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Thailandia Assemblea 1
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28/02/2009

Notizie in famiglia - 14 marzo 2009

Sommario

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La parola del Padre Generale

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Il Custode dell'Amore

Leggendo le lettere del Padre Etchecopar ho trovato alcune espressioni che mi hanno fatto riflettere: “Amore all'Amore Crocifisso! Amore alla Madre dell'Amore! Amore al Custode dell'Amore!” (Corr. 294). “Può darsi che stia per accadere l’evento di quella nuova separazione, il momento nel quale la nostra cara Susanna vedrà la fine delle sue lotte e sofferenze, e si troverà faccia a faccia col Nostro Gesù, il nostro Amore, il nostro Infinito Tesoro, la nostra Felicità senz’ombra e senza fine!” (Corr. 356)
Bossuet, autore che San Michele leggeva molto, dice così: “Tra tutte le vocazioni, ne segnalo due, nelle Scritture, che sembrano completamente opposte; la prima è quella degli apostoli, la seconda quella di Giuseppe”. Gesù si rivela agli apostoli, Gesù si rivela a Giuseppe, ma con intenzioni ben contrarie. Si rivela agli apostoli per annunciarlo a tutto il mondo; si rivela a Giuseppe, per farlo tacere e nasconderlo. Gli apostoli sono luci per mostrare Gesù al mondo; Giuseppe è un velo, per coprirlo e sotto quel velo misterioso si nasconde la verginità di Maria e la grandezza del Salvatore delle anime. (Bossuet: II panegirico di S. Giuseppe).
San Giuseppe rischia la sua vita per proteggere quella di Maria e quella di Gesù, l'Amore. La vulnerabilità dell'Amore! La rischiò quando cambiò parere e, invece di abbandonare Maria, incinta per opera dello Spirito Santo (Mt 1, 19-24), decise di accoglierla in casa sua. La rischiò quando prese il Bambino e sua Madre e li portò in Egitto perché Erode cercava il Bambino per ucciderlo (Mt 2, 13-15). La rischiò quando prese il Bambino e sua Madre e si stabilì a Nazareth (Mt 2, 21 – 23).
Come custode, San Giuseppe, molte volte avrà osservato con attenzione Gesù che cresceva in statura, saggezza, grazia ed anche nell'Amore. In quell'amore che conosceva per esperienza dal seno della Trinità. In quello stesso amore che avrà dovuto imparare a vivere facendosi uomo: l'Amore incarnato. Come custode, San Giuseppe si rendeva conto di quanto Gesù fosse attento e sensibile alle testimonianze umili e nascoste della vita in comune nella casa di Nazareth:
Il rispetto,l’ affetto, la delicatezza e la maturità con cui Giuseppe trattava Maria. Quanto Giuseppe amava Maria! Avrà imparato da Giuseppe come trattare le donne: sua Madre Maria, quelle che lo seguivano, servendolo coi loro beni, Marta, Maria, Maria Maddalena, la vedova di Naim, quella donna peccatrice che l'unse con profumo e della quale disse: “I suoi numerosi peccati gli sono stati perdonati perché ha dimostrato molto amore” (Lc 7, 47).
Osservando il suo "custode", Gesù avrà imparato a dare la precedenza, a servirsi con la porzione più piccola, a non imporre le proprie opinioni, a rinunciare a se stesso: a conoscere, purificare ed orientare le passioni in funzione dell'amore di donazione.
