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Graziano Vietnam 1
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26/06/2009

Notizie in famiglia - 14 luglio 2009

Sommario

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La parola del Padre Generale

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Trasmettere agli altri la propria gioia

In una delle mie visite alle comunità, un confratello betharramita che sta uscendo dalla dipendenza dall'alcool mi ha invitato ad accompagnarlo presso un centro di recupero per alcolizzati anonimi. La prima cosa da segnalare è che questo religioso si impegna molto nel proprio impegno di recupero: non manca mai alle riunioni di gruppo, pur dovendo superare molte difficoltà. Osservando la sua vita, si può scoprire quanto il recupero sia qualcosa di essenziale per lui: gli ha permesso di rinvenire molte cose nella sua esistenza e lo obbliga ad assumere seriamente le responsabilità della propria vocazione e missione.
Nel centro di recupero abbiamo preso parte ad una riunione coi membri che si stanno liberando dalla dipendenza. Il nostro confratello ha dato testimonianza di ciò che ha vissuto durante la dipendenza e durante il recupero. Mi sono meravigliato del fatto che abbia parlato per un'ora: lui si lamenta sempre delle omelie lunghe di alcuni vescovi. Ma l’ho capito: quando si è convinti di qualcosa per esperienza - e questa esperienza significa molto per quanto si è perso e per quanto si sta riacquistando - tutto il tempo per esporre ragionamenti su questa speranza è breve, per giungere a convincere altri con la testimonianza a non lasciarsi sfuggire la gioia di vivere liberi  dalla dipendenza, ad ogni costo.
Questa esperienza mi ha fatto pensare alla missione betharramita che consiste, secondo San Michele Garicoits,  nell’impegno a procurare agli altri la medesima gioia. Il confratello del racconto propone la qualità di vita che egli ha raggiunto liberandosi dalla dipendenza a coloro che attraversano l'esperienza spiacevole da lui stesso provata. Due qualità di vita si fronteggiano: quella che egli testimonia di aver vissuto e quella che gli uditori possono conseguire se la credono possibile e impiegano i  mezzi per ottenerla.
Il betharramita mediante la testimonianza della propria vita consacrata e le attività della propria missione proclama che Dio lo ama e che l'Amore Dio investe ogni persona per mezzo di Gesù Cristo, umiliato e ubbidiente. La missione ha come finalità di farci entrare in una dinamica di qualità di vita o di felicità. Questa esperienza dell'Amore di Dio fa sì che tutti gli uomini e donne che incontriamo pervengano ad una migliore qualità di vita, alla gioia, alla salvezza.
Questa gioia è la stessa vissuta dai Preti di Betharram. E’ anche la gioia, umile e tipica vissuta dal nostro Padre San Michele Garicoits. E la gioia dei Preti di Betharram è la stessa di Gesù, umile e ubbidiente al Padre, dal quale  riceve l’Amore che  promana dai  suoi atteggiamenti, dalle sue azioni, dai suoi gesti e dalle sue parole.
Gesù, incarnato, morto e risuscitato è la fonte della gioia. In lui la gioia è frutto della sua convinzione di essere il Figlio prediletto del Padre che lo ama di un amore tenero e immutabile. Un amore,  come risposta a quello del Padre, che spinge Gesù ad offrire la propria vita generosamente e che lo porta a non far nulla per sè stesso, ma ad agire sempre guidato dallo Spirito di Dio, sempre abbandonato al volere di Dio per soffrire e fare tutto ciò che vuole. Tale è la gioia di Gesù, umiliato e ubbidiente, attrazione, modello e mezzo per giungere all’amore divino.
La medesima gioia di San Michele Garicoits che rispose all'amore, dedicando la vita ad organizzare la Congregazione come Dio gli chiedeva: morendo sulla croce dell'obbedienza, senza potere vedere il riconoscimento della Congregazione, in presenza di sintomi di fallimento.
La stessa felicità dei religiosi, e oggi possiamo dire anche dei laici, di Betharram che, nella contemplazione di Gesù e di San Michele, fanno l’esperienza dell’amore di Dio, li spinge a consacrar la propria  vita coi  voti e li impegna nel compito di procurare agli altri la stessa gioia. È una gioia contagiosa;  se manca nel missionario da che cosa sarà sostituita?
La stessa felicità degli altri. La testimonianza della nostra gioia provocherà negli altri la domanda irresistibile: E lui, perché è così? E come il protagonista dell’episodio citato all’inizio, daremo le ragioni della nostra peculiarità di vita e della nostra gioia. Manifesteremo loro l'amore di Dio rivelato in Gesù Cristo, diremo loro che è anche per loro, lo conosceranno, lo sperimenteranno, lo testimonieranno e continueranno a loro volta a generare gioia negli altri. Fino ai confini della terra e fino al fine del mondo.

