciel”. Ora lui è arrivato in cielo…
Nei primi tempi non era facile accudirlo, ma poi col tempo si lasciò fare tutto. Anzi era capace di sorridere e benediceva anche gli operatori sanitari. Da sei mesi a questa parte, non diceva più una parola, ma ti guardava con occhi resi più grandi dalla forte magrezza. Negli ultimi giorni mentre lo assistevo, pregavo e cantavo sottovoce; avevo l’impressione che ascoltasse e capisse perché mi guardava in modo diverso dal solito. Si è spento in modo sereno.
P. Angelo era molto devoto alla Madonna e recitò il rosario, fino a quando ne fu capace. Sulla rivista “La Carriola”del seminario di Albiate dell’ottobre 1949, quand’era ancora chierico, aveva scritto questa preghiera: “Tante volte ti abbiamo chiamata “causa della nostra gioia” o Maria, e forse mai abbiamo pensato alla profonda verità di queste parole!. Gioia è la grazia, tristezza è il peccato. E l’umanità era nella tristezza, perché era nel peccato… Venne MARIA e per lei il LIBERATORE. La grazia sconfisse il peccato, la gioia trionfò sulla tristezza! E la grazia ci venne da Gesù, e Gesù ci venne da Maria.(…)  Ma la grazia è una riconquista, un dono, e ci viene data da Maria, come Gesù, tutte le grazie. O Maria, tu sei la causa della nostra gioia!”
P. Angelo ha vissuto la sua Pasqua  il 12 Aprile 2009 mentre noi qui celebravamo la Risurrezione. Ed è stato giusto così. Perché P. Angelo negli ultimi tempi, aveva percorso la sua via crucis in perfetta unione con il Cristo sofferente. Era davvero ridotto a pelle e ossa. Eppure il suo spirito lottava ancora. Guardandolo e assistendolo in questi ultimi giorni mi veniva in mente il povero Giobbe sul suo letto di dolore. Un Giobbe che, malgrado un senso di ribellione alla sofferenza, alla fine si rivolgeva a Dio con questa professione di fede: “Io so che il mio Redentore è vivo… Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, vedrò Dio…” P. Angelo è vissuto per il Signore, si è consacrato al Signore, si è spento con il Signore, ed ora è giusto che contempli nell’eternità il suo Amore.



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1929-2009

BÉTHARRAM IN COSTA D'AVORIO

Sono oramai quasi 50 anni che la nostra Congregazione ha mosso i suoi primi passi in Costa d’Avorio. Il racconto di questa avventura ci accompagna lungo questo anno giubilare. Lo dobbiamo a P. Laurent Bacho, Consigliere generale e formatore ad Abidjan.

 5. UNA COMUNITÀ ATTRAENTE

La giovane comunità betharramita si diffonde e attira: gli scolastici Beñat Oyhénart nel 1969 e Laurent Bacho nel 1970 trovano a Katiola, per i due anni del loro servizio militare, un campo di apostolato interessante. D’altro canto, la Provincia di Francia richiama P. Ségure nel 1969 e P. Verley nel 1970: quest’ultimo diventa responsabile dell’animazione vocazionale. P. Félix Hialé lascia allora il collegio di Casablanca per diventare direttore a Katiola; in ottobre, ai 71 seminaristi del seminario minore di Katiola, si aggiungono i 21 di Bouaké. Poco dopo, la comunità riceve la visita di P. Giovanni Trameri, nuovo superiore generale: «Mons Durrheimer [mi ha espresso] la sua soddisfazione per il buon andamento del seminario ... sono contento che l’apostolato vada oltre la struttura del seminario … La percentuale di coloro che arriveranno al sacerdozio è bassa, ma si saranno formati dei buoni cristiani che costituiranno la Chiesa di domani».
Il 25 marzo 1971, per la prima volta un betharramita emette i voti perpetui in Costa d’Avorio: Fr Jean-Claude Vignau, circondato da numerosi amici delle parrocchie dove svolge il suo servizio come catechista, falegname, meccanico, o elettricista. La comunità religiosa è formata da quattro preti, un religioso fratello e due corsisti. Nei mesi seguenti ci sarà la partenza di P. Minaberry, colpito da epatite, poi quella di P. Suberbielle, per un corso di aggiornamento. All’inizio dell’anno scolastico 1972, la comunità si ritrova con tre padri (PP. Hialé, Monnot e Laban). Alla fine del 1973, la malattia costringe P. Hialé a rientrare, ed è sostituito da P. Ségur;  P. Laban rientra in Francia; quanto a Fr Jean-Claude, rientra dalla sua formazione professionale con uno scolastico italiano, Tobia Sosio, ordinato diacono a Katiola (avverrà lo stesso per Beñat Oyhénart in 1975 e Laurent Bacho in 1976).
Nell’ottobre 1974, la Congregazione suggerisce di diversificare i ministeri e si procede ad alcuni cambiamenti: P. Monnot è nominato vicario a Niakara, con la speranza che altri betharramiti si uniranno a lui; Beñat Oyhénart ritorna al seminario insieme al novello sacerdote diocesano Ernest Dahiri – la promessa del vescovo si compie! Nel corso dell’anno, uno stato di grande spossatezza obbliga P. Monnot a rientrare. Laurent Bacho ritorna al seminario nel settembre 1975, nel periodo in cui il nuovo Generale, P. Grech, nomina P. Jean Matéo Provinciale di Francia: buona notizia per la Costa d’Avorio di cui è stato il fondatore durante il suo 1° mandato.
Nel gennaio 1976, in occasione dell’ordinazione diaconale di Fr Laurent Bacho a Katiola, P.Matéo si rivolge a lui in questi termini: «Se insegni a un uomo e a un popolo a conoscere il Nome di Colui dal quale è amato personalmente, se gli insegni a scoprire fino a che punto è amato, se gli insegni che quel Nome è quello di Gesù, il Figlio di Dio venuto da noi e tra noi… Allora dai modo a quest’uomo e a questo popolo di sperimentare la gioia, per sempre, la vera gioia, di dissetarsi alla sorgente della Vita, la vera Vita». Riflessioni ancora di grande attualità.
Nel corso della sua visita, P. Matéo è sensibile alle difficili condizioni di vita dei collegiali. D’accordo con il Vescovo, fa riattivare un centro di accoglienza per giovani, presso la cattedrale, che per lungo tempo sarà luogo di incontro e di catechesi. Una data importante per la comunità: l’ordinazione presbiterale di Fr Beñat e Fr Laurent a Ibarre, villaggio natale di S. Michele Garicoïts, il 1° settembre 1976.

Laurent Bacho,SCJ

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Nef è il bollettino ufficiale della Congregazione del Sacro Cuore di Gesù di Betharram.
La redazione è a cura del Consiglio Generale.

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