Nella casa di Nazareth, Gesù avrà imparato ad accettare le circostanze favorevoli ed avverse, la croce di ogni giorno: i problemi di convivenza di Nazareth, la mancanza di lavoro a volte, il ritardo nel pagamento di qualche lavoro eseguito e la scarsità di cibo in quei giorni. Da Giuseppe e Maria avrà imparato anche a meravigliarsi (Lc 2,18; 2,33; 2,48) e a lodare il Padre per le cose buone: quando arrivarono a Nazareth al ritorno dall'Egitto, quando tornarono a casa dopo avere trovato Gesù tra i dottori.
Da Maria e Giuseppe avrà imparato ad interiorizzare le esperienze ed a scoprire in esse la volontà e l'azione di suo Padre che vede nel segreto (Mt 6, 4 e 6 e 18)
Gesù avrà imparato da Giuseppe ad aiutare gli altri, a dire una parola di conforto ad un cliente; avrà imparato a servire. Sicuramente  da bambino, alla semplice richiesta di San  Giuseppe, sarà corso a prendere acqua ed avrà lavato i piedi a qualche pellegrino davanti alla sua porta.
Da Giuseppe e da Maria avrà imparato Gesù a dar fiducia; man mano che cresceva, vedeva che San Giuseppe gli affidava lavori più difficili nell'officina e l'aiutava a rifinirli bene. Ammirava la fiducia reciproca di Maria e Giuseppe!
Avrà osservato San Giuseppe rinunciare ad aver ragione, accettare di perdere per amore di Maria, per mantenere l'unione di coppia e della famiglia. Quale valorizzazione delle persone e che apprendistato dell'amore e del perdono! Da Giuseppe avrà imparato la responsabilità e la gioia del lavoro ben fatto.
Da Giuseppe e da Maria avrà imparato che le ragioni della condotta quotidiana non sono i capricci personali. Molte volte avrà osservato come Giuseppe pensa solo al bene di Maria e di Gesù, rimanendo in secondo piano e senza capire bene. Quegli atteggiamenti di Giuseppe l'avranno aiutato ad elaborare quella frase che ripete sempre nel Vangelo e che i quattro evangelisti ci riferiscono: Colui che perde la vita la troverà, (Mc 8,35 e passi paralleli).
Quale non sarà stato il dolore e l'angoscia il giorno in cui il Custode perde l'Amore! Che delusione e che umiliazione! Che insoddisfazione per avere "mancato "al suo dovere e alla sua vocazione!!  “Tuo padre ed io ti cercavamo angosciati!” (Lc 2, 48). È il paradosso dell'amore: colui che aveva dimostrato di essere capace di rischiare tutto per proteggere Gesù, l'Amore, sperimenta la contraddizione di averlo smarrito per colpa propria. La risposta manifesta la vera missione di Gesù che San Giuseppe aveva protetto durante questi anni: “Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2, 49). Fu come se si alzasse il velo che copriva il mistero e che da ora deve rimanere allo scoperto. È la pedagogia di Dio. Giuseppe, soffrendo, continua ad entrare nel mistero dell'amore del Padre; “Gesù, benché fosse Figlio di Dio, imparò per mezzo delle proprie sofferenze ciò che significa ubbidire” (Eb 5, 8). Colui che aveva sperimentato l'Amore del Padre da tutta l'eternità, deve imparare a vivere quello stesso amore come uomo e tra gli uomini per mezzo della sofferenza e del superamento; l’Amore si fa carne e san Giuseppe, il Custode dell'Amore, assicura il suo apprendistato in mezzo agli uomini.