Gaspar Fernandez,SCJ 


nef-etchecopar.jpgPadre Auguste Etchécopar scrive... nel suo diario intimo, n.38

Sì, non posso dubitare: il sacerdozio è una realtà così sublime, così divina che il Prete deve essere un altro Gesù Cristo.
O mio Salvatore, che povero rappresentate avrete! Che copia imperfetta, sfocata, irriconoscibile rispetto a questo modello ammirabile, della vostra santità, o mio Dio, delle vostre perfezioni, o Gesù. E tuttavia «Tutto posso in colui che mi dà la forza» (Fil 4,13). Potete trasformare le pietre in figli di Abramo. Colmatemi, Signore, del vostro Spirito. «Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Gesù dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali» (Rm 8,11).
Ravvivate, fate crescere, dilatate quello spirito di forza e di grazia che vi siete degnato di accordarmi durante l’ordinazione al diaconato (…) Che io possa corrispondere alla vostra grazia, che riponga la mia fiducia nella Santa Vergine, vostra divina Madre.
O Gesù, spero in voi! O Gesù desidero piacervi! O Gesù, come siete buono! Desidero lodarvi per l’eternità.


Ai miei fratelli Sacerdoti

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In occasione della solennità del Sacro Cuore di Gesù e dei 150 anni della morte del santo curato d’Ars, l’arcivescovo betharramita di Rabat ha inviato questa lettera aperta. È l’occasione per meditare e ringraziare…

Il 29 giugno 2009, festa del Sacro Cuore, il Santo Padre ha inaugurato l’anno sacerdotale. Quest’anno sia, per ognuno di noi, un anno di ringraziamento per tutto ciò che ci è stato concesso di vivere a partire dalla nostra ordinazione.
Ringraziamento per tutto l’amore dal quale ci siamo lasciati invadere; un amore che ogni giorno scaturisce dal Cuore trafitto.
Ringraziamento per tutti gli incontri fatti e che ci hanno, allo stesso tempo, avvicinati a Dio e a questa umanità a cui il mondo è affidato.
Ringraziamento per tutti quelli diversi da noi che ci hanno fatto crescere molto in umanità e nella nostra fede.
Ringraziamento per tutto questo amore ricevuto e donato.
Ringraziamento per aver compreso meglio quanto noi facciamo parte di questa Chiesa che vuole essere segno di questo amore incredibile di Dio verso gli uomini e le donne di ogni cultura e religione, in particolare in questo Paese che ci accoglie.
Ringraziamento per l’invito ad essere non solo al servizio di un popolo cristiano; ma comprendiamo meglio che noi siamo sacerdoti per tutti gli uomini e tutte le donne che incontriamo.
Ripensando al cammino fatto dalla nostra ordinazione, facciamo memoria anche di ogni persona, prete o laico, uomo o donna, giovane e meno giovane, che ci ha accompagnato sulla nostra strada; non dobbiamo ringraziarli un po’ per essere oggi ciò che siamo?
E, mentre viviamo questo giorno, non dovremmo ringraziare per questo dono dell’Eucaristia che siamo invitati a celebrare, ricordandoci di ciò che scriveva Giovanni Paolo II: “L’Eucaristia non è soltanto un’espressione di comunione nella vita della Chiesa, è anche un progetto di solidarietà per l’umanità intera”. Quale ricchezza essa rappresenta per noi ovunque ci troviamo in questo Paese!
E il Papa continua: “Il cristiano che partecipa all’euca-restia impara da essa a farsi artefice di comunione, di pace, di solidarietà.” Quale responsabilità formidabile ci è affidata in ogni celebrazione!

