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14/06/2017

La Parola del Superiore Generale

Cari fratelli Betharramiti,

La Parola del Superiore Generale

 

“Se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri” (1 Gv 4,11)

Con un po’ di titubanza mi rivolgo a voi, con la certezza che questo primo scambio sarà accolto come una condivisione di un fratello maggiore. La Pace del Cuore che procede dallo Spirito Santo, è stata una presenza forte nell’ultimo Capitolo. Come pure l’avvincente attualità del nostro Carisma, della nostra vocazione e della nostra missione. Abbiamo scoperto che, se siamo fedeli, saremo capaci di rispondere alle chiamate fatte dalla Chiesa, oggi.

La presenza di molti laici – che bevono alla stessa sorgente – ci ha aiutato a vivere un’autentica esperienza di fraternità. L’ascolto, il rispetto, la gioia e la festa sono stati i tratti distintivi di questo tempo di grazia.

Colgo questa occasione per ringraziare tutti quelli che ci hanno accompagnato con la loro costante preghiera.

Dal 18 maggio scorso, P. Gaspar Fernández ha terminato il suo ruolo di guida della Congregazione, come pure i suoi collaboratori: i padri Enrico Frigerio e Laurent Bacho. Rieletti e confermati nel loro incarico l’Economo Generale, P. Graziano Sala, e il Consigliere per le Missioni, P. Tobia Sosio. I nuovi eletti sono: il nuovo Superiore Generale, i padri Jean-Dominique Delgue (Francia-Spagna) come Vicario Generale e Stervin Selvadass (India) come Consigliere per la formazione.

Ora vi racconto qualcosa sull’autore di questo editoriale (mi è stato chiesto, anche se non c’è molto da dire…). E, per inciso, rispondo a molti che, come me, devono essersi domandati: perché? … Da dove è uscito questo “periferico”?

Sono nato il 17 agosto 1962 nella città di Buenos Aires; però sono cresciuto nella città di Avellaneda, provincia di Buenos Aires, Argentina. Mio padre lavorava nella marina mercantile e mia madre era parrucchiera. Entrambi, di modesta condizione, hanno sempre fatto tutto il possibile per dare a me e alla mia unica sorella una buona formazione. Ho fatto gli studi primari nel Collegio Sacro Cuore di Barracas; la scuola secondaria nel Collegio Don Bosco, con i salesiani. Dopo la guerra delle Malvine, nel 1982, (tra Argentina e Inghilterra) ho fatto gli studi per diventare insegnante di Scienze Economiche. Come laico, ho esercitato l’insegnamento per 7 anni nel Collegio Sacro Cuore di Barracas, mentre militavo nel gruppo della pastorale giovanile della parrocchia. Qui si è risvegliata la mia vocazione. Nel 1988 sono entrato nella Casa di Formazione di Adrogué (e in seguito a Martín Coronado), dove P. Gaspar è stato mio formatore per 8 anni, insieme a P. Martín. Ho concluso i miei studi ecclesiastici come Professore e Baccelliere in Teologia. Sono stato ordinato prete il 4 novembre 1995. Ho frequentato la Scuola per Formatori e in seguito, dopo tre anni come direttore spirituale nei collegi San Giuseppe di Buenos Aires e Sacro Cuore di Barracas, mi hanno destinato alla formazione, nella quale sono rimasto per 11 anni. Sono stato formatore dei postulanti e degli scolastici a Martín Coronado per quattro anni e Maestro dei novizi per 7 anni a Adrogué. In questi 11 anni sono stato anche Vicario della Provincia del Río della Plata. Dal 2009 ho animato la Regione Venerabile P. Augusto Etchecopar come Superiore Regionale.