Gaspar Fernandez,SCJ 


nef-etchecopar.jpgPadre Augusto Etchécopar scrive... a suo fratello Evaristo, 22 marzo 1861

Siamo in un momento in cui si vuole ad ogni costo fare a meno di Dio e della sua Chiesa, e là dove l’uomo vuole prendere il suo posto: siamo ritornati al tempo del paganesimo, al Dio Cesare, al Dio Carne. Beati coloro che saranno saldi nella fede, coloro che saranno ancorati alla parola di Nostro Signore Gesù Cristo, che saranno gioiosi nella speranza e pazienti nella tribolazione. Per il resto, qualunque cosa capiti: Avanti sempre! E poi capiterà quello che il buon Dio vorrà: nella pace mi corico e mi addormento (S. 4,9). Con questo voglio dirti che sono contento! contento! Al servizio del mio Dio, contento nella calma, contento nell’angoscia, contento nel successo, contento nell’insuccesso, contento nel godere il presente e le incertezze del domani. Perché? Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla (S. 23,1). Sono sotto il potere di Colui al quale appartiene il domani e l’eternità (…). Chi mi
separerà dal suo amore? E che cosa avrei da temere, e dove potrei non sentirmi bene?


Come ravvivare il nostro spirito apostolico e missionario ?

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Non potrò rinnovare il mio spirito apostolico e missionario senza un rinnovamento spirituale.
Devo vivere i valori spirituali ed evangelici per farli vivere agli altri. L’apostolato non è un’azione sociale e nemmeno una propaganda. È, innanzitutto, l’irradiazione di ciò che si è e si vive. Ogni apostolo deve, dunque, fare uno sforzo di interiorità e di spiritualità.

Oggi c’è un grande desiderio di autenticità e di verità.
La nostra testimonianza apostolica dev’essere fondata nella nostra preghiera vera, nella realtà della nostra vita evangelica e fraterna. Bisogna dar prova, a coloro che ci circondano, che la preghiera, il Vangelo, la fraternità sono valori sui quali ho potuto costruire la mia vita. Ma non è facile essere sempre “vero”.

Non dimentichiamoci di questo testo del Concilio Vaticano II:
“Vi sono nella Chiesa moltissimi istituti, clericali o laicali, dediti alle varie opere di apostolato. Perciò tutta la vita religiosa dei membri sia compenetrata di spirito apostolico, e tutta l'azione apostolica sia animata da spirito religioso” (PC 8).

Tutto l’apostolato necessita di una formazione.
Non si improvvisa. Bisogna interessarsi alla vita della Chiesa in generale e alla vita della mia Chiesa locale. Bisogna avere uno spirito missionario, aperto alla vita della Chiesa e ai problemi della gente che mi circonda.

Ma niente può sostituire l’immenso amore che deve animarci.
In un certo senso, per essere apostolo, è sufficiente amare. Ma non ci si può stancare di amare. L’amore può spegnersi.

Le quattro grandi fedeltà che devono animare la nostra vita apostolica:
fedeltà a Cristo e al suo Vangelo
fedeltà alla Chiesa e alla sua missione nel mondo
fedeltà all’uomo del nostro tempo
fedeltà al carisma del fondatore

Conclusione: “Per riuscire a rimanere in piedi in mezzo agli uomini, bisogna saper inginocchiarsi davanti a Dio” (Padre Jacques Loew).

Pierre Grech,SCJ


Da un progetto solidale...al'altro

Anche quest'anno, durante la Quaresima, il Consiglio generale attira l'attenzione delle comunità e delle fraternità su un progetto missionario specifico:
• per essere più famiglia apostolica tra religiosi e laici betharramiti;
• per conoscere meglio i volti che  assume la missione dei figli di San Michele;
• per rafforzare la nostra comunione di preghiera e di condivisione, di pensiero e di azione.
Nel 2008, quasi 60.000 euro sono stati raccolti per dare ai futuri religiosi di Tailandia le risorse per permettere la loro formazione. Oggi, senza trascurare i legami già costruiti, l’attenzione è puntata su un altro dei 14 paesi in cui Bétharram sta operando.

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SAMPRAN 2008

Tra il primo carico di sterramento, nel marzo 2007, e la fine della costruzione, nel luglio 2008, è trascorso più di un anno. Il responsabile dei lavori ha consegnato ufficialmente la costruzione alla comunità di Bétharram perché siano accolti i nostri giovani fratelli. Avendo ora l’intera responsabilità del nuovo Seminario, lo dedichiamo al nostro fondatore, San Michele, e lo chiamiamo Ban Garicoïts*.
Abbiamo piantato molti alberi e seminato diversi fiori: cresceranno e ci forniranno a poco a poco ombra e frutti. Oltre che essere impegnati nelle nostre attività quotidiane – la preghiera, gli studi, i servizi comunitari, le esperienze pastorali e lo sport – desideriamo crescere nella vita di Dio e impegnarci nella formazione dei futuri leaders della sua chiesa, come religiosi e come preti di Bétharram.
Ora, desideriamo esprimere la nostra viva gratitudine a tutti i benefattori, a tutti voi che mai vi siete stancati di sostenerci in tutti i modi. Ogni giorno siete presenti nella nostra preghiera, in modo particolare il primo sabato del mese, quando celebriamo la Santa Messa secondo le vostre intenzioni.
Grazie di sostenerci anche con la vostra preghiera: affinché siamo fedeli a Colui che ci chiama ad essere strumenti docili e disponibili della sua volontà.
Grazie mille. Khaub khun kraab!

COSTA D'AVORIO 2009

Bétharram è presente in Costa d’Avorio dal 1959. Da oltre 50 anni i nostri fratelli «si dedicano totalmente a portare gioia agli altri», seguendo il desiderio del nostro Fondatore san Michele Garicoïts. La Provincia di Francia ha contribuito generosamente ad assicurare questa missione dei nostri fratelli in questo paese dell’Africa. Oggi, con la ristrutturazione della Congregazione in regioni e vicarie, la partecipazione deve essere maggiore: la Congregazione intera si deve impegnare perché l’apostolato dei nostri fratelli sia più significativo. La Congregazione ha bisogno di trovare nuovi partner che accettino liberamente di offrire un aiuto materiale e finanziario.
Oltre alla formazione dei giovani alla vita religiosa che necessita di un grande investimento finanziario, ci vengono sottoposti tre progetti concreti:

  • a Dabakala, la comunità mette a disposizione degli studenti un ambiente che ospita 36 collegiali; la costruzione ha bisogno di essere ristrutturata. Costo: 5.500 €.
  • Nella parrocchia san Bernardo di Adiapodoumé, la comunità vorrebbe creare una sala di lettura e una biblioteca. A casa loro gli studenti non sempre hanno l’elettricità, perché sono in un quartiere molto popolare; per questo essi non possono fare un lavoro personale serio. Costo: 8.330 €.
  • Nella comunità di Adiapodoumé è in progetto un’auto-officina e un centro di formazione per meccanici per auto. L’obiettivo è di assicurare delle entrate per la casa di formazione e dare una formazione adeguata agli apprendisti che spesso vengono sfruttati, e che offrono una mano d’opera a buon mercato nelle officine esistenti. Costo: 140.000 €; la realizzazione è prevista in quattro anni.

Questi nuovi progetti servono ad ampliare l’esistente o a continuare ciò che è già stato iniziato:
- la fattoria pedagogica «Tshanfeto», creata nel 2000 e diretta da un religioso-sacerdote, ingegnere agricolo, la cui formazione fu sostenuta dalla Provincia di Francia. Attualmente è in formazione il 9° corso.
- le piantagioni agricole di caucciù: attualmente ci sono 18 ha destinati alla produzione; l’investimento li porterebbe a 30 ha.
- la creazione di una piantagione di jatropha (pianta per biocarburante) di 10 ha., nei pressi di Dabakala.

I nostri fratelli perseguono un duplice obiettivo tra tutte queste attività o progetti:
1) la formazione umana e professionale dei giovani in un paese che ha bisogno di agricoltori meglio preparati e di operai qualificati; questa formazione è collegata con la proposta di Fede. Essi sono persuasi che il legame tra la salvezza di Gesù Cristo e la promozione umana è indispensabile;
2) un’autosufficienza materiale e finanziaria delle comunità betharramite. I religiosi sanno che tendere la mano è una tappa necessaria per arrivare a questo scopo, anche se al presente si sentono a disagio.
La nostra Congregazione intera, collegata con tutti i nostri amici, desidera incoraggiare, sostenere e aiutare la Vicaria della Costa d’Avorio che quest’anno festeggia il suo 50° anniversario di presenza.

PER LE DONAZIONI:
Conto corrente postale C/C num. 19526649
Intestato a Prov. It. Preti del Sacro Cuore
Centro di Animazione missionaria, via A. Manzoni, 8 - 2031 Albavilla (CO)
Causale: "progetto solidale"

L'amore fraterno in communità

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Da Betlemme, un novizio della Costa d’Avorio ci invia una riflessione personale con una risonanza universale.

Un bel giorno constatai che gli altri non erano come me, e mi dispiacque: se tutti pensassero e amassero come me, il nostro mondo sarebbe migliore. Non potendo sopportare questa gente, decisi di chiudermi nel mio mondo. Dal mio osservatorio lanciavo sguardi pieni di compassione verso coloro che mi rifiutavano, quelli che non pensavano e non amavano come me. Nella mia desolazione quindi, trovavo il mio mondo sereno e persino adorabile. Potevo fare ciò che volevo, senza paura e senza essere disturbato…
Stranamente, più tardi sentii la necessità di avvicinarmi a coloro dai quali prima scappavo. In loro assenza, i buoni ricordi che avevo di essi mi fecero capire che ero io a rifiutare loro. Dal mio nascondiglio, fui interpellato dal silenzio; dolcemente la sua voce spezzò il mio orgoglio e mi insegnò ad amarli in un altro modo. Appena uscito dal mio guscio, vidi che il mio modo di amare era più un rifugio che altro. Rifiutando di assumere il male che mi rodeva, io lo proiettavo verso gli altri. In questo modo, io facevo loro indossare e sopportare la mia maschera; e facevo soffrire i miei fratelli.
Dal momento in cui quel silenzio cominciò a regnare in me, compresi che, per costruire la vita fraterna in comunità, non dovevo mettermi in primo piano né con le mie idee, né con la forza, ma piuttosto con l’aiuto della Santissima Trinità che è la sorgente e il modello. Quel silenzio mi insegnò “l’unità del comandamento dell’amore di Dio e l’amore del prossimo” (VC 5).
Compresi che per vivere con gli altri, dovevo anch’io passare attraverso una conversione interiore, prima di sperare esclusivamente da essi dei cambiamenti che mi facevano comodo. Assunsi il fermo proposito di rimanere sempre, per i miei fratelli, un dono di Dio, persino durante i nostri momenti di tensione. Per questo, mi preoccuperò della comunicazione tra noi: quando questa manca “ognuno non riconosce ciò che vive l’altro, il fratello diventa un estraneo, e si creano situazioni di vera solitudine” (VFC 32).

Armel Daly, novice SCJ


5 minuti con... Padre Paco (Francisco Daleoso)

P. Francisco Daleoso,SCJ

L’anno 2009 è iniziato sotto il segno del cambiamento per P. Francisco Daleoso, comunemente chiamato Paco. A più di 1000 km da Buenos Aires e dalla sua amata basilica del Sacro Cuore, fa parte ora di una comunità in un settore rurale povero. Questa nuova avventura, umana e pastorale, merita sicuramente un incontro di 5 minuti.

Nef - In breve, puoi ripercorrere le diverse tappe del tuo ministero?
- Ho iniziato come direttore spirituale nell’Apostolicato di Barracas. Che abbiano visto in me un faccia da santo? … a 25 anni …! Era lo stile di Bétharram di quel tempo, mi diedero l’incarico del corso preparatorio di 16 ore settimanali (lingua spagnola, educazione civica in 1° e in 2°). Dopo un mese mi iscrissi alla facoltà di lettere, che terminai nel 1972, anno in cui iniziai a insegnare catechesi nel collegio San José e Barracas, pur vivendo ad Adrogué con P. Bruno Ierullo. In breve: Professore dal 1965 al 1980: lettere, educazione civica, attività pratiche, catechesi. Formatore: maestro dei novizi per 4 mesi nel 1977, maestro degli scolastici del 1980 al 1985 e maestro dei novizi nel 1985 ad Adrogué. Rettore al Collegio San José, dal 1986 al 1993. In parrocchia: 1993 a Santiago del Estero; dal 1994 al 1995 ad Atlantida, Uruguay; dal 1996 al 2001 a Santiago del Estero; dal 2001 al 2009 a Barracas. Campo volante missionario dal 2009 fino a che il buon Dio vorrà. Per sempre betharramita!

Che cosa ti ha segnato maggiormente nella tua vita di religioso?
- L’obbedienza. Non sarà molto edificante dire così, ma molte volte ho obbedito perché non ho avuto il coraggio di dire di no, riconoscendo di non essere preparato in modo sufficiente… Tuttavia, ho sempre sentito che il carisma betharramita era quello giusto per me. E, pur con tanti errori, ho sempre cercato di viverlo seriamente.

A 69 anni lasci una “Istituzione” secolare per una parrocchia missionaria. Perché questo cambiamento? Come lo vivi?
- Lascio il centenario “casermone” di Barracas – invecchiato e deteriorato – che per 100 anni ha offerto riparo sicuro a tante generazioni di betharramiti, come a me fino ad ora, e vado a formare una comunità betharramita itinerante. Un passo pasquale!: dalle vecchie strutture nascono nuove forme di Vita Religiosa. Iniziamo il servizio a Nuova Speranza solo temporaneamente. Siamo una comunità missionaria itinerante, un vero camp volant, disposti ad andare dove ci chiamano i superiori e i vescovi...
La realtà di Nueva Esperanza, dal punto di vista sociale e ecclesiale, in cosa consiste esattamente? - È una zona di circa 20.000 abitanti dispersi su 7330 Km. quadrati. C’è molta sete di Dio tra questi poveri, animati da una forte religiosità, vicina alla superstizione, con gravi problemi sociali causati dall’abuso del potere politico: possesso della terra, sfruttamento indiscriminato di grandi estensioni, violenti conflitti tra proprietari che si contendono i confini dei loro poderi oggi coltivati a soia.

Sei stato ordinato diacono il 14 maggio 1964, 45 anni fa. Le dimensioni diaconali di servizio ai poveri e di annuncio della Parola hanno qui una particolare risonanza?
- Vogliamo essere un segno di Gesù che vive la Comunione: innanzitutto tra noi religiosi e, a partire da questo cammino di comunione, realizzato tra noi ogni giorno, camminare in comunione con il Popolo di Dio affidatoci dalla Chiesa tramite il vescovo locale. Questa comunione, vissuta nella semplicità delle nostre possibilità umane, è il segno che Gesù si rende presente per mezzo nostro tra i poveri ancora una volta, e ci conferisce l’autorità per proclamare il suo vangelo di salvezza.
Quali sono le principali sfide per la vita comunitaria e per l’evangelizzazione di questo territorio? – Essere fedeli nel cammino di comunione, definendo momenti – personali e comunitari – di unione con il Maestro, di unione tra noi per la vita comunitaria, di unione con coloro con i quali condividiamo la vita, come vicini, come fratelli nella fede. Questa Comunione vissuta così, ci aiuta ad assumere i problemi degli abitanti di questa zona tanto segnata dall’ingiustizia, dalla violenza, dalle umiliazioni. Ci permette di aiutarli e di annunciare loro la salvezza di Gesù.  Non conosco un altro Vangelo.

In che modo il carisma di Bétharram costituisce un’opportunità e una forza per una comunità in missione?     
- Nella misura in cui il nostro carisma vede nell’Incarnazione di Gesù, la sua essenza. Nella misura in cui il betharramita ha lo stesso programma del Cuore di Gesù. Nella misura in cui molti betharramiti – guidati da Lui – seminarono comunità ecclesiali e opere feconde che perdurano ancora, ovunque andarono, dopo aver abbandonato la propria famiglia, la propria patria, i tanto amati Pirenei, per vivere contenti come missionari in America, Cina, Africa, India … uomini di fede, umili, rudi…

Tra i betharramiti d’Argentina con “tante istituzioni centenarie” cosa significa questa opzione comunitaria tra i poveri?
– Significa tornare alle nostre sorgenti: Bétharram sotto la protezione di san Michele nacque come una Comunità al servizio delle missioni popolari, dell’Educazione umana e cristiana, segnata da una forte vita spirituale, un grande senso dell’obbedienza, una disponibilità indiscutibile ai vescovi, alla Chiesa. Noi vediamo che i segni della Vita Religiosa, così come l’abbiamo vissuta noi che abbiamo già qualche anno, sono caduti per sempre, nella Congregazione e nella Chiesa.Oggi ri-fondare Bétharram significa andare avanti camminando in comunità con una luce imperitura – contemplata da P. Garicoits – dell’Eccomi di Gesù, che aprì la breccia con il suo stesso corpo. È questo il nostro programma.

Nueva Esperanza 2009



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1929-2009

BÉTHARRAM IN COSTA D'AVORIO

Sono oramai quasi 50 anni che la nostra Congregazione ha mosso i suoi primi passi in Costa d’Avorio. Il racconto di questa avventura ci accompagna lungo questo anno giubilare. Lo dobbiamo a P. Laurent Bacho, Consigliere generale e formatore ad Abidjan.

 3. IL TRASFERIMENTO

Nel febbraio 1964, una tappa importante della nostra presenza a Ferkssédougou, c’ è la prima visita del Superiore Generale, Padre Joseph Mirande. E’ per quell’occasione che si celebra il centenario della morte di San Michele; il visitatore ha portato con sé una statua di San Michele che custodiamo con cura a Dabakala. Rimane edificato da questa nuova fondazione, lui che era piuttosto restio a lasciarsi andare in encomi: «Nessuna difficoltà ferma i nostri padri, le affrontano con la più grande semplicità, e questo è tipico del missionario e del betharramita. E betharramita è anche l’opera, per il fatto che non è una nostra opera… I nostri confratelli vi si dedicano totalmente, ma per conto della missione, del Vescovo, come ausiliari quindi, come strumenti, secondo l’espressione così cara a san Michele».
Nel giugno 1965, Padre Prévost è costretto a lasciare la Costa d’Avorio per ragioni di salute; sarà sostituito da Padre Gabriel Verley. Il 1° settembre 1965, grande scompiglio al Corso Normale; tre Figlie della Croce, accompagnate dalla loro Superiora Generale, vengono a pranzare con noi a mezzogiorno. Vengono per fondare un collegio cattolico per ragazze a Korhogo, a 50 km da Ferké. Inutile dire che Bétharram ha sussurrato all’orecchio di Mons Durrheimer che questa congregazione cercava di rientrare in Africa dopo essere soggiornata, a partire 1954, nel Congo Belga per soli 7 anni, (1954-1961) a causa di problemi politici. Dieci giorni dopo, arriva il nuovo superiore, Padre Verley. Una comunità di 6 membri; di fronte alla mancanza di insegnanti al seminario minore di Katiola, P. Ségure, a partire dalla festa di Ognissanti, dovrà recarsi al seminario minore di Katiola per svolgervi l’attività di insegnante di matematica, pur rimanendo membro della comunità di Ferké.
Nel Natale 1965, è la volta della visita di P. Brunot, provinciale che ha sostituito P. Matéo. Abituato alla Terra Santa, è molto contento di festeggiare Betlemme a Ferké: «All’aperto, davanti alla chiesa, preparo i fedeli alla celebrazione della notte con l’aiuto di proiezioni della terra di Gesù. A mezzanotte canto la messa solenne, assistito dai Padri Verley e Ségure. Una chiesa gremitissima e una calma impressionante». In occasione di questa visita, Mons Durrheimer confida al Padre Provinciale una preoccupazione pastorale. Vorrebbe aprire nuove missioni (parro-cchie) nella brousse con i Padri missionari professori al seminario che non ci si trovano molto a loro agio; vorrebbe mandare il superiore, l’abbé Jean Marie Kélétigui, a proseguire gli studi (questi gli succederà nel 1977). Il vescovo ritiene che Bétharram è ben preparato per assumere la responsabilità del seminario minore; il corso normale sarà assunto dai Chierici di San Viatore, trasformato in collegio «Carlo Lwanga».
Nel settembre 1966, la comunità lascia Ferké con nostalgia : «Ferké ci ha accolto per 7 anni nel suo caldo torrido ma anche in un’atmosfera di amicizia e di vita religiosa indimenticabile, nota uno dei Padri». Avevano dato il meglio di loro stessi in questo corso normale San Michele che avevano eretto con tanto entusiasmo. Ma vivono questo trasferimento pensando all’eredità spirituale del Fondatore, eredità  che sono chiamati ad arricchire: «Oh! Se si potesse riunire una società di preti aventi come programma il programma stesso del Sacro Cuore di Gesù … Questi preti sarebbero un vero campo volante di soldati scelti, pronti a correre, al primo segnale dei loro capi, ovunque siano chiamati … ».
I padri Verley e Suberbielle ritrovano la presenza missionaria in un seminario, come quello che avevano conosciuto a Beit Jala, ma in un contesto ecclesiale ben diverso.

Laurent Bacho,SCJ

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Nef è il bollettino ufficiale della Congregazione del Sacro Cuore di Gesù di Betharram.
La redazione è a cura del Consiglio Generale.

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