+Vincent Landel,SCJ


Questo lago che ho visto

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Disteso in una conca solitaria
Circondato da una parte e dall’altra da possenti colline
cullato da un caldo clima mediterraneo,
tranquillo e silenzioso, una vera meraviglia della natura.

Costeggiando la sua riva accessibile
Metto i piedi su pietre levigate dai secoli
Come dispone alla contemplazione di mille sguardi,
di tutti i colori, dei quattro angoli del mondo.

Lontano intravvedo una barca nella sua solitudine
Che le correnti d’acqua fanno danzare
Con riguardo delicatezza e affetto
Come una madre accarezza il suo bambino.

Il Nord di questo bel paesaggio dai forti contrasti
Segno di una storia ineguagliabile
Questa oasi, fonte di vita e di rifugio
Chiamato lago di Tiberiade,
è stato testimone della nascita della santa Chiesa di Dio.

Tenera e dolce sorgente inestinguibile
Ai piedi di vestigia, resti delle civilizzazioni fondatrici;
qui son state dette parole di fuoco
per rinnovare la faccia della terra.

Andare a vedere il lago di Tiberiade e lasciarsi andare
Sogno – immaginazione – meditazione – lode – preghiera …
Non dubito un istante:
qui il Figlio di Dio ha parlato,l’era dell’Amore si è aperta per sempre.

N’da Serge, novizio a Betlemme
poesia scritta durante il pellegrinaggio in Galilea

La generosità betharramita

Bétharram: retable de Sr Mercedes

La famiglia di Bétharram è nata dall’estrema generosità del Verbo incarnato: per un atto d’amore, rinunciò alla sua condizione divina, si abbassò verso la nostra miseria per elevarci fino a Dio.
San Michele ha saputo contemplare lo slancio di Gesù che si è fatto uomo per amore, e che è vissuto tra noi come uno di noi, eccetto per il peccato. Ha quindi cercato il modo di riprodurre questa generosità incarnata.
E’ proprio dell’betharramita essere chiamato a vivere come Gesù, donandosi totalmente agli altri, e in modo prioritario ai poveri e ai malati. La generosità dell’Eccomi lo ha portato a vivere completamente abbandonato in Dio. Non ha mai cercato onore e riconoscenza. Al contrario ha cercato di far conoscere e amare da tutti il Nome del Padre.
Un vero betharramita, sull’esempio del Verbo incarnato, è sempre disposto a fare la volontà del Padre. Sa agire e sa anche mettersi da parte. È cosciente di essere un servo, e un servo inutile. È generoso in tutto ciò che inizia. Sa che l’importante non è fare molto ma fare con cuore generoso ciò che gli è stato affidato. È capace di distribuire l’immensità della carità nei limiti della sua posizione. Non conserva niente per se stesso, sa condividere. Come la vedova del Vangelo che offrì al Tempio le ultime monete che le rimanevano, il betharramita ha fiducia nella provvidenza. Sa che tutto il creato, la nostra stessa Congregazione, esiste grazie a Dio.
Bétharram si è sempre distinta per la sua generosità. Dalla sua fondazione, esistette per servire la Chiesa. I nostri primi betharramiti si misero al servizio della Diocesi di Bayonne pregando, confessando, evangelizzando, istruendo… vissero per gli altri.
La missione in America dimostra chiaramente la grande generosità del nostro padre fondatore: non fece attendere al sua risposta alla chiamata del vescovo di Buenos Aires; mandò i suoi religiosi migliori, quando ancora la sua comunità era composta da meno di trenta religiosi con professione perpetua.
Bétharram è povera, e sa dare con generosità. Crede che c’è da fare tutto ciò che dipende da noi, e poi lasciare che Dio compia il miracolo – come nella moltiplicazione dei pani.
L’Eccomi di san Michele è generoso, non si limita a nessun compito specifico, è aperto ai tempi e alle necessità della Chiesa.
Quando il Papa Leone XIII chiese a P. Bourdenne, Superiore generale, di piantare il Bel Ramo in Paraguay, subito i betharramiti dissero eccomi, e andarono a lavorare nei collegi, nelle parrocchie, nelle missioni con i poveri.
Lo stesso successe in Brasile, quando, in seguito alla richiesta del cardinale di Rio de Janeiro, Dom Sebastião, i betharramiti misero il loro accampamento base ai piedi della Serra di Mantequeira; da lì raggiunsero altri luoghi, e hanno raccolto buonissimi frutti.
Il betharramita è un guerriero coraggioso, consacrato a Dio e alla Chiesa. Gli ostacoli non lo scoraggiano. Va sempre avanti, convinto che tutto è possibile se ci si mette il cuore. Per questo, il betharramita è obbediente: lasciarsi guidare dal disegno di Dio, è il modo più generoso per donarsi a Lui.
San Michele sperò in uomini completamente dimentichi di sé, disposti ad obbedire senza ritardo, senza dubbi, per sempre, per amore più che per qualsiasi altro motivo.
Sull’esempio di Nostra Signora del Bel Ramo, nella sua immensa generosità nel dire sì al Signore, possiamo imparare a vivere con generosità, sempre più votati alla missione che ci viene affidata, e a dire, al termine della giornata: abbiamo fatto solo il nostro dovere.