Con queste magre credenziali, riconosco che non avrei mai immaginato che i fratelli avrebbero potuto chiedermi questo servizio… Ricordo che Papa Francesco diceva ai cardinali: “Scegliete i vescovi tra coloro che non fanno campagna per esserlo”… credo che il mio sia uno di questi casi. A dire il vero, qualche volta me lo sono chiesto. “Cosa avverrebbe se… ?”   In quel momento le mie risposte non erano state molto convincenti. Però, una volta arrivato il momento, ho accettato. Non mi sono mai sentito solo. Una Pace sempre più profonda mi parlava nel silenzio… Molto oltre i limiti e i timori che provo, ho la certezza che, con me, è stato eletto un gruppo di lavoratori per il Regno, che amano Bétharram e sono disposti a spendervi la loro vita. Siamo servi dei servi. Il Signore ce lo ha lasciato come mandato: “Chi vuole essere il primo sia il servo di tutti e lo schiavo di tutti“ (Mt 20,27). La Sua Parola mi infonde fiducia. Pongo tutto nelle Sue mani.

Mio desiderio è quello di fare in modo che tutti ci rinnoviamo a partire dalla fedeltà al Carisma di San Michele perché la nostra vita religiosa sia sempre più creativa, fraterna e inclusiva, anche nel dissenso e nella differenza. “L’incontro” è una condizione necessaria per arrivare a questo. E allora, sì, potremo uscire ancora in comunità a proclamare in tutto il mondo il Vangelo di Gesù.

Sono consapevole che siamo una famiglia che corre anche il rischio della disgregazione in un mondo che muta ed è pervaso di relativismo. L’ospite che va di moda, “l’individualismo”, bussa alla porta delle nostre comunità e vuole abitarci. Se apriamo, siamo sottilmente condotti verso la coscienza isolata, all’auto-referenzialità.

Iniziamo a capire che non è la crisi nella vita religiosa che produce disillusione e indifferenza…, ma la realtà presente comoda che ci gratifica adesso, per poi lasciarci nel non-senso… In alcuni di noi è venuto meno il discernimento e dobbiamo recuperarlo. Questa vita ci sta impedendo di volare, come faceva San Michele, e i numerosi betharramiti che ci hanno preceduto. Non ci permette di essere testimoni di Gesù con la forza della Pasqua.

Usciamo senza indugio!
Uscire, “come sposo dalla sua stanza nuziale, esultare come un prode che percorre la via” (Sal. 18,6).
Uscire per incontrarci con la vita minacciata di tanti fratelli che abitano questa terra ( a volte molto vicino alle nostre comunità).
Uscire per spendere la vita per Cristo.

Betharram si è riunito a San Bernardino, Paraguay, e si è proposto di “Uscire, senza indugio, per incontrare la vita”: uscire verso le periferie all’interno delle nostre istituzioni e verso le periferie del mondo. Per servire, per sanare, per far crescere, per consolare, per vivere in gioiosa fraternità, per essere voce di quelli che non hanno voce, e la Luce che illumina tante tenebre che emergono dalla cultura della morte.

Affermo e sostengo che un autentico betharramita non può transigere con simili impulsi. Il nostro cuore betharramita chiama la liberazione interiore… Dobbiamo solo ascoltarlo.

San Michele ha conosciuto i “calici”, ma ha conosciuto anche una gioia infinita che gli pervadeva l’anima, lo stimolava, gli faceva toccare con mano il cielo. Non ha mai chiesto di negoziare questo Dono che aveva ricevuto dall’Alto. Lo alimentava con l’amore che lui stesso prodigava ai fratelli. Amore che era destinato a servire la Chiesa più povera: i ministri che piangevano, la crescente scristianizzazione dei luoghi. Ha dedicato la sua vita a sviluppare una famiglia religiosa disposta a obbedire. Disposta ad ascoltare, accompagnare e perdonare. Una comunità pronta a soffrire per il Signore, per soffrire meno… Disposta sempre a fare la volontà di Dio. Questo è il suo e il nostro cammino.

Gustavo Agín scj
Superiore Generale

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