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Italia - Roma, 06/12/2013

82ma Assemblea Generale dell’USG, l’Unione dei Superiori Generali

Dal 27 al 29 novembre si è svolta, presso il Salesianum di Roma, la 82ma Assemblea Generale dell’USG, l’Unione dei Superiori Generali. Il racconto di tre esperienze sono state alla base delle riflessioni e degli incontri dei vari gruppi linguistici.

Papa Francesco con P. Gaspar scj, Superiore Generale

Il momento culminante dell’Assemblea, alla quale ha preso parte anche il nostro Superiore Generale, P. Gaspar Fernandez Perez scj, è stato l’incontro con Papa Francesco. Non si è trattato di un breve momento, ma di un’intera mattinata, su richiesta dello stesso Santo Padre. Non ci sono stati discorsi già preparati, ma un colloquio fraterno e cordiale fatto di domande e risposte che hanno approfondito molti aspetti della vita religiosa e dei problemi che l’assillano attualmente. Il Papa, nelle sue risposte, ha spesso arricchito il discorso con aneddoti personali tratti dalla sua esperienza pastorale.

Ecco, in sintesi, alcune domande poste dall’assemblea dei Superiori Generali e le risposte di Papa Francesco:
Il primo gruppo di domande ha riguardato l’identità e la missione della vita consacrata. Quale vita consacrata ci aspettiamo oggi? Quella di essere una testimonianza speciale: «Dovete essere veramente testimoni di un modo diverso di fare e di comportarvi. Sono i valori del Regno incarnati». La radicalità è richiesta a tutti i cristiani, ha affermato il Pontefice, ma i religiosi sono chiamati a seguire il Signore in maniera speciale: «Sono uomini e donne che possono svegliare il mondo e illuminare il futuro. La vita consacrata è profezia. Dio ci chiede di uscire dal nido che ci contiene ed essere inviati alle frontiere del mondo, evitando la tentazione di addomesticarle». Il Papa ha proseguito dicendo che profezia è rafforzare ciò che è «istituzionale», cioè il carisma, nella vita consacrata e non confondere questo con la singola opera apostolica. Il primo resta, la seconda passa. Il carisma resta perché è forte. A volte si confonde carisma e opera. Il carisma è creativo, cerca sempre nuovi cammini. La testimonianza carismatica, ha proseguito il Papa, deve essere realistica e includere anche il fatto di presentarsi come testimoni peccatori: «Tutti sbagliamo. Dobbiamo riconoscere la nostra debolezza. E ammettere di essere peccatori fa bene a tutti».
«Lei, Papa Francesco – ha domandato uno dei presenti – ha spesso invitato con insistenza ad andare nelle periferie. Ma in che modo?» Il Papa ha risposto che la prospettiva del mondo è diversa se vista dalla periferia piuttosto che dal centro, e questo ci obbliga a ripensare continuamente la nostra vita religiosa. E qui ha ricordato una lettera del P. Arrupe ai centri sociali della Compagnia di Gesù in cui affermava che per fare una vera scelta preferenziale dei poveri bisogna vivere con i poveri. «Bisogna guardare tutto a partire dalla periferia. Bisogna andare nella periferia per conoscere davvero il vissuto della gente. Altrimenti si rischia il fondamentalismo di posizioni rigide e basate su una visione centralistica. Questo non è sano. Un esempio: chi lavora con i giovani non può dire cose eccessivamente strutturate perché queste cose scivolano addosso ai ragazzi. Oggi Dio ci chiede di uscire dal nido che ci contiene. Anche chi è in clausura è inviato con la sua preghiera perché il Vangelo possa crescere nel mondo. Sono convinto che la chiave ermeneutica più importante e il compimento del mandato evangelico sia: «Andate! Andate!».

Si è passati poi al tema delle vocazioni e della formazione. Il Papa ha sottolineato come sia cambiata la geografia della vita religiosa e che ci sono Chiese giovani che danno frutti nuovi, con vocazioni abbondanti. Certamente tutte le culture hanno la capacità di suscitare vocazioni. Ovviamente però bisogna scongiurare fenomeni drammatici come quello della cosiddetta «tratta delle novizie» per cui si va alla ricerca di novizi e novizie in alcuni Paesi che non hanno case di una Congregazione per essere inviati in opere e case di altri Paesi dove le vocazioni scarseggiano. Bisogna riconoscere che la retta intenzione, tuttavia, che può non essere perfetta all’inizio ma che deve poi purificarsi negli anni fino alla professione finale. Comunque bisogna sempre essere vigili e «avere gli occhi aperti. Forse il novizio o la novizia sta cercando un rifugio, una consolazione?». Questo ci obbliga naturalmente a ripensare l’inculturazione del carisma che è unico ma interagisce con le singole culture. La Chiesa deve chiedere perdono e guardare con molta vergogna gli insuccessi apostolici a causa degli errori in questo campo, come nel caso di Matteo Ricci in Cina che venne frainteso. Il dialogo interculturale deve spingere a introdurre nel governo degli Istituti religiosi persone di varie culture che esprimono modi diversi di vivere il carisma. Non si tratta di un’inculturazione folkloristica, ma è una questione di mentalità, di modo di pensare. Non si può formare un religioso senza tener conto della sua cultura, della sua visione del mondo. È necessario il discernimento, il dialogo interculturale. Non si può perdere la propria identità personale e culturale.

Il Papa ha quindi insistito molto sulla formazione che, a suo avviso, si basa su quattro pilastri fondamentali: formazione spirituale, intellettuale, comunitaria e apostolica. È imprescindibile evitare ogni forma di ipocrisia e di clericalismo grazie a un dialogo franco e aperto su ogni aspetto della vita: «La formazione è un’opera artigianale, non poliziesca», ha affermato Papa Francesco: «l’obiettivo è formare religiosi che abbiano un cuore tenero e non acido come l’aceto». Educare è dedicare a una persona più o meno tempo a seconda delle sue capacità, della sua cultura. Altrimenti formiamo dei «piccoli mostri», ha detto il Pontefice. E non bisogna dimenticare che «il giovane ha un altro linguaggio, altre categorie. Non parlo di differenza di culture geografiche, ma di un cambio culturale che risponde a un cambiamento d’epoca». Occorre formare i ragazzi perché siano testimoni della risurrezione, dei valori del Vangelo, per formare e guidare il popolo. L’obiettivo della formazione è l’essere formati per il popolo di Dio. Bisogna pensare al «popolo fedele di Dio». Quindi se un seminario accetta un ex religioso che è stato mandato via da un istituto religioso per motivi seri, non sta pensando al popolo di Dio, e questo è un problema serio. Ad esempio, allora, il coraggio che ha avuto Benedetto XVI nell’affrontare i casi di abuso ci deve servire da esempio per avere lo stesso coraggio nell’impegno per la formazione, ha detto il Papa, che ha concluso: «Non stiamo formando amministratori, gestori, ma padri, fratelli, compagni di cammino».

Riguardo ai fratelli nella vita consacrata il Papa ha detto che la loro vocazione «non è di seconda categoria, ma è una vocazione diversa». È necessario un approfondimento di questo aspetto, mettendo in risalto il suo valore. «Non credo affatto che questa vocazione sia finita», ha detto Papa Francesco, ma «dobbiamo capire che cosa Dio ci sta chiedendo». Esiste un documento sui religiosi fratelli che da lungo tempo è in fase di revisione presso la Congregazione per i Religiosi. Sarà necessario riprenderlo. Rispondendo poi a una domanda sulla questione dei religiosi fratelli come superiori in ordini clericali, il Papa ha risposto che si tratta di un problema canonico e potrà eventualmente essere posto a quel livello.
Un altro gruppo di domande ha riguardato la fraternità. Il Papa ha detto che essa ha un’enorme forza di attrazione. Suppone l’accettazione delle differenze e dei conflitti. Ci sono diverse forme di fraternità secondo i diversi istituti. La vita di fraternità può essere molto difficile, ma è molto importante, è una testimonianza. La mancanza di essa impedisce il cammino. «Una persona che non è capace di vivere la fraternità non è adatta alla vita religiosa», ha detto il Papa. Talvolta c’è una tendenza all’individualismo che spesso è una fuga dalla fraternità. E la vita di fraternità vissuta male non aiuta a crescere. Ma con i confratelli in difficoltà, come conciliare la misericordia, la comprensione e la fermezza? «Anche nelle migliori famiglie ci sono membri in difficoltà», ha detto il Papa. «I conflitti comunitari devono esistere: non si può sognare una comunità o un gruppo umano senza difficoltà e senza conflitti», ma «la comunità deve tollerare i conflitti. I conflitti esistono e devono esistere e si superano non eliminandoli o ignorandoli o coprendoli, ma affrontandoli. «Noi siamo molto crudeli a volte. È la tentazione comune di criticare per soddisfazione personale o per provocare un vantaggio proprio», ha detto il Papa. A volte può essere necessario un accompagnamento, soprattutto quando si tratta di un confratello malato fisicamente o mentalmente. In ogni caso, «mai dobbiamo agire come gestori davanti al conflitto di un fratello, ma la nostra carità deve giungere a un’espressione di tenerezza verso di lui». Di fronte al conflitto non dobbiamo comportarci come il sacerdote o il levita della parabola del buon Samaritano che vanno oltre...; non possiamo evitare i conflitti né dobbiamo stare nel conflitto da stolti; dobbiamo invece entrare nel conflitto e starci da saggi cercando con ogni mezzo di risolverlo. Dobbiamo far proprio il conflitto con pazienza e saggezza. So che fa soffrire ma occorre adoperarci per risolverlo e andare avanti, mai far finta di ignorarlo. Certamente, se nulla cambia, bisognerà trovare altre soluzioni, come il cambiare comunità o abbandonare la congregazione, ma tutto deve essere fatto con tenerezza. E a questo punto il Papa ha ricordato una esperienza personale con un giovane di 22 anni depresso e alcolista che è stato riscosso dallo sguardo di tenerezza di sua mamma. Ora è una persona affermata. Dobbiamo pregare chiedendo la grazia della tenerezza. «C’è una frase dell’ufficio di San Giuseppe che a me piaceva molto, lì dove si dice di come san Giuseppe trattava la sua famiglia: con “tenerezza eucaristica”. Così bisogna trattare i fratelli: con tenerezza eucaristica», ha concluso il Papa.
Sono state poi poste alcune domande sulle mutue relazioni tra i religiosi e le Chiese particolari nelle quali essi sono inseriti. Il Papa ha affermato di conoscere per esperienza i problemi possibili: «Noi vescovi dobbiamo capire che le persone consacrate non sono materiale di aiuto, ma sono carismi che arricchiscono le diocesi». Ha proseguito: «Le diocesi hanno bisogno dei vostri carismi». L’inserimento diocesano delle comunità religiose è dunque importante, come è importante che il vescovo riconosca e rispetti i loro carismi. I conflitti in genere sorgono quando manca il dialogo. E a questo proposito il Papa fa riferimento ad alcune sue esperienze, sia negative che positive, quando era vescovo nella sua diocesi. Ha anche notato che il tema è stato trattato più volte e a più riprese, e il Prefetto della Congregazione per la vita consacrata sta preparando un documento che vuole sia partecipativo.

Le ultime domande hanno riguardato le frontiere della missione dei consacrati. Ma quali sono queste frontiere? «Esse vanno cercate sulla base dei carismi di ciascun istituto», ha risposto il Papa. Non voglio negare o minimizzare alcuna frontiera, ma si deve discernere tutto secondo il carisma di ogni gruppo religioso, ha ricordato il Preposito Generale della Compagnia di Gesù, Padre Arrupe, e la scelta a suo tempo da lui fatta a favore dell’assistenza ai rifugiati. «Le realtà di esclusione rimangono le priorità più significative, ha detto, ma anch’esse richiedono discernimento. Il primo criterio è quello di inviare in queste situazioni di esclusione le persone migliori, più dotate. Sono situazioni di maggiore rischio che richiedono coraggio e molta preghiera. Ed è necessario che il superiore accompagni le persone impegnate in questo lavoro.
Accanto a questa sfida dell’emarginazione ha citato quella culturale e quella educativa nelle scuole e nelle università. In questo settore la vita consacrata può offrire un enorme servizio. Ha ricordato: «Quando i Padri de La Civiltà Cattolica sono venuti a trovarmi io ho parlato loro delle frontiere del pensiero, del pensiero unico e debole. A loro ho raccomandato queste frontiere così come, d’altra parte, al Rettor maggiore dei Salesiani ricordo che la loro frontiera è la Patagonia, cioè il sogno di don Bosco». Per il Papa i pilastri dell’educazione sono: «trasmettere conoscenza, trasmettere modi di fare, trasmettere valori. Attraverso questi si trasmette la fede. L’educatore deve essere all’altezza delle persone che educa, e interrogarsi su come annunciare Gesù Cristo a una generazione che cambia». Quindi ha insistito: «Il compito educativo oggi è chiave, chiave, chiave!». Ha citato quindi alcune sue esperienze a Buenos Aires sulla preparazione che si richiede per accogliere in contesti educativi bambini, ragazzi e giovani che hanno problemi, specialmente in famiglia. Come annunciare Cristo a questi ragazzi e ragazze? Bisogna stare attenti, ha aggiunto, a non somministrare ad essi «un vaccino contro la fede».

Prima di salutare i 120 Superiori Generali presenti, il Papa ha annunciato che il 2015 sarà un anno dedicato alla vita consacrata, e lasciando l’aula ha affermato: «Vi ringrazio, vi ringrazio per questo atto di fede che avete fatto in questa riunione. Grazie, per quello che fate, per il vostro spirito di fede e la ricerca del servizio. Grazie per la vostra testimonianza, per i martiri che date alla Chiesa e anche per le umiliazioni per le quali dovete passare: è il cammino della Croce».

(Fonte: sito dell'Unione Superiori Generali)

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