Davi Lara,SCJ
scolastico a Belo Horizonte


5 minuti con... padre Alessando Locatelli

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“Quella del parroco è sicuramente una bella e pesante avventura. Bella, perché dopo tanti anni ci si ritrova come in una grande famiglia; pesante perché non è facile far rimanere il gregge all’interno del recinto, ossia della Chiesa, dei Sacramenti, della Verità. Padre Alessandro, nonostante la giovane età è un sacerdote attento alle problematiche della sua Parrocchia e cerca di aiutare i fedeli a non smarrire la Via, la Verità e la Vita, sia con il dialogo sia con la preghiera.
Ma è soprattutto con i giovani che padre Alessandro dà il meglio di sé. Cerca di coinvolgerli in tante iniziative e i giovani rispondono con generosità ai suoi appelli; basta dare un’occhiata al suo blog o entrare su facebook per leggere attestati di approvazione nei confronti del loro amato don Alex.” (intervista realizzata da una parrocchiana, Annalisa Colzi)
 

Nef : Gran parte del tuo ministero sacerdotale lo hai trascorso nella diocesi di Pistoia e precisamente nella parrocchia del Sacro Cuore di Montemurlo. Dopo tanti anni di questa esperienza, ne avrai di cose da raccontare…
- In effetti e senza esagerare, ci si potrebbe scrivere un libro. Ma mi limito ad una sola riflessione, un pensiero che vado facendo da qualche tempo. Guardando i bambini e i ragazzi sia al catechismo, che al dopocresima, sia in questo periodo, all’oratorio estivo, mi sono venute alla mente le parole del Salmo 128: Possa tu vedere i figli dei tuoi figli. E vedendo in Parrocchia bambini e ragazzi, figli di coloro che in questi 21 anni hanno frequentato gruppi e oratorio, mi sento benedetto da Dio, perché non a tutti i Parroci oggigiorno tocca la gioia di vedere crescere i ragazzi, vederli padri e madri che, memori delle gioie vissute in Parrocchia, ti affidano i loro figli e sono essi stessi presenti nella vita della Comunità cristiana.

Il punto debole di tante, per non dire di tutte le parrocchie, sono i giovani. Si dice che dopo la Cresima molti salutano definitivamente i Sacramenti. Secondo te, è vero o sono esagerazioni?
- E’ vero e ne fanno esperienza tutti coloro che vivono la pastorale in Parrocchia. Anche qui ricevuti i Sacramenti dell’Iniziazione, non sono molti i ragazzi che restano e continuano un cammino. Personalmente ho speranza non solo perché c’è chi resta, ma anche perché il buon rapporto umano che si instaura con tutti e il far capire che le porte sono sempre spalancate, contribuisce a mantenere un contatto con la Chiesa, che un giorno può trasformarsi in un ritorno. Nel mantenere questo contatto mi aiuta molto sia il piccolo blog che ho aperto, che il social network facebook che mi permette di curare i legami con molti giovani.

A proposito di giovani, mi sembra che grazie alla recita di “Narnia”, tu sia riuscito a coinvolgerne molti. Puoi raccontarci qualcosa di più su questa tua passione nei confronti delle “Cronache di Narnia?”
- L’esperienza di Narnia, che dura da ormai tre anni, ci siamo abituati a definirla “meravigliosa avventura”. Tutto è iniziato quasi per gioco e nessuno, neppure io, si aspettava un coinvolgimento così vasto di persone: quest’anno sono state 130 gli attori (bambini, ragazzi, giovani, adulti) che per sei mesi hanno riflettuto e lavorato per realizzare una rappresentazione da molti definita ben riuscita e suggestiva. Senza contare poi la schiera di collaboratori: sarte, scenografi, pittrici, tecnici audio, coreografi… Ho usato apposta poc’anzi il termine “riflettuto”, perché Narnia è opera di Lewis, grande amico di Tolkien, e i loro romanzi si inseriscono nel filone del fantasy di ispirazione cristiana e quindi offrono numerosi spunti di riflessione e catechesi.
 
Il 19 giugno, festa del Sacratissimo Cuore di Gesù, è iniziato l’Anno Sacerdotale. Diceva il Santo Curato d'Ars che “solo in cielo misurerà tutta la sua grandezza. Se già sulla terra lo intendesse, morrebbe non di spavento, ma di amore... Dopo Dio, il Sacerdote è tutto”. Non ti spaventa tanta grandezza a cui sei stato chiamato?
- Certo che mi spaventa, ma non dimentico mai quello che mi disse poco prima di entrare in Seminario il Parroco, ormai defunto, del mio paese, Don Gino. Di fronte alla mia paura di non essere né degno né capace, mi rispondeva: Non è la dignità che conta, ma la chiamata. E queste parole continuano ad infondermi fiducia.

Secondo te, cosa deve fare il sacerdote per non soccombere sotto il peso delle responsabilità?
- E’ scontato che la cura della propria vita spirituale, come religioso e sacerdote, è non solo un dovere, ma un atto d’amore verso se stesso, verso il popolo che ti è affidato e verso Dio. Detto questo, credo che sia altrettanto importante non dimenticare mai la propria dimensione prettamente umana e coltivare sincere e leali amicizie, persone con le quali confrontarsi, vivere momenti di svago ed avere interessi, di qualsiasi genere, che ti permettono di continuare ad edificarti in tutte le tue dimensioni.

Tu sei religioso. In che modo la tua consacrazione e la comunità animano e sostengono il tuo impegno pastorale?
- Alla nostra Comunità sono affidate, oltre alla mia, altre due Parrocchie. C'è un vicendevole aiuto nell'azione pastorale ma, ormai da anni, siamo in attesa che i Superiori definiscano persone, modi e tempi per dare avvio all'Unità Pastorale così da rendere la presenza betharramita qui a Montemurlo unitaria e pastoralmente più incisiva.

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Nota del Consiglio Generale circa p. Gilbert Koffi Kouman

Nel mese di settembre 2007, l’assemblea dei religiosi del Rio de la Plata (Argentina e Uruguay) aveva deciso di ristrutturare le comunità e in particolare di lasciare la parrocchia San Rocco di Santiago del Estero per rinforzare la nostra presenza a Nueva Esperanza (a 200 Km più a Nord). P. Gilbert Koffi Kouman, betharramita della Costa d’Avorio accolto a Santiago nel 2003, non ha accettato il cambiamento; non è andato a Nueva Esperanza e non ha voluto andare in nessun altra comunità betharramita, in Argentina o in altri luoghi.

All’inizio del 2008, gruppi di appoggio hanno organizzato delle marce di protesta; i mass-media si interessarono al caso. Rimanendo nella sua posizione e rifiutando alla Chiesa qualsiasi autorità su di lui, p. Gilbert, nonostante la proibizione del vescovo, ha continuato a esercitare il suo ministero, e celebrare messe di guarigione che gli hanno creato notorietà. I tentativi di avvicinamento non hanno cambiato la situazione.

Dopo aver percorso tutte le vie del dialogo, secondo le procedure canoniche, il Consiglio generale ha preso atto del rifiuto a reinserirsi nella famiglia betharramita ed ha presentato il caso alla Sacra Congregazione per i Religiosi e gli Istituti di vita consacrata. Secondo il decreto datato 27 aprile 2009, confermato dalla Santa Sede, p. Gilbert Koffi Kouman è stato dimesso dalla nostra Congregazione. Preghiamo per il religioso sospeso a divinis, e per le comunità colpite dal caso e dal suo abbandono.


In memoriam: Vicarìa di Francia-Spagna

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Hasparren, 25 settembre 1922 - Bétharram, 5 giugno 2009

Il Vangelo delle Beatitudini è visto come la sintesi, il riassunto di tutto il Vangelo. È l’ideale di ogni cristiano, di ogni sacerdote e di tutti noi, religiosi. Quando, ovunque, sentiamo gridare Beati i ricchi, i potenti, i forti, il Signore ci dice: Beati i poveri, i misericordiosi, i puri di cuore.
È l’ideale a cui si ispirò p. Jean Tipy. Molto giovane, questo cittadino del Paese basco ha ascoltato la chiamata; entrato al noviziato di Balarin nell’agosto del 1940 e dopo gli studi in Terra Santa, ha potuto impregnarsi di questo spirito delle Beatitudini. Ordinato sacerdote a Betlemme il 4 luglio 1948, p. Tipy è stato inviato, con altri betharramiti, alla missione dell’educazione; egli si è impegnato corpo e anima, durante lunghi anni.
Professore molto coscienzioso, ha sempre considerato il suo ruolo di educatore e insegnante come una missione, e si meravigliava quando ascoltava qualcuno che non la pensava come lui. È vero che, possedendo una buona preparazione, p. Tipy è stato un eccellente professore, amato e rispettato dai suoi allievi. Molto presto ha dovuto assumersi la direzione di vari collegi: è sempre stato un superiore competente, buon organizzatore, molto interessato al bene dei suoi studenti. Quando veniva nominato a capo di una struttura scolastica, al collegio di Bétharram, come a Ozanam o a Limoges, si poteva stare sicuri che l’opera di educazione sarebbe stata ben impostata.
Un aspetto merita di essere sottolineato: la comunità religiosa nella quale aveva un incarico, l’ha sempre stimato e amato. Certo, le difficoltà non sono mancate, ma nel turbinio della nostra epoca, p. Tipy è rimasto fedele alla sua vocazione di educatore.
Al collegio Stanislas a Parigi, diede il massimo di se stesso, avendo incontrato l’ambiente in cui ebbe la possibilità di rivelarsi completamente. Fu professore di religione molto apprezzato dai suoi studenti che gli sono stati riconoscenti. Infatti p. Tipy non dimenticò mai di essere sacerdote, considerando che l’educazione della gioventù fa parte della missione affidata ai padri di Bétharram: fino all’ulti-mo ha voluto essere fedele a questa missione.
Quando giunse il momento della pensione, il padre ha saputo rendersi utile presso la parrocchia Saint-Amand nella Diocesi di Bayonne, alla quale era fiero di appartenere. Egli non ha mai dimenticato, pur essendo un brillante professore, le sue origini umane e spirituali: anche a queste fu fedele.
Grazie, p. Tipy, per i tuoi servizi resi e per essere stato un educatore coscienzioso. Grazie per i tanti giovani che hai aiutato a crescere: non ti dimenticheranno mai.
Dire grazie significa riconoscere l’opera dello Spirito nella vita di p. Tipy, un’esistenza tutta dedita al servizio. Grazie, è anche il significato dell’Eucaristia, rendimento di grazie. “l’ora dell’Eucaristia riempie la mia giornata”, diceva p. Tipy. Che venga riempito della riconoscenza eterna.

Gaston Gabaix-Hialé,SCJ



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1929-2009

BÉTHARRAM IN COSTA D'AVORIO 

Sono oramai quasi 50 anni che la nostra Congregazione ha mosso i suoi primi passi in Costa d’Avorio. Il racconto di questa avventura ci accompagna lungo questo anno giubilare. Lo dobbiamo a P. Laurent Bacho, Consigliere generale e formatore ad Abidjan.

7. IL SOTTERRAMENTO

"Un sentiero stretto e senza sbocco, entità insignificanti, apparentemente destinate al fallimento totale. Poi tutto comincia a muoversi, lentamente, in silenzio, durante trent’anni a Nazareth." I figli di San Michele che lasciano Katiola per addentrarsi nel paese djimini nell’anno 1982 meditano questa realtà del mistero dell’Incarnazione indicata dal Fondatore. Gli inizi sono umili: in luglio è la volta di P. Arialdo Urbani che arriva a Boniéré, in settembre è P. Jacky Moura che arriva a Dabakala, proveniente da Limoges; dopo Natale, P. Oyhénart affianca P. Jacky.
Boniéré è un piccolo centro con 24 villaggi, visitati regolarmente dai Missionari SMA a partire dal 1937; circa 1.500 cristiani su una popolazione di 14.000 abitanti, attirati a volte dai vantaggi materiali (scuola, dispensario…). Da 5 anni, i sacerdoti diocesani ne hanno la responsabilità pastorale e non sono in grado di dare gli stessi aiuti materiali; la pratica religiosa è diminuita molto, «non abbiamo guadagnato niente ad essere battezzati», dicono alcuni anziani. 35 km più lontano, Dabakala è tutta un’altra storia. Qui stanno costruendo un’imponente moschea. La chiesa è una cappella della savana e nessuno dei 7 villaggi evangelizzati ha un luogo di culto; l’assemblea eucaristica si ritrova sotto un albero di mango. Al centro, la comunità cristiana è costituita da funzionari e collegiali; i nativi sono una minoranza.
I Religiosi di Bétharram sono contenti di vivere uno sradicamento totale rispetto a Katiola: Quello che ci rende felici innanzitutto, è la possibilità di incontrarci (…) tre volte alla settimana, per uno scambio a ruota libera, pregare, mangiare insieme, condurre una vita fraterna. Vivere insieme è la cosa più importante … A Dabakala, la fortuna di essere in due permette uno scambio completo. A Boniéré non c’è ancora questa possibilità di condivisione. E’ lì che si sente la necessità di una quarta presenza.
In realtà, al termine dell’anno pastorale 83-84, P.Arialdo ritorna in Italia; rimangono solo in due ad animare le due parrocchie. Ma lo zelo apostolico non viene meno. Nel progetto comunitario missionario, i Padri Jacky e Beñat puntano sulla collaborazione dei catechisti: «prima di essere specialisti in catechesi, dovrebbero essere uomini che condividono la loro umanità. Vorremmo entrare con i catechisti ed altri nell’alfabetizzazione in djimini, in collaborazione con la chiesa battista».  I nostri fratelli hanno anche la preoccupazione di aiutare gli apprendisti, i disoccupati, quelli che non vanno a scuola, i lavoratori dei campi a stare in piedi da soli e a costruire il loro futuro; è reale il rischio di limitarsi alle lamentele o accontentarsi dell’assistenza ricevuta.
La presenza della nostra piccola comunità non è limitata al settore pastorale di Dabakala; in seno al presbiterio, favoriscono un dialogo più fraterno con il Vescovo e una organizzazione diocesana di religiose. Tra le delusioni: una chiesa troppo maschile – non ci sono più comunità di religiose e le donne sembrano molto riservate. Inoltre i cristiani continuano a praticare la poligamia, e questo rappresenta un ostacolo per l’Eucaristia. Da ultimo, la testimonianza cozza con la precarietà diffusa di questa regione enclave.

Laurent Bacho,SCJ

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Nef è il bollettino ufficiale della Congregazione del Sacro Cuore di Gesù di Betharram.
La redazione è a cura del Consiglio Generale.

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