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13/06/2014

La Parola del Superiore Generale

Una tecnologia per l’incontro

La Parola del Superiore Generale

Gli strumenti per la comunicazione devono favorire lo scambio reciproco all’interno ed all’esterno della comunità. Il loro impiego “può aiutare la comunità a conoscere meglio la complessità del mondo della cultura, può permettere una ricezione confrontata e critica, ed aiutare infine a valorizzare il loro impatto in vista dei vari ministeri per il Vangelo”. Il loro utilizzo, moderato e prudente, deve rispecchiare la nostra scelta di povertà ed essere unito ad un illuminato discernimento comunitario. (RdV 107).

Viviamo in un mondo caratterizzato dall’uso di mezzi tecnologici in tutti gli ambienti umani. Non sempre è possibile evitarne l’impiego per le necessità della vita e della missione. In altri casi constatiamo che i religiosi prendono decisioni molto personali per ottenere l’ultimo modello di cellulare o di tablet. Il computer è uno strumento di lavoro spesso richiesto dai professori universitari o negli istituti di studio. Questo argomento è sufficiente per giustificare che ciascun religioso che studia abbia il suo computer personale? Non basterebbe invece averne alcuni nella comunità a disposizione di tutti? In tutte le realtà è giusto adottare gli stessi criteri di valutazione? Il fatto di accettare un computer in regalo, può creare divisioni in seno alla comunità? Che fare quando in una comunità vi sono religiosi che mangiano tenendosi accanto il cellulare o il tablet, inviando o ricevendo messaggi e rispondendo a chiamate? Tutto ciò può condurre a situazioni molto pericolose: religiosi che, causa un uso inadeguato dei mezzi di comunicazione, ne diventano dipendenti al punto di privarsi della libertà necessaria per vivere con un minimo di equilibrio. Le situazioni sono molto complesse.

L’uso delle nuove tecnologie può condurre a situazioni pericolose...

 

Il cinese Liu Xiaobo, premio Nobel 2010 per la pace, dice che Internet è un dono di Dio. Papa Francesco, nel suo messaggio di quest’anno in occasione della XLVIII Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali, formula una riflessione ottimistica relativamente all’impiego di questi mezzi tecnologici al servizio della cultura dell’incontro e ribadisce quanto da lui già scritto in EG 87: Oggi, quando le reti e gli strumenti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi, sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio. In questo modo, le maggiori possibilità di comunicazione si tradurranno in maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti. Se potessimo seguire questa strada, sarebbe una cosa tanto buona, tanto risanatrice, tanto liberatrice, tanto generatrice di speranza! Uscire da se stessi per unirsi agli altri fa bene. Chiudersi in se stessi significa assaggiare l’amaro veleno dell’immanenza, e l’umanità avrà la peggio in ogni scelta egoistica che facciamo.

Interdire al religioso l’uso dei mezzi tecnologici non sembra essere il modo migliore per educare i giovani e per trattare con gli adulti. Come in molti altri aspetti della vita, l’impiego di tali mezzi crea situazioni ambigue e richiede una riflessione e un discernimento comunitari che tengano conto del fatto che sono in gioco valori molto importanti della vita consacrata: la povertà, la serietà nel lavoro, la castità, la fraternità e la responsabilità nel compimento della missione. Occorre anche tener conto di “quanto mi aiutano o quanto mi distolgono” come recita il Principio e Fondamento (Esercizi spirituali di Sant’Ignazio). Come in altri ambiti della vita consacrata, l’uso dei mezzi di comunicazione sociale esige una scrupolosa attenzione nella formazione, sia iniziale, sia permanente: questo aspetto della vita deve essere trattato con molto rigore durante l’accompagnamento personale, così come si fa con la meditazione, con la fraternità, la castità e l’uso di beni materiali... Il formatore, il superiore e il direttore spirituale verificheranno l’autenticità di quello che dice il religioso, lo confronteranno con quelle situazioni che contraddicono la sua scelta di vita consacrata e lo incoraggeranno alla conversione, per evitargli una condotta ipocrita e mondana che negherebbe ciò che lui dice di essere.

A nulla serve l’accompagnamento nella formazione iniziale se i religiosi che hanno pronunciato i voti perpetui vivono questa dimensione in autonomia, senza riferimento alla comunità, alla direzione spirituale e all’ubbidienza. È in gioco la fedeltà alla vocazione di consacrati e, in definitiva, una testimonianza coerente. Come in altri aspetti della vita, non serve a niente sopportare le esigenze del periodo formativo quando si sa che, una volta accettati definitivamente nella Congregazione, si potrà fare ciò che si vorrà.

La comunità deve essere il luogo di riflessione, revisione, discernimento, decisione e correzione fraterna nell’impiego dei mezzi di comunicazione sociale. In comunità si deve esercitare un consapevole discernimento per valutare se l’uso di tali mezzi facilita oppure, al contrario, rende più difficile la fraternità, se ci rende vicini gli uni agli altri oppure ci allontana di più. È in comunità che si decide se un religioso deve o no sostituire il cellulare o il computer per le necessità della missione, se le disponibilità finanziarie lo permettono o se vi sono altre priorità. In comunità si deve anche condurre un’analisi e una correzione fraterna su come questi moderni mezzi influiscono sugli altri valori della vita consacrata: il silenzio, la preghiera, la comunicazione in seno alla comunità, la castità, l’impiego del tempo disponibile per ascoltare un confratello, per la missione e per gli altri servizi.

Gaspar Fernández Pérez, scj
Superiore Generale

 

È ancora vivo nella memoria quel gesto che poco più di dieci anni fa fece impazzire di gioia e di curiosità milioni di internauti. La semplice pressione del tasto “invio” da parte di Giovanni Paolo II, che volle promulgare l’Esortazione Apostolica “Ecclesia in Oceania”, nel novembre 2001, solo ed esclusivamente attraverso il web, secondo gli addetti ai lavori è stata il gesto che ha aperto l’evangelizzazione del “sesto continente”